DOMENICA 26 APRILE 2020 – Domenica III di Pasqua Carissimi amiche ed amici delle parrocchie dell'Unità Pastorale Mincio (Goito, Cerlongo, Solarolo e Vasto) buon giorno e buona domenica.
Un'altra settimana ci ha isolati e tenuti lontani gli uni dagli altri, ci ha separati anche dalle celebrazioni liturgiche. Ci siamo però incontrati nelle celebrazioni eucaristiche che alla domenica abbiamo vissuto insieme attraverso la diffusione sul canale youtube. Anche ogni giorno quando noi sacerdoti celebriamo alle ore 8,30 tutti voi siete con noi nella comunione ecclesiale e nell'affetto che portiamo per tutti.
Le letture di questa domenica ed in particolare il racconto di s. Luca che narra la vicenda dei discepoli di Emmaus, mi hanno suggerito di condividere con voi alcune riflessioni.
L'esperienza dei discepoli di Emmaus fotografa molto bene la nostra vita di questo tempo.
Anche le nostre discussioni che viviamo in casa o sui social sono centrate penso tutte su questioni importantissime, ma che hanno un sottofondo di delusione. La pandemia che sembra qui in Lombardia non retrocedere. La crisi economica che sempre più si affaccia importante all'orizzonte a causa del lavoro fermo. False notizie che vengono diffuse e creano panico e sfiducia verso tutto e tutti.
E ci ritroviamo a non parlare mai della nostra fede, anche delle nostre difficoltà a credere in questo tempo; ad aiutarci nel momento di buio e di difficoltà, sostenendoci e camminando insieme. È un po' come se la nostra vita cristiana fosse tra parentesi e non avesse a che fare con la vita concreta di ogni giorno.
Anche con noi oggi cammina Gesù risorto, ma i nostri occhi non riescono a vederlo. In che modo Gesù è con noi?
Nelle Scritture Sante che leggiamo personalmente, in famiglia e ascoltiamo nelle celebrazioni. Con le Scritture Gesù ci è accanto e col suo Spirito ci illumina, ci consola, ci da speranza, ci aiuta a camminare nella fede.
È con noi quando ci fermiamo a pregare.
È con noi quando amiamo e serviamo i nostri fratelli. Essi oggi più che mai sono sacramento del Signore, cioè segno concreto della sua presenza. Egli disse: "ogni volta che fate qualche cosa a un mio fratello più piccolo avrete fatto a me".
Due segni, come nel vangelo, indicano la presenza del Risorto accanto a noi:
- la gioia: il cristiano gioioso testimonia che anche nelle difficoltà il Signore è con lui, non è triste perché nel Signore intravede vie di uscita e di rinnovamento;
- la necessità di raccontare agli altri la nostra vita cristiana e di testimoniare che è bello seguire Gesù.
Chiediamo al Signore che è sempre con noi, di sperimentare la sua presenza e di essere capaci di vedere la luce nel buio, di andare avanti anche nelle difficoltà, di comunicare speranza perché lo abbiamo incontrato nella Scrittura e nei fratelli che ci stanno accanto.
Buona domenica a tutti anche a nome di don Alessandro, don Jonathan, don Fausto, il diacono Claudio e le nostre care suore.
Don Marco
LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Mincio
Goito 26 aprile 2020 III domenica di Pasqua
LetturaLa liturgia odierna propone la lettura di un passo del vangelo di san Luca preso dal "trittico delle apparizioni pasquali". La prima scena del trittico è costituita dal ritrovamento del sepolcro vuoto e dall'annuncio pasquale alle donne (Lc 24, 1-12). La seconda scena riguarda il nostro brano (Lc 24, 13-35). Infine si ha l'apparizione del Risorto agli undici (Lc 24, 36-43). Dalle donne, protagoniste all'inizio, si passa ai due discepoli, per giungere infine agli Undici, i testimoni ufficiali dell'annuncio evangelico.
Luca 24, 13-3513Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: "Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?". Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: "Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?". 19Domandò loro: "Che cosa?". Gli risposero: "Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto". 25Disse loro: "Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?". 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: "Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto". Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l'un l'altro: "Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?". 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: "Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!". 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.CommentoIl racconto di san Luca inizia presentando due discepoli che, il primo giorno della settimana (la nostra domenica), lasciano Gerusalemme e scendono verso Emmaus. Anche se conversano "di tutto quello che era accaduto", non traspare nel loro discorso alcun riferimento all'evento pasquale che si era realizzato. Essi ormai hanno chiuso la parentesi felice, piena di progetti e di speranze, vissuta col maestro di Galilea ed ora stanno scendendo verso la monotonia della vita abituale. Allora Gesù in persona si accosta per camminare con loro, ma essi non lo riconoscono, e a lui raccontano tutta l'amarezza e la delusione che portavano dentro. Anche l'esperienza fatta dalle donne al sepolcro, e narrata successivamente agli altri discepoli, non è stata sufficiente a rianimare in loro la speranza: "ma lui non l'hanno visto". È a questo punto che la narrazione segna una svolta attraverso l'azione decisa e piena di amore di Gesù. Egli assume la loro situazione negativa e, attraverso le Scritture spiegate minuziosamente, la rovescia: "e cominciando da Mosé e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui". L'azione di Gesù non si è ancora completata in quanto gli occhi dei due discepoli "erano impediti a riconoscerlo". Solo quando Gesù si ferma, dopo che essi avevano insistito ("resta con noi perché si fa sera"), e seduto a tavola spezza il pane, i loro occhi si aprono e lo riconoscono. È nell'Eucarestia che il riconoscimento di Gesù si realizza pienamente! A questo punto il racconto volge rapidamente a conclusione. Gesù scompare ed i discepoli ripensano all'esperienza fatta: "non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi...?". Ritornano poi a Gerusalemme dove ricevono l'annuncio ufficiale della risurrezione ed essi raccontano il loro incontro col Risorto.
In conclusione l'evangelista, volendo istruire il lettore credente, lo invita a riflettere sul suo itinerario di vita spesso percorso senza speranza nel Risorto. Con i discepoli cammina sempre il Signore, che ha la possibilità di cambiare radicalmente la loro vita spesso triste ed amara. È la compagnia assidua con le Scritture e la partecipazione consapevole all'Eucarestia che permettono un incontro autentico con Cristo. La mensa della Parola e del Pane, nel giorno del Signore, è culmine e punto di partenza della vita cristiana. Soltanto l'incontro con Gesù Cristo risorto fa nascere la fede, la alimenta e la porta a pieno compimento.
La vitaCerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare,per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
Se abbiamo la possibilità, prendiamo foglio e matita e scriviamo le nostre riflessioni. In questo modo si fissano meglio nel nostro cuore e avremo modo di rileggerle nella settimana.
Le Lectio delle domeniche prcedenti vengono salvate nella sezione Calendario – Archivio.
Rubrica, curata da don Alessandro, dove ogni giorno viene commentata brevemente la frase di un autore, non necessariamente cristiano. Per custodire, in questi tempi difficili, non solo la salute del corpo e della mente, ma anche quella dello spirito.
Domenica 26 aprileQuella di voler sperimentare tutte le cose è una strada tortuosae un cammino senza fine.(San Bernardo di Chiaravalle)
Oggi viviamo in un mondo pluralistico, dove abbiamo la possibilità di usufruire e di godere di una moltitudine di cose. I bambini hanno un sacco di attività tra cui poter scegliere nel tempo libero: calcio, karate, e qualsiasi altro sport. Sugli scaffali di un supermercato una donna che fa la spesa ha la possibilità di scegliere tra un'enormità di prodotti. Se mi metto davanti alla TV con il telecomando in mano, posso ormai navigare in un mare di canali.
Questo pluralismo è certamente un dono per il nostro tempo, ma può trasformarsi anche in un limite poiché la mia libertà è disorientata e, paradossalmente, fa più fatica a compiere delle scelte. Si vorrebbe sperimentare tutto prima di scegliere, poiché potrebbe esserci una cosa migliore che non ho vagliato, ma a questo punto si finisce col non scegliere mai. Trasportiamo questo discorso nella relazione con le persone, nella scelta di una compagna, o in una scelta di vita, matrimoniale o religiosa, e ci accorgiamo che il rischio è quello di non scegliere mai.
Ma ciò che da pienezza e senso alla vita non è provare tutto, ma il "gustare molto" una cosa, forse l'unica, ma fino in fondo. È giocarsi in una scelta definitiva, di donazione totale e unica, e viverla fino alla fine.
Per dirla con le parole di ieri, questa è la vera libertà: non il volo di un moscone, la libertà è partecipazione alle cose, è "giocarsi".
Sabato 25 aprileLa libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone.La libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione.(G. Gaber, cantautore)
Quel 25 aprile di 75 anni fa, il popolo italiano vide concludersi una delle più sanguinose guerre della storia, la seconda guerra mondiale, e ottenne la liberazione da ogni forma di occupazione da parte di un paese ostile. Forse solo chi ha vissuto una guerra come quella può assaporare il dono della libertà.
Libertà non è star sopra un albero a guardare chi passa, o a godersi una brezza leggera. Libertà non è nemmeno il volo di un moscone, che vaga di qua e di là a proprio piacere a seconda di come tira il vento.
Libertà è partecipazione, è impegno, è azione, talvolta anche lotta pacifica per ciò in cui si crede e per coloro che si amano. Libertà è coinvolgimento di tutto se stessi: della mente, delle emozioni, del cuore in un progetto o in una causa che ci supera e per la quale vale la pena di vivere, forse anche morire.
Libertà è partecipazione. Facciamo memoria di tutti coloro che, in nome della libertà, hanno perso la propria vita.
Venerdì 24 aprileAlla sera della vita saremo giudicati sull'amoreS. Giovanni della Croce
C'è un bellissimo passo del Vangelo in cui Gesù afferma che, quando verrà alla fine dei tempi nella sua gloria, interrogherà ognuno di noi chiedendoci se gli abbiamo dato da mangiare quando era affamato, se gli abbiamo dato da bere quando era assetato, se lo abbiamo accolto quando era straniero, se lo abbiamo visitato quando era malato o in carcere. "Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40). Alla sera della vita, saremo giudicati sull'amore che abbiamo avuto nei confronti dei nostri fratelli, soprattutto quelli più "poveri".
Ogni persona, in particolare la più bisognosa, è "sacramento" di Cristo, cioè sul suo volto scorgiamo il volto crocifisso e risorto di Gesù. Questa immagine è all'origine della mia vocazione sacerdotale. Quando ero ancora giovane, insieme ad alcuni amici del gruppo missionario del mio paese, aiutavo i più poveri e sul loro volto mi sembrava svelarsi il volto di Gesù sulla croce che mi diceva: "Ho sete" (Gv 19,28).
Un giorno Papa Giovanni Paolo II disse: "Gli occhi dei bambini africani ci giudicheranno".
Non restiamo indifferenti ai bisogni di chi ci circonda, anzi lasciamo che la carità verso di loro edifichi la nostra vita nel segno del sacrificio, del dono e della gioia.
Alla sera della vita saremo giudicati sull'amore.
Giovedì 23 aprileSe il giovane sapesse e il vecchio potesse, non ci sarebbe cosa che non si farebbe(Papa Francesco)
Gli anziani hanno, o dovrebbero avere, il dono della saggezza. L'esperienza della vita infatti ha insegnato loro molte cose di cui fare tesoro.
I giovani invece hanno, o dovrebbero avere, il dono della freschezza: si sentono protagonisti dell'esistenza che hanno davanti e vivono nel desiderio e nell'entusiasmo di poter realizzare i propri sogni.
Se ogni persona potesse essere saggia come un anziano e fresca come un giovane!
Ciò in genere non è possibile, poiché si porta con sé anche o la stanchezza della vita o l'imprudenza di chi la vita non l'ha ancora conosciuta.
È possibile tuttavia fare in modo che queste virtù, quelle della saggezza e della freschezza, si incontrino dentro qualsiasi comunità che possa dirsi "civile".
I giovani dovrebbero valorizzare gli anziani, mettersi loro in ascolto, fare tesoro della sapienza da loro acquisita soprattutto attraverso le prove della vita. In tal senso i vecchi sono un patrimonio, e non lo scarto, di una comunità.
Ma allo stesso tempo i più anziani dovrebbero dare fiducia ai giovani, lasciar loro esprimere la propria freschezza e intraprendenza, guidandoli coi propri consigli. Una comunità in cui i più anziani non "lasciano spazio" ai giovani, è una comunità senza futuro, e purtroppo questo capita spesso, si pensi solo a quanto concerne la classe politica e dirigente piuttosto che, me lo si lasci dire, anche la Chiesa stessa!
Per una comunità, fare sintesi tra la saggezza degli anziani e la freschezza dei giovani è possibile solo attraverso un dialogo autentico e sincero tra le generazioni.
Allora tale comunità potrà definirsi davvero "civile".
Mercoledì 22 aprileIo diffido di coloro che non hanno mai provato difficoltà a credere;vuol dire che non hanno mai capito di ciò che si tratta.(J. Green, scrittore)
Proprio nella liturgia di domenica scorsa, il Vangelo presentava la figura di Tommaso, che dubitò dell'apparizione del Signore risorto ai suoi compagni e solo quando lo vide di persona credette e disse: "Mio Signore e mio Dio!" (Gv 20,28).
In fondo Tommaso ci è un po' simpatico, poiché in lui ritroviamo la parte non credente che è in noi, ovvero la nostra fatica a credere fino in fondo. Chi non ha mai avuto dubbi, forse non ha percepito che cosa significhi rimanere come dei piccoli mendicanti di fronte all'immensità di Dio: di un Dio morto e risorto, Uno e Trino, Dio e uomo allo stesso tempo.
Quando il dubbio non è radicale, ma nasce dalla percezione della propria sproporzione rispetto a Dio e alla sua grandezza, è un dubbio sano, che ci mette in moto nel ricercarlo, nell'interrogarlo, nel desiderarlo.
Un giorno, sant'Agostino in riva al mare meditava sul mistero della Trinità, volendolo comprendere con la forza della ragione. S'avvide allora di un bambino che con una conchiglia versava l'acqua del mare in una buca. Incuriosito dall'operazione ripetuta più e più volte, Agostino interrogò il bambino chiedendogli: «Che fai?» La risposta del fanciullo lo sorprese: «Voglio travasare il mare in questa mia buca». Sorridendo Sant'Agostino spiegò pazientemente l'impossibilità dell'intento ma, il bambino fattosi serio, replicò: «Anche a te è impossibile scandagliare con la piccolezza della tua mente l'immensità del Mistero trinitario». E detto questo sparì.
Martedì 21 aprileUn aneddoto su San Francesco di SalesUn giorno si presenta a San Francesco di Sales un energumeno che comincia a vomitare insulti e a gesticolare quasi volesse venire alle mani. Il santo vescovo di Ginevra, dalla proverbiale pazienza, sta come un albero sotto la pioggia. Sotto quel diluvio di ingiurie, rimane tranquillo finchè l'altro si calma. Quando finalmente tace, san Francesco dice: "Potete dire quello che volete, potete anche cavarmi un occhio, ma vi avverto che, in questo caso, me ne rimane un altro per guardarvi con amore".
Lunedì 20 aprileAnche un orologio fermo segna l'ora giusta due volte al giorno(Hermann Hesse, scrittore)
Ci sono momenti della vita in cui percepiamo di avere davvero poco valore. La nostra autostima cade sotto i piedi e rischiamo di cadere in una sorta di depressione. Non vediamo nulla di buono in noi e crediamo che gli altri non ci diano alcun valore.
Ma un orologio, anche quando è fermo, segna l'ora giusta almeno due volte al giorno. Non c'è persona nella quale non possiamo trovare qualcosa di buono, delle qualità e dei doni. Incluso me stesso. Convincermi di ciò non è sempre facile, quando tutto sembra andare male. Eppure Dio, che mi ha creato a sua immagine, ha messo una fiamma dentro di me che può essere sempre alimentata e fatta crescere. In questo l'aiuto di persone vicine, buone, che mi incoraggino, è determinante.
Quando l'orologio non si muove, si muove comunque il tempo e il tempo è di Dio, non è nostro. Perciò lasciamo che il Signore riveli a noi "il tesoro nascosto nel campo" (Mt 13,44) della nostra persona, tutte potenzialità che ci ha donato, le più recondite, e abbiamo fiducia in noi stessi. Ricorda! Dio possiede una grande fiducia in te, anche quando ti sembra di essere "fermo".
DOMENICA 19 APRILE 2020 – Domenica in Albis e della Divina Misericordia Carissimi amiche ed amici delle parrocchie dell'Unità Pastorale Mincio (Goito, Cerlongo, Solarolo e Vasto) buon giorno e buona domenica.
Per una settimana abbiamo vissuto la grande festa di Pasqua, anche se in modalità e situazioni completamente diverse da come l'avremmo immaginata. Però Gesù Cristo è con noi e non ci abbandona mai anche in questa situazione di pandemia.
Le letture di questa domenica mi hanno suggerito di condividere con voi alcune mie riflessioni. Il vangelo dice che i discepoli erano richiusi in casa per paura dei giudei. Temevano di subire anch'essi la stessa sorte del loro maestro. Anche noi in questi giorni siamo pieni di paure. Paura del virus e del contagio in cui si può incappare. Paura della gente perché non si sa cosa portino in giro. Paura di essere abbandonati e di non uscire più da questa situazione. Anche il papa spesso prega per tutti quelli che in questo tempo hanno tanta paura in particolare per gli anziani. Anche a noi, come ai sui discepoli, Gesù dice state in pace, non abbiate paura perché io sono sempre con voi non vi abbandono.
Però noi oggi ci sentiamo molto Tommaso: vogliamo vedere, vogliamo toccare, vogliamo delle certezze, vogliamo le prove della sua presenza. Il non trovarci insieme, a celebrare nel Giorno del Signore, acutizza di più la distanza, il dubbio, la paura. Il trovarci insieme sostiene, da speranza, ci aiuta a compiere insieme il nostro atto di fede nel Signore risorto. Però ringraziamo la Provvidenza che alla domenica abbiamo la grande opportunità di trovarci uniti nella celebrazione Eucaristica, trasmessa dalla nostra basilica. In questo momento è un grande aiuto e ringraziamo il Signore e chi ci permette di realizzarla.
Gesù oggi ci ricorda alcune realtà fondamentali della nostra vita cristiana.
1. Anche noi come i discepoli rinchiusi nel cenacolo abbiamo ricevuto lo Spirito Santo. Ci è stato donato col sacramento del Battesimo e viene continuamente rinnovato con la preghiera, con la lettura e la meditazione della Scrittura e con l'Eucaristia. Dobbiamo esserne consapevoli sempre più: Lo spirito Santo è con noi e noi siamo il suo tempio.
2. Il Signore risorto attraverso il sacramento della Riconciliazione, affidato alla chiesa, perdona i nostri peccati, ci dona la sua misericordia e ci rende creature nuove. Questo sacramento oggi non possiamo celebrarlo, ma se chiediamo scusa e perdono al Signore la sua misericordia ci copre completamente, in attesa di vivere il sacramento.
3. Anche noi come i discepoli possiamo toccare le piaghe del Risorto. In che modo? Le sue piaghe che sono presenti nelle nostre sorelle e nei nostri fratelli ammalati e sofferenti. Non possiamo muoverci è vero, ma abbiamo il dono meraviglioso degli strumenti tecnologici, che permettono di annullare le distanze. Allora telefoniamo a qualcuno che sappiamo in difficoltà. Infondiamo in lui speranza condividendo la sua prova. Facciamo in modo che non si senta solo. Realizziamo qualche video chiamata con qualcuno che da tanto non vediamo o non sentiamo. Sentirci in cammino insieme aiuta molto a proseguire con speranza. Diamo aiuto, anche economico, a chi a causa del virus non ha più risorse materiali per vivere. Sono alcuni esempi ma la vostra fantasia sicuramente trova tante strade per toccare le piaghe del Risorto e per essere non increduli ma credenti.
Auguri di buna domenica della misericordia del Signore anche a nome di don Alessandro, don Jonathan, don Fausto, il diacono Claudio e le nostre care suore che stanno felicemente riprendendosi.
LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Mincio
Goito 19 aprile 2020 II domenica di Pasqua
LetturaIl brano del vangelo di san Giovanni, della seconda domenica di Pasqua, si colloca dopo il rinvenimento del sepolcro vuoto da parte di Maria Maddalena, di Pietro e del discepolo amato e segue la prima apparizione del Risorto a Maria, che lo scambiò per il giardiniere.
Gv 20, 19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi!". 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi". 22Detto questo, soffiò e disse loro: "Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati".24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore!". Ma egli disse loro: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo".26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: "Pace a voi!". 27Poi disse a Tommaso: "Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!". 28Gli rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!". 29Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!".30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.CommentoIl vangelo presenta due manifestazioni nel cenacolo di Gesù risorto. Nella prima, avvenuta il giorno stesso di Pasqua (vv.19-23), egli entra a porte chiuse nel "luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei giudei" e li saluta donando loro la pace. Questa, unita alla visione dei segni della passione sulle mani e sul costato, genera gioia nei discepoli che vedono il Signore. Gesù poi invia i suoi e li manda a prolungare l'opera che il Padre aveva a lui affidato: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". A sostegno della loro missione il Risorto dona lo Spirito Santo e ad essi conferisce il compito di rimettere i peccati: "a coloro a cui perdonerete i peccati saranno perdonati...". Al centro del brano abbiamo la presentazione di Tommaso (detto Didimo cioè gemello) che, non essendo stato presente "quando venne Gesù", manifesta scetticismo ed incredulità sull'accaduto (vv.24-25). La seconda manifestazione di Gesù avviene "otto giorni dopo", quando "i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso" (vv.26-31). Il Risorto, otre ad offrire nuovamente a tutti il dono della pace, indica personalmente a Tommaso i segni della passione presenti sul suo corpo e lo invita a "non essere più incredulo, ma credente!". A questo punto Tommaso riconosce Gesù e professa la sua fede: "Mio Signore e mio Dio!". Le parole di Gesù si chiudono annunziando la beatitudine di coloro che crederanno in lui, senza vederlo di persona.
Concludendo si può dire che solo con la resurrezione di Gesù il discepolo, per mezzo della fede, può ottenere da lui la pienezza della pace e della gioia. Queste sono rese stabili dal dono dello Spirito e dalla remissione dei peccati. Anche chi è scettico o dubbioso, incontrandosi con lui, approda ad una fede vera. I doni concessi dal Signore risorto sono per tutti i discepoli che hanno fede in lui, anche per coloro che nel corso dei secoli non incontrano direttamente il Risorto. Chi entra in questa dinamica può essere inviato dal Signore come suo testimone.
La vitaCerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare,per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
Se abbiamo la possibilità, prendiamo foglio e matita e scriviamo le nostre riflessioni. In questo modo si fissano meglio nel nostro cuore e avremo modo di rileggerle nella settimana.
Le Lectio delle domeniche prcedenti vengono salvate nella sezione Calendario – Archivio.
Rubrica, curata da don Alessandro, dove ogni giorno viene commentata brevemente la frase di un autore, non necessariamente cristiano. Per custodire, in questi tempi difficili, non solo la salute del corpo e della mente, ma anche quella dello spirito.
Domenica 19 aprileMuoio perchè non muoio(S. Teresa d'Avila)
S. Teresa d'Avila, questa grande santa spagnola del Cinquecento, non aveva paura di morire. Anzi, attendeva con ansia questo momento.
Muoio perchè non muoio.
Muoio dal desiderio di incontrare Dio e di vederlo finalmente faccia a faccia, nell'eternità.
Il linguaggio cristiano chiama la morte: "giorno della nascita". È un chiudere gli occhi sulla scena di questo mondo, per aprirli sul volto di Dio.
Non che uno debba desiderare la morte, poiché la vita è un dono di Dio da custodire e vivere appieno. Tuttavia, perchè noi uomini, e in particolare noi cristiani, abbiamo spesso così paura di morire? È per il dramma di lasciare i propri cari, che comunque un giorno ritroveremo, o non sarà forse perchè dubitiamo della vita eterna e della misericordia di Dio? Non sarà forse per una nostra mancanza di fede?
Muoio perchè non muoio.
Se avessimo nel cuore il desiderio di eternità e la fiducia nell'incontro definitivo con Dio che ci è stato promesso...se avessimo fede quanto un granello di senape (Mt 17,20), forse non avremmo così paura della morte.
Sabato 18 aprileLa vita donatela prima che il tempo ve la porti via(Card. A. Scola)
Tre uomini stavano compiendo un duro lavoro: portare tutto il giorno mattoni da un punto all'altro. Si avvicina un uomo e chiede al primo: "Che lavoro stai facendo?". Ed egli risponde: "Non vedi, sto trasportando mattoni da una parte all'altra. E' un lavoro duro, tutti i giorni la stessa cosa!". Poi si avvicina al secondo e gli chiede: "Che lavoro stai facendo?". Ed egli risponde: "Non vedi, trasporto mattoni da qui a là. E' un lavoro duro, ma lo faccio con piacere per mantenere la mia famiglia". Poi si avvicina al terzo e gli chiede la stessa cosa: "Che lavoro stai facendo?". Ed egli risponde: "Ma come, non vedi? Io sto costruendo una cattedrale!".
Anche attraverso piccole azioni, facciamo che la nostra vita diventi la costruzione di una cattedrale, di qualcosa di grande. Ciò è possibile solo se permettiamo alla nostra vita di essere un dono per gli altri.
La vita può apparire lunga per chi è agli inizi; per chi ormai ha raggiunto una certa età può sembrare invece breve e colma di rimpianti, di occasioni mancate.
Un salmo afferma: "Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti; ma quasi tutti sono fatica e dolore, passano presto e noi voliamo via" (Sal 90,10).
Passano in fretta e voliamo via. Pertanto vale la pena di non sciupare la vita che ci è donata, e il miglior modo per viverla fino in fondo è quella di farne un dono, una splendida cattedrale.
Venerdì 17 aprileOggi ho molto da fare, dunque pregherò almeno quattro ore(Martin Lutero)
Tutta la forza di questa frase sta nel "dunque".
Spesso prevale la logica contraria: "Ho molto da fare, dunque ho poco tempo per pregare".
No. Se ho molto da fare, devo pregare di più, perchè ci deve essere una proporzione tra quello che faccio e quello che prego. Per un cristiano la preghiera è ciò che sostiene tutto il resto. "Un cristiano che non prega è un cristiano povero", diceva il mio parroco don Antonio.
Ci lamentiamo della mancanza di tempo? Ma è proprio mancanza di tempo o piuttosto scarsità di amore? Se sappiamo impiegare del tempo nella preghiera, alla fine saremo ricchissimi di tempo, perchè quello che ci rimane è completamente diverso: fa un salto qualitativo. Se ne intuisce la ragione: quello che faccio, poi parte dal mio centro.
Ho in me la forza di Dio.
Giovedì 16 aprileL'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri e, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni(San papa Paolo VI)
Un giorno un ragazzo di ritorno dalla Giornata Mondiale dei Giovani, riferendosi al card. Martini e alle catechesi che aveva fatto, mi disse: "È l'unico che non ci ha fatto delle prediche".
L'uomo contemporaneo è stanco di maestri perchè è stanco di prediche e di parole; egli ascolta più volentieri i testimoni, ossia chi "parla" attraverso la propria vita, poiché quello della vita è un linguaggio più immediato e soprattutto più credibile da accogliere.
Nel rito di ordinazione dei diaconi viene espressa questa formula: "Credi sempre ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni". Vivi ciò che insegni.
E il Mahatma Gandhi, che non era cristiano ma conosceva bene il Vangelo e soprattutto lo spirito delle Beatitudini, un giorno affermò: "Il miglior modo di predicare il Vangelo è viverlo. Una rosa non ha bisogno di prediche: diffonde il suo profumo ed è questa la sua predica. Fate che la vostra vita "parli" come una rosa. Persino il cieco, che non vede la rosa, ne viene attratto."
Mercoledì 15 aprileLa volontà di Dio non è scritta nei cieli, ma si decide nel mio cuore tra lui e me(J. Dupont, monaco)
Talvolta si dice, soprattutto riferendosi a qualche evento drammatico come la morte di una persona cara o a un disastro naturale, che "era volontà di Dio". Nulla di tutto ciò. La volontà di Dio infatti è sempre una volontà di bene. Non dobbiamo essere fatalisti. Se alcune cose succedono è spesso o per un cattivo esercizio della libertà umana, o semplicemente per la nostra fragilità costitutiva, cioè per il fatto che siamo limitati, mortali e non siamo Dio. Comprendere la volontà di Dio sulla mia vita è una cosa grande, ma anche un esercizio possibile: chiedermi a quale bene desidera condurmi, non senza la mia libertà. Per questo è fondamentale mettermi ogni giorno, o almeno in certi momenti decisivi, in condizioni adeguate, di silenzio interiore, per capire cosa Egli stia dicendo al mio cuore. Me lo potrà suggerire nell'ascoltare la sua Parola, percependo la sua voce nell'intimo della coscienza e confermandomi con la pace nel cuore.
"Sia fatta la tua volontà", si prega nel Padre Nostro. Qual'è? Non è predestinata e non è scritta nemmeno nei cieli, ma si decide nel mio cuore tra lui e me.
Martedì 14 aprileSe si potesse uscire dal dolore come si esce da una città!(V. Hugo, scrittore)
Quello del dolore è uno dei più grandi misteri dell'umanità e del credente che, di fronte ad esso, si interroga profondamente: perchè, o Dio, lasci che io soffra? Forse che non sei un Dio realmente buono e misericordioso?
L'esperienza ci dice che non si può uscire dal dolore come si esce da una città, che sia a piedi, in bicicletta o in auto. Anzi, vi sono occasioni in cui non si riesce proprio ad uscirne. Tuttavia il Signore Gesù, attraversando la passione e la morte e risorgendo, ci ha offerto la possibilità di inserire il nostro dolore dentro il suo, di portarlo in comunione con Lui e di fare esperienza che nella vita c'è di più della sola vita. Pertanto ogni dolore, per quanto grande sia, non è mai definitivo ma si apre, nella speranza, ad una gioia più grande che attende tutti noi.
Il dolore, in fondo, non ha l'ultima parola. Questa è la promessa del Risorto.
Lunedì 13 aprilePrima di parlare di qualcuno, cammina per una settimana con le sue scarpe(Proverbio rwandese)
Uno dei peccati più frequenti di cui mi capita di ascoltare nel confessionale è quello della mormorazione: "Signor arciprete, mi è capitato di mormorare, ma cosa vuole mai, siamo donne!", come se la mormorazione fosse una cosa naturale.
È assai facile cadere nel giudizio sugli altri, parlare male di qualcuno, criticarlo di fronte ad altri. È assai meno facile riprenderlo di persona, poiché richiede una buona dose di coraggio, franchezza e carità.
Se dovessimo metterci nei panni dell'altro, o come dice il proverbio indossare le sue scarpe, molto probabilmente la nostra lingua frenerebbe assai più di frequente. Poichè spesso non sappiamo che cosa l'altra persona stia attraversando: problemi di salute, turbamenti in famiglia, beghe su lavoro che non la lasciano tranquillo.
Prima di parlare di qualcuno cammina per una settimana con le sue scarpe: solo allora, e dopo allora, sentirai se quelle scarpe sono molto strette o troppo lunghe, se sono nuove o consumate dal cammino. Solo allora, e dopo allora, potrai esprimere un giudizio, nella speranza che sia per il suo bene e per il bene della comunità.
Rubrica, curata da
don Alessandro, dove ogni giorno viene commentata brevemente la frase di un autore, non necessariamente cristiano. Per custodire, in questi tempi difficili, non solo la salute del corpo e della mente, ma anche quella dello spirito.
Pasqua di Risurrezione 12 aprile
Il cristiano, uomo dell'attesa, è colui il quale per leggere il gran libro della storia comincia sempre dalla fine(Card. Etchegaray)
Leggere un libro, sapendo già il finale, potrà anche essere noioso; però ci permette di avere una chiave di lettura su tutto il testo, di interpretarlo più correttamente, di coglierne le sfumature nascoste. Il finale della vicenda di Gesù, centro della storia e dell'universo, è un finale positivo, quello della sua risurrezione. È ciò che oggi celebriamo. Esso ci permette di guardare non solo alla sua storia, ma anche alla nostra, con occhi carichi di speranza.
In questo tempo di Coronavirus abbiamo bisogno di speranza. La speranza non è tale se non ha un fondamento, altrimenti sarebbe pura illusione. Ciò che ci permette di sperare e di continuare a guardare avanti, insieme a tutti gli sforzi che l'uomo sta compiendo per debellare questo grande problema, non può essere solo terreno; ci è necessaria una speranza più grande, che vada oltre i nostri limiti, fatiche, delusioni e stanchezze. Questa speranza ha il nome di Gesù Cristo, morto e risorto per noi. In questo senso anche noi allora possiamo dire: "Andrà tutto bene!". Perchè "Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce" (Sal 23,1-2).
Buona Pasqua!
Sabato Santo 11 aprileLa preghiera ha per padre il silenzio e per madre la solitudine(G. Savonarola)
"Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c'è grande silenzio e solitudine". Sono queste le parole iniziali di un'antica omelia sul sabato santo. È il giorno in cui Gesù giace nel sepolcro. È il tempo del silenzio e della contemplazione.
In un epoca come la nostra, caratterizzata dall'intensità del fare e dall'efficienza, queste parole sono un po' fuori moda. Eppure, più che mai, ne avvertiamo la sete, il bisogno quasi fisico.
La preghiera, anche quando è fatta di parole, fiorisce dal silenzio e ad esso ritorna. Un silenzio non solo esteriore, ma interiore, che faccia tacere tutte le voci che impediscono di ascoltare la sola Parola che conta, quella di Dio che parla al cuore. Il silenzio di sé è il silenzio più difficile da raggiungere, ma è possibile con un esercizio quotidiano. Nella solitudine di una chiesa rimasta aperta, o nella riservatezza della propria stanza, di fronte ad un crocifisso che mi ricorda che nella solitudine non sono isolato.
In questo sabato santo, cerchiamo un po' di solitudine e di silenzio: Dio promette di parlare al nostro cuore.
Venerdì Santo 10 aprile
La vita si svolge in quattro fasi. Dapprima impariamo, poi insegniamo, poi ci ritiriamo e impariamo a tacere e nella quarta fase l'uomo impara a mendicare.(Proverbio indiano)
Anche la vita di Gesù ha attraversato queste quattro fasi. Dapprima, da bambino, impara gli insegnamenti dei suoi genitori; poi nei tre anni della vita pubblica insegna con discorsi, parabole, segni. Infine, durante gli ultimi giorni della sua vita, impara a tacere e quindi a mendicare.
A mendicare aiuto, vicinanza, ricerca di senso dal Padre per la vicenda che sta attraversando: "«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo spirò" (Lc 23,46).
Siamo tutti un po' mendicanti. Mendicanti di affetto, dalle persone più care; mendicanti di silenzio e tranquillità, dentro il rumore e la frenesia dei nostri tempi; mendicanti di salute e di speranza, in mezzo al dramma del dolore fisico e interiore; mendicanti di senso, nelle vicende che fatichiamo a comprendere; e infine, sopra tutto, mendicanti di Dio, poiché, come afferma Gesù, "senza di me non potete far nulla" (Gv 15,5).
Non abbiamo timore a sentirci dei mendicanti, soprattutto di Lui, poiché egli oggi è morto per noi e per la nostra salvezza!
Signore della vita, oggi più che mai, abbiamo bisogno di Te. Vieni in nostro aiuto!
Giovedì Santo 9 aprile
La farfalla non conta gli anni ma gli istanti: per questo il suo breve tratto le basta(R. Tagore)
Ci sono santi, come ad esempio San Luigi Gonzaga, che hanno avuto una vita relativamente breve (è morto a soli 23 anni), e che tuttavia hanno vissuto in pienezza. Per questo la loro vita è degna di essere ammirata e ricordata. Probabilmente hanno affrontato ogni istante di essa come se fosse l'ultimo, con grande intensità del cuore e con immenso amore, seguendo il comandamento di Gesù: "che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi" (Gv 13,34). La vita se ne può andare nel tempo di un battito d'ali; per questo ogni battito d'ali è un tempo tanto prezioso quanto unico e irripetibile.
Un cantautore italiano, Branduardi, cantava: "No, non perdetelo il tempo ragazzi, non è poi tanto quanto si crede, date anche molto a chi ve lo chiede, dopo domenica è lunedì".
Gli ultimi tre anni della vita di Gesù sono stati davvero intensi; l'ultima settimana ancora di più: in essa si concentra il mistero della nostra salvezza, in tanti piccoli istanti.
Gustiamo ogni istante della nostra vita come contenesse il respiro dell'eternità; allora ogni momento sarà fonte di stupore, non sarà mai scontato e ci donerà gioia piena.
Mercoledì 8 aprile
Dio ti ha dato due orecchie e una lingua perché tu oda più che tu non parli
(S. Bernardino da Siena)
Fa sempre piacere avere qualcuno che ci ascolti profondamente, a cui possiamo dire tutto sfogandoci un poco e a cui aprire il cuore. E se seguiamo la c.d. "regola d'oro" di Gesù, "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro" (Mt 7,12), intuiamo che il Signore chiama anche noi a farci attenti ascoltatori del nostro prossimo.
Ascoltare in profondità non è facile, anzi, è faticoso. Me ne accorgo soprattutto nel ministero del confessionale.
Richiede di essere attenti, di spegnere i propri pensieri per lasciare terreno libero e fertile alle parole di chi ci sta di fronte, di ridimensionarci per mettere l'altro al centro. Ma oggi, in una società in cui le parole circolano in sovrabbondanza, soprattutto attraverso i media, recuperare la dimensione del silenzio e dell'ascolto è più che mai urgente ed è un atto di grande carità verso il prossimo.
In questo periodo in cui siamo chiusi in casa per il Coronavirus, può essere un'occasione, preservati maggiormente dai consueti ritmi frenetici, quella di coltivare la dimensione dell'ascolto nella coppia e verso i figli.
Pertanto facciamo silenzio una volta di più e ascoltiamo una volta in più. Il Signore ce ne renderà merito.
Martedì 7 aprile
Le ragioni per cui credo sono simili a quelle per cui sto davanti ad una cosa bella o dico a una persona che le voglio bene(H. U. Von Balthasar, teologo)
Per quanto la ragione sia fondamentale nell'atto del credere, poiché ci aiuta ad approfondire la fede, a renderla più robusta e "ragionevole", ci accorgiamo che essa non basta. È necessario uno slancio del cuore che ci proietti in avanti e ci getti nelle braccia del Padre, che ci è venuto incontro attraverso suo Figlio Gesù. La fede, prima che un ragionamento, è quindi un'esperienza, che può essere suscitata, ad esempio, dall'incontro con il bello: stare di fronte ad un paesaggio di montagna, ad un fiore colorato, ad una bella persona, rimandano uno sguardo contemplativo a qualcosa di più grande, di sempre Oltre.
Così la fede può essere suscitata anche dall'esperienza dell'amore che viviamo quotidianamente: verso nostra moglie o marito, verso i nostri figli, verso, perchè no, gli amici più stretti. Stupirsi di fronte alla bellezza delle relazioni, soprattutto in questo tempo in cui il Coronavirus ci sta impedendo di viverle fino in fondo, significa assaporare il segno di una relazione più grande che è quella con Dio. Credere è entrare dentro una Relazione di amore che abbraccia tutti i figli dell'esistenza.
Credere quindi è fare un'esperienza: quella di un Dio "bello", buono e che mi vuole bene.
Lunedì 6 aprileNel mio qui ed ora c'è tutto e più del necessario(G. Sovernigo, prete e psicologo)
Diciamo la verità: di stare in casa iniziamo ad essere stanchi!
Se poi pensiamo che, con buona probabilità, dovremo stare chiusi in casa almeno un altro mesetto, sale in noi la tensione nervosa. Meglio non pensare troppo in là, ma vivere alla giornata.
Il miglior modo per pensare meno al futuro, è valorizzare il presente.
Pensare che, nel mio qui ed ora, ci sia più di ciò che mi è necessario. Pensare a questa giornata come potesse essere l'ultima della mia vita.
Allora ecco che la mia casa, che oggi mi sembra così stretta, quasi la vedo allargarsi, è il focolare dentro il quale custodisco gelosamente le mie cose, i miei ricordi, i miei affetti.
Inoltre il presente diventa un tempo non scontato che mi è dato come dono perchè in fondo, come è accaduto per molte persone che sono morte in questo periodo, potrei anche non esserci più, o potrebbero non esserci i miei cari.
Chiediamo al Signore la grazia di cogliere ogni momento, anche quello più scontato, come un tempo prezioso.
Chiediamo al Signore il dono della creatività, perchè non ci lasciamo vincere dalla noia e dallo scoraggiamento, ma sappiamo apprezzare il presente come tempo unico e irripetibile.
DOMENICA 5 APRILE 2020
Carissimi amiche ed amici delle parrocchie dell'Unità Pastorale Mincio (Goito, Cerlongo, Solarolo e Vasto) buon giorno.
Ci apprestiamo a vivere la Domenica delle Palme e tutta la settimana Santa in un modo inconsueto. Tutte le celebrazioni pubbliche sono sospese ed esse avverranno in forma strettamente privata. Ad esse vi potete partecipare collegandovi sul canale Youtube dell'Unità Pastorale Mincio.
La Settimana Santa inizia con la domenica delle Palme che ci ricorda l'ingresso di Gesù a Gerusalemme. Egli è accolto in modo festoso, ma sappiamo che dopo tale trionfo per lui inizierà l'esperienza dolorosa del tradimento, dell'arresto, del processo, della condanna, dell'esecuzione della sentenza, della crocefissione e della morte.
Oggi come allora sembra vera l'esperienza che si legge nel vangelo di Matteo: "si fece buio su tutta la terra". Siamo anche noi
nel buio a causa del coronavirus, così come lo era Gesù ed abbiamo la sensazione che il Padre ci abbia abbandonato: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Gesù però, anche se vive questo momento, non cessa di confidare nel Padre e con la preghiera del Salmo 22 esprime tutta la sua confidenza in lui, la sua fiducia e la sua speranza. Gesù sa che il Padre è con lui nel segno oscuro della nube che si è fatta presente sul Golgota, così come tante volte la nube è nella Scrittura segno della presenza di Dio: nel deserto col popolo ebraico e sul Tabor alla Trasfigurazione.
Anche noi siamo nella tenebra ma non da soli, perché il Padre è con noi nel segno della comunità cristiana alla quale apparteniamo, perché Gesù ha preso su di sé tutto questo negativo che è presente nel mondo fino alla fine dei tempi e lo ha redento, lo ha trasformato con la sua passione e morte. Egli ci ha donato la speranza della vita eterna, nella quale tutti ci porterà dopo che egli stesso l'ha inaugurata per sempre. Gesù ha portato con sé sul calvario tutti coloro che sono morti in questi giorni in un modo così assurdo e senza nessuno accanto, tutti gli ammalati, tutte le sofferenze delle famiglie, come ci ricorda papa Francesco. Quindi anche se isolati e costretti a "stare in casa", non siamo soli e le celebrazioni che avvengono nella nostra Basilica, in questo tempo di Passione e alle quali abbiamo la possibilità di partecipare dalle nostre case, rinforzano la nostra comunione col Signore e tra di noi, sono il segno concreto che non siamo soli e che Gesù è con noi. Lui è con noi e noi siamo con lui e questa famiglia si rafforza e si unisce sempre di più. Io ne sono certo perché Gesù è all'opera tra di noi col suo Santo Spirito e col Padre non ci abbandonano mai. Rinnoviamo questa fiducia nelle celebrazioni della Settimana Santa, facciamolo insieme per crescere nella fede nella speranza e nell'amore.
Maria la madre del Signore e la Madre nostra, che veneriamo col titolo di "Madonna della salute", ci sostenga in questo cammino, ci protegga da ogni male e ci aiuti a camminare in comunione tra di noi e col Signore.
N.B.
Sul sito dell'Unità Pastorale Mincio troverete da questa sera un piccolo strumento per la preghiera in famiglia. Oltre a seguire le celebrazioni in Parrocchia, del Vescovo o del Papa, potete nei giorni più significativi della Settimana trovare un piccolo momento tra di voi in famiglia per la preghiera. Riuniti insieme attorno ad un tavolo, pregate nei prossimi giorni.
Raccomando sempre la lettura della Sacra Scrittura ed in particolare di seguire il commento al vangelo della domenica: "la lectio".
Se potete raccomando anche la preghiera del santo Rosario, seguendola sui media.
Per la Domenica delle Palme non sarà distribuito in chiesa, l'ulivo che avete in casa, o qualsiasi ramo verde, sarà benedetto in contemporanea con quello della chiesa e avrà lo stesso significato. Alla fine della S. Messa di domani ci sarà un breve momento di adorazione eucaristica e poi mi recherò sul sagrato per benedire con l'Eucaristia tutti gli abitanti della nostra Unità Pastorale e per chiedere il dono della guarigione e della liberazione dal virus.
Buona domenica delle Palme a tutti
don Marco
LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Mincio
Goito 5 aprile 2020 domenica delle Palme
LetturaIl racconto della passione e morte di Gesù di Matteo, pur articolandosi secondo lo schema caratteristico di Marco e Luca, presenta un orientamento proprio. È necessario quindi leggere con attenzione la narrazione perché dai fatti, dai personaggi, dai discorsi e dallo stile si evidenzia che tutto è costruito per una comunità di credenti che celebra, conosce e vive il mistero centrale della salvezza. La struttura del racconto può essere così articolata: la cena di addio 26, 14-29, l'agonia e l'arresto 26, 30-56; il processo davanti ai giudei 26, 57-27, 10; il processo davanti ai romani 27, 11-31; il calvario 27,32-54 e la tomba sigillata 27, 32-66. Ci soffermeremo soltanto sulla penultima parte, iniziando da quando Gesù, schernito e spogliato del mantello, va verso la crocefissione.
Matteo 26, 14-27, 66...45A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. 46Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: "Elì, Elì, lemà sabactàni?", che significa: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". 47Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: "Costui chiama Elia". 48E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. 49Gli altri dicevano: "Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!". 50Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito. 51Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, 52i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. 53Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. 54Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: "Davvero costui era Figlio di Dio!".CommentoLa prima scena è costituita da un insieme di fatti che capitano durante il tragitto verso la crocefissione. Simone di Cirene porta la croce di Gesù; sul Golgota con la bevanda di vino mescolato a fiele e con lo spartirsi le vesti, tirandole a sorte, si concretizza quanto detto dai salmi 68,22 e 22,19. Gli aguzzini, che fanno la guardia al crocefisso ed ai due malfattori, innalzati accanto a Gesù, sottolineano che il "re dei giudei" è esposto alla pubblica infamia. La croce, come ogni mezzo di tortura, prima di annientare la vita fisica del condannato, lo espropria della sua dignità umana. La seconda scena presenta gli insulti indirizzati a Gesù dai passanti, dai sommi sacerdoti e dai concrocefissi. Tutti costoro, in sintonia con l'immagine del "giusto" sfidato dagli empi (cfr.Sal 22), chiedono che Gesù manifesti la sua grandezza evitando una morte ignominiosa e degradante. Egli invece sceglie di rivelare la sua identità di figlio di Dio, rimanendo fedele al Padre anche nella condizione di estrema impotenza e miseria, caratteristiche di molti uomini. L'ultima scena narra la morte di Gesù. Il quadro complessivo è dato dalla tenebra che ricopre tutta la terra da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio. Questo segno si collega con le tradizionali immagini bibliche della manifestazione di Dio. In mezzo alla tenebra Gesù, ispirandosi al salmo 22, lancia un grido che da un lato rivela la prova in cui giace l'orante e dall'altro indica la piena fiducia in uno sbocco positivo, anche se ci si trova in una situazione estrema. Alcuni dei presenti fraintendono il grido di Gesù cercano, con interventi umani di alleviare le sue sofferenze. Ma egli, lanciando un altro grido, muore. Alla sua morte seguono dei segni apocalittici. Il velo del tempio si spezza ed il terremoto annuncia la resurrezione dei morti, secondo la profezia di Ezechiele 37,12. La tenebra con gli altri segni muove la reazione del centurione e di coloro che erano con lui. Costoro, assieme alle donne, costituiscono il primo gruppo di persone che, pieni di timore religioso, riconoscono in Gesù il Figlio di Dio.
Concludendo si può dire che tutto quanto accade sul Calvario è il compimento delle Scritture, che Gesù ha seguito fedelmente per compiere con amore la volontà del Padre. Questa ha la preminenza anche nell'umiliazione della croce. Anche il lettore cristiano, che incontra gli insulti rivolti al crocefisso, nutre sempre più la certezza che il giusto è effettivamente liberato da Dio. Di conseguenza la morte di Gesù, con i segni ad essa collegati, diventa la dichiarazione ufficiale della fine del compito del tempio e di tutte le tradizioni antiche, perché da quel momento inizia, per mezzo di Gesù, la vittoria definitiva di Dio sulla morte e lui è il nuovo tempio. Allora chi incontra autenticamente la morte di Gesù, sperimentando la liberazione dal male, diventa iniziatore di un movimento di conversione e di fede per sé e per gli altri, destinato a diffondersi sempre più.
La vitaCerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare,per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
Se abbiamo la possibilità, prendiamo foglio e matita e scriviamo le nostre riflessioni. In questo modo si fissano meglio nel nostro cuore e avremo modo di rileggerle nella settimana.
Le lectio delle domeniche precedenti vengono salvate nella sezione Calendario - Archivio
Rubrica, curata da
don Alessandro, dove ogni giorno viene commentata brevemente la frase di un autore, non necessariamente cristiano. Per custodire, in questi tempi difficili, non solo la salute del corpo e della mente, ma anche quella dello spirito.
Domenica delle Palme 5 aprileIl successo è la capacità di passare da un fallimento all'altro senza perdere l'entusiasmo(W. Churchill)
Questa frase del capo di stato che governava l'Inghilterra durante la seconda guerra mondiale, la vidi dipinta su un muro del reparto di psichiatria dell'ospedale di Mantova. Come un invito, a coloro che nella propria vita stavano attraversando un tempo di depressione, a reagire, a non lasciarsi trascinare nel baratro, a non perdere la speranza. Oggi è la domenica delle Palme, in cui si fa memoria di Gesù che entra trionfante tra la folla a Gerusalemme. In realtà lo attendono la passione e la croce. E quindi la risurrezione, il trionfo della vita sulla morte. La vita è fatta anche di piccole morti quotidiane, di momenti in cui l'umore si abbassa, di fasi in cui si vede tutto nero. Coltivare la speranza nel cuore significa credere che, nonostante tutto, ce la farò; che ci sarà qualcuno a prendermi per mano; che posso continuare a guardare avanti.
Che per avere successo nella vita non devo fare grandi cose: basta non lasciarmi rubare l'entusiasmo e la speranza.
Sabato 4 aprileMeglio inciampare sul pavimento che con la lingua(dalla Bibbia, Sir 20,18)
È proprio vero che le parole che usiamo possono ferire più di un pugno o di una sberla; per questo dobbiamo porre attenzione a cosa diciamo, pensarci prima bene e non muovere la lingua solo sull'onda delle emozioni. Ciò è esercitare la virtù della prudenza.
Prima di parlare, se è possibile, può giovare farci tre domande. La prima è: cosa sto per dire? Ma la seconda domanda è altrettanto importante: come lo dico? Dire una cosa buona con tono aggressivo e arrabbiato deforma il contenuto di ciò che affermo, poiché la forma è già sostanza. Infine l'ultima domanda riguarda il fine: perchè lo dico? Qual'è la mia intenzione? Dico questa cosa per informare o per attaccare, per comunicare qualcosa o per togliermi un sassolino dalla scarpa?
La lingua può essere incisiva come una spada a due tagli e comunica ciò che abbiamo nel cuore. Per questo è meglio inciampare sul pavimento che con la lingua.
Venerdì 3 aprileTutti siamo forestieri. È un autentico cristiano chi riconosce d'essere forestiero perfino nella propria casa e nella propria patria.(Sant'Agostino)
Se avessimo piena consapevolezza che in fondo in questo mondo siamo davvero ospiti, che la vita terrena è un pellegrinaggio che dura un breve tratto, e che nulla di fatto è nostro ma è dato come un dono, guarderemmo alle cose, alle persone e alla vita in tutt'altra prospettiva.
San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi scrive: "Che cosa possiedi che tu non l'abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perchè te ne vanti come se non l'avessi ricevuto?" (1 Cor 4,7).
Tutto ciò che possiedo è passeggero. Che cosa posso dire veramente "mio"? Vale la pena di legarsi in modo bramoso alle cose?
Sono italiano: per diritto, per nascita, per storia. Ma non siamo in fondo tutti un po' forestieri in un'unica patria che è questo mondo? È proprio così lecito impedire ad una persona che muore di fame nel proprio paese, di spostarsi nel mio ove esiste, probabilmente non grazie a me, maggiore benessere?
In fondo il significato della parola "cattolico" è "universale".
Se avessimo la consapevolezza di essere tutti forestieri in questo mondo, il nostro cuore sarebbe più attento alle cose essenziali, le nostre mani più generose, i nostri piedi, che toccano questa terra, più grati alla vita.
Giovedì 2 aprileChi può, metta; chi non può, prenda(nelle strade di Napoli)
Questa frase è stata scritta su un cesto appeso con una corda ad un balcone di Napoli, visibile a coloro che passavano per la strada. Fa appello alla coscienza e alla generosità delle persone, in questo periodo difficile che, per la cessazione del lavoro, rischia di mettere in difficoltà economica alcune famiglie che normalmente non hanno problemi di sussistenza. Chi può, metta dentro dei generi alimentari; chi non può, cioè chi non ha mezzi sufficienti, li prenda liberamente e li porti a casa. In questi giorni mi sto rendendo conto di come si stia risvegliando nella gente un senso di solidarietà generalizzato. Singole famiglie, imprese, chiedono in parrocchia se ci sono persone che hanno problemi economici e sono disposte a dare o fare qualcosa. Anche dai giornali si legge come diversi imprenditori, e anche la diocesi mantovana, abbiano donato dei soldi a favore degli ospedali che necessitano di risorse economiche ulteriori, per supplire alla carenza di mezzi per la cura delle persone. Nei periodi più difficili, nell'uomo si risveglia o il peggio o il meglio di sé, ma quasi sempre è quest'ultimo a prevalere, quel senso di solidarietà che il Signore ha messo nelle profondità del nostro cuore e che rende l'uomo autenticamente uomo e "sacramento" dell'amore di Dio.
Mercoledì 1 aprileAfferrate stretto un fiore, ed esso non potrà più rivelarvi la sua bellezza; appassirà miseramente(H. Nouwen, scrittore)
Talvolta nel desiderio buono di tenere in mano un fiore per annusarlo, apprezzarne il profumo e la bellezza, corriamo il rischio di stringerlo troppo forte e di rovinarlo. Così è anche nel rapporto con le cose; così è soprattutto nelle relazioni con le persone. Vivere un rapporto autentico, di qualunque tipo esso sia (parentale, di amicizia, di amore...), significa sempre garantire all'altro quello spazio di libertà che gli permetta di essere ciò che si sente chiamato ad essere. Così ad esempio è con i figli. Talvolta, per il rischio di perderli, li teniamo stretti a noi, ne controlliamo e misuriamo ansiosamente ogni minimo passo, ma in realtà corriamo il rischio di soffocarli, di far perdere loro la libertà di esprimersi e la gioia di vivere. Finiamo per soddisfare più un nostro bisogno che perseguire il loro bene.
Teniamo aperta la mano con fiducia, coraggio e tenerezza: il fiore vivrà e spargerà tutto il suo profumo.
Martedì 31 marzoUna nave ancorata al porto è sicura, ma non per questo si costruiscono navi(W. Shed, scrittore)
Questa riflessione è per tutti, e in modo particolare per i giovani, per chi, cioè, ha tutta una vita davanti. Una nave non è costruita per rimanere ancorata al porto, ma per prendere il largo, gettare le reti per la pesca, scoprire nuove terre o anche semplicemente assaporare il vento sulla pelle. La navigazione potrà essere talvolta nella quiete, talvolta burrascosa o in mezzo alla tempesta. Ma per scoprire la bellezza della traversata, vale la pena correre questi rischi. Il rischio di camminare, di compiere dei passi, di prendere scelte importanti e definitive, di fare qualche gesto buono che sia controcorrente, il rischio, dimenticandosi di sé, di donare sé stessi. Dopotutto anche Dio si è preso un rischio con noi, quello di averci creati e creati liberi, nella speranza che facessimo della nostra vita un capolavoro. Dio ci ha creati con il desiderio dell'Infinito nel cuore. Non accontentiamoci di una vita calma e piatta, ma proviamo a fare in modo straordinario ogni cosa ordinaria, a gustare la presenza dell'Infinito in ogni cosa finita. Questa è la via per la santità; questa è la via per la felicità.
Lunedì 30 marzoNon darti troppo pensiero se uno è per te o contro di te; preoccupati piuttosto che Dio sia con te in tutto ciò che fai(dall'Imitazione di Cristo, testo medievale)
Ciò che gli altri pensano su di noi ha un grande effetto sul nostro stato d'animo, sui nostri pensieri e sulle nostre azioni. Ciò è tanto più vero quanto più si tratta di persone di cui abbiamo stima o a cui siamo comunque legati. Quando gli altri parlano bene di noi, ci sentiamo su di morale, andiamo in giro fieri e a testa alta; quando invece queste persone criticano il nostro operato, il rischio è quello di sentirci depressi, giù di morale.
L'effetto che può scaturire è quello di vivere come una banderuola, che segna il vento favorevole o contrario, rimanendo in balia del giudizio altrui.
Se invece riesco a distaccarmi dal giudizio altrui e a mettermi in ascolto della Parola del Padre che, come nel battesimo di Gesù, mi dice: "Tu sei il figlio mio, l'amato, in te ho posto il mio compiacimento" (Mc 1,11), allora mi sento amato per quello che sono e scopro che posso affondare saldamente le radici in questa verità. Sì, o Padre, "Tu mi scruti e mi conosci, tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo, ti sono note tutte le mie vie" (Sal 139,1-3).
Allora so, o Dio, che tu sei con me in tutto ciò che penso, sento e faccio, e non sono in balia più di nulla, nemmeno del giudizio degli altri.
DOMENICA 29 MARZO 2020
Buona domenica amiche ed amici delle parrocchie dell'Unità Pastorale Mincio (Goito, Cerlongo, Solarolo e Vasto).
Anche in questa quinta domenica di Quaresima vi raggiungo con una riflessione legata alle letture della Liturgia della Parola, per incrementare la nostra amicizia, per progredire insieme nella fede e per stringerci assieme a Gesù Cristo unico nostro pastore e guida.
Il vangelo di Giovanni, che narra l'episodio di Lazzaro, amico di Gesù richiamato in vita, ci invita a riflettere seriamente su questo tempo particolare che viviamo. Forse anche noi rivolgiamo a Gesù la stessa invocazione delle due sorelle di Lazzaro, Marta e Maria: se tu fossi stato qui tutte queste persone non sarebbero morte, non si assisterebbe alla velocissima diffusione del virus, non ci sarebbe questa crisi totale a cui assistiamo. E gridiamo: Gesù dove sei!
Gesù risponde con le stesse parole pronunciate alle due sorelle: "questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio". Ora noi vediamo solo la morte, il buio, il dolore, ma certamente si manifesterà la gloria di Dio: Gesù Cristo morto e risorto.
Infatti in tutti noi è radicato lo Spirito Santo fin dal giorno del nostro Battesimo (1a lettura dal profeta Ezechiele), per cui siamo persone viventi qui ora e per sempre nell'eternità. La presenza dello Spirito di Dio in noi, dice Paolo scrivendo ai cristiani di Roma (2a lettura), ci ha fatti morire al peccato ed in noi c'è il germe fecondo che ci risusciterà come ha risuscitato Cristo Signore.
Ci sono poi degli aspetti nella nostra vita che sono realmente anticipazioni della vita eterna che Dio ci darà. Lazzaro, Maria e Marta erano amici di Gesù. L'amicizia, il volersi bene tra persone, l'affetto vero sono manifestazioni dello Spirito di Dio che è in noi e sono anticipazioni di quell'amore infinito che Dio ci donerà in Paradiso. Se ci amiamo percorriamo giorno per giorno la scala che ci porterà certamente nel Regno dei cieli con Dio e con i nostri cari. Quindi facciamo di tutto per volerci bene e ogni sera, se ci fossero stati screzi, incomprensioni, liti, chiediamoci scusa e ripartiamo radicati nell'amore reciproco.
Gesù pianse quando si rese conto che l'amico Lazzaro era morto. Il pianto di Gesù rivela, oltre all'affetto che egli nutriva per l'amico, la grande sensibilità del maestro di Galilea che riservava nei confronti di ogni persona. Anche noi, come Gesù, se curiamo la nostra sensibilità per gli altri, l'attenzione per le persone che ci circondano, se piangiamo davanti alle sofferenze degli altri, davanti ai poveri abbandonati, davanti a tanti paesi martoriati dalle guerre ed in particolar modo la Siria, davanti ai bambini che muoiono ogni giorno perché denutriti o ammalati, davanti ai profughi che fuggono dalla guerra e dalla fame, siamo animati dallo Spirito di Dio che è in noi.
Immagino che anche noi, come i discepoli di Gesù, in questi giorni siamo pieni di paura. Gesù ci rivolge le stesse parole pronunciate ai suoi: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Con coraggio e decisione rispondiamo: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». Professiamo la nostra fede in Gesù Cristo e nella vita eterna domani mattina personalmente ed insieme quando alle ore 10 celebreremo in comunione la s. Messa. Tutti potrete partecipare da casa collegandovi su Youtube in diretta.
O Signore crediamo che tu sei il Cristo, che tu hai vinto la morte e vincerai anche questo morbo che ci sta affliggendo. Crediamo che ci libererai dalle paure e dai lacci della nostra morte. Sostieni la nostra fede, te lo chiediamo per intercessione di Maria che noi veneriamo col titolo di Madonna della Salute, Amen.
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Unità Pastorale Mincio
Goito 29 marzo 2020 V domenica di Quaresima
LetturaLa liturgia quaresimale continua a proporre passi dal vangelo di Giovanni. Nel "Libro dei segni" troviamo narrati sette miracoli di Gesù a fronte dei ventinove presenti nei vangeli sinottici. La scelta di sette miracoli-segno evidenzia l'intenzione simbolica dell'autore. Sette è il numero che indica perfezione e compiutezza. I sette miracoli-segno sono sufficienti per Giovanni a comunicare ai credenti la pienezza di grazia e di verità che la Parola incarnata ha portato agli uomini. Vediamo ora l'ultimo miracolo narrato: Lazzaro richiamato in vita da Gesù.
Gv 11, 1-451Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. 2Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3Le sorelle mandarono dunque a dirgli: "Signore, ecco, colui che tu ami è malato".4All'udire questo, Gesù disse: "Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato". 5Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. 6Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. 7Poi disse ai discepoli: "Andiamo di nuovo in Giudea!". 8I discepoli gli dissero: "Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?". 9Gesù rispose: "Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui".11Disse queste cose e poi soggiunse loro: "Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo". 12Gli dissero allora i discepoli: "Signore, se si è addormentato, si salverà". 13Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. 14Allora Gesù disse loro apertamente: "Lazzaro è morto 15e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!". 16Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: "Andiamo anche noi a morire con lui!".17Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. 18Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri 19e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. 20Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21Marta disse a Gesù: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà". 23Gesù le disse: "Tuo fratello risorgerà". 24Gli rispose Marta: "So che risorgerà nella risurrezione dell'ultimo giorno". 25Gesù le disse: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?". 27Gli rispose: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo".28Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: "Il Maestro è qui e ti chiama". 29Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. 30Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.32Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!". 33Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, 34domandò: "Dove lo avete posto?". Gli dissero: "Signore, vieni a vedere!". 35Gesù scoppiò in pianto. 36Dissero allora i Giudei: "Guarda come lo amava!". 37Ma alcuni di loro dissero: "Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?".38Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. 39Disse Gesù: "Togliete la pietra!". Gli rispose Marta, la sorella del morto: "Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni". 40Le disse Gesù: "Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?". 41Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: "Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato". 43Detto questo, gridò a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori!". 44Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: "Liberàtelo e lasciàtelo andare".45Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. 46Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. 47Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: "Che cosa facciamo? Quest'uomo compie molti segni.CommentoIl racconto giovanneo inizia con alcuni versetti di ambientazione. Sono presentati i personaggi della scena (Gesù, Lazzaro, Marta e Maria) e la località dove si realizza la vicenda: Betania. Lazzaro è ammalato e quindi le sorelle si premurano di informare Gesù della situazione: "Signore, ecco, il tuo amico è malato". Qui Lazzaro è chiamato l'amico, colui che è amato da Gesù. Sicuramente Lazzaro è qui da considerare come il rappresentante di tutti quelli che Gesù ama: i cristiani. Subito dopo l'evangelista presenta lo scopo del miracolo-segno, che sta avvenendo per mezzo di Gesù: "questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato". La malattia di Lazzaro non finisce con la morte. Gesù ridà al suo amico diletto la vita fisica, segno di quella eterna. La vita ridata a Lazzaro è il motivo immediato che fa precipitare la vicenda e che porterà Gesù alla morte, come primo atto della sua glorificazione, nella quale si manifesta la gloria di Dio. I versetti che seguono (vv. 7-16), infatti, sottolineano l'andare a morire di Gesù: "i giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo? ... allora Tommaso disse: «andiamo anche noi a morire con lui»". É evidente l'intersecarsi di tre temi: la morte di Lazzaro, quella di Gesù e quella dei discepoli. Tutto il movimento descritto è finalizzato alla fede dei discepoli: "perché voi crediate". Nei vv. 17-33 troviamo presentato l'arrivo di Gesù a Betania ed il suo incontro con Marta e Maria, sorelle di Lazzaro. Il dialogo con le due donne permette a Gesù di far conoscere che lui non è un profeta come tutti gli altri. Egli può dare la vita, quella vera, a condizione che si creda in lui. Infine nei vv. 34-40 si presentano il dolore di Gesù per l'amico che amava ("si commosse profondamente... scoppiò in pianto") e l'obiezione di Marta circa l'opportunità di togliere la pietra, perché Lazzaro ormai era morto da quattro giorni. Gesù risponde ancora una volta chiedendo di aver fede: "se crederai vedrai la gloria di Dio". La fede di Marta non solo permetterà di vedere manifestata la grandezza di Dio nel miracolo che sta per realizzarsi, ma anche è condizione per contemplare direttamente Dio nella resurrezione finale. Il brano si chiude narrando brevemente il miracolo. È Dio Padre che ridà la vita fisica a Lazzaro per mezzo di Gesù. Il "grido a gran voce" di Gesù, può essere benissimo collegato col grido del Calvario, attraverso il quale tutti i discepoli, animati dalla fede, vengono tirati fuori dal buio del sepolcro e liberati dai legami della morte.
In conclusione, Dio Padre, attraverso l'azione di Gesù, ridà la vita fisica a Lazzaro. Il miracolo è un segno che richiama la vita eterna donata a tutti i credenti. Chi crede in Gesù e si fida di lui partecipa della redenzione da lui ottenuta per tutti i suoi amici, attraverso la morte e la resurrezione. Ai discepoli è chiesto di perseverare, perché così incontreranno definitivamente la vita vera.
La vitaCerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare,per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
Se avete possibilità, prendete foglio e matita e scrivete le vostre riflessioni. In questo modo si fissano meglio nel vostro cuore e avrete modo di rileggerle nella settimana.
Le Lectio delle domeniche precedenti vengono salvate nella sezione Calendario - Archivio.
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Unità Pastorale Mincio
Goito 22 marzo 2020 IV domenica di Quaresima
Lettura
Anche il testo del vangelo di questa domenica, detto del cieco nato,(Gv 9, 1-41)si colloca nel "Libro dei segni". L'evangelista presenta Gesù che si rivela al popolo come inviato del Padre. In questa parte del vangelo di Giovanni hanno un posto determinante le feste giudaiche. La guarigione del cieco dalla nascita avviene a Gerusalemme durante la festa autunnale delle capanne o dei tabernacoli, in cui si festeggia per i raccolti di fine estate, facendo memoria del permanere degli israeliti sotto le tende nel deserto per quarant'anni.
Gv 9, 1-41.
In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va' a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa "Inviato". Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: "Va' a Sìloe e làvati!". Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov'è costui?». Rispose: «Non lo so».Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c'era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l'età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l'età: chiedetelo a lui!».Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da' gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l'ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell'uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell'uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: "Noi vediamo", il vostro peccato rimane».Commento.
Nei primi cinque versetti l'evangelista presenta la vicenda che riguarda Gesù, un uomo ceco dalla nascita ed i discepoli. Partendo da una loro domanda, che sottolinea il problema del rapporto esistente tra peccato e malattia fisica, Gesù risponde affermando che la cecità non è conseguenza di qualche peccato commesso. Essa è una delle tante situazioni nelle quali si evidenzia il limite umano creaturale. Nel nostro caso, attraverso l'opera di Gesù, è messo in risalto l'azione benefica di Dio creatore. É così delineato il significato del segno che Gesù sta per compiere; è un esempio della luce che viene nelle tenebre: "finché sono nel mondo sono la luce del mondo". Nei vv. 6-7 troviamo la sobria narrazione del miracolo. Gesù, come un terapeuta, applica del fango sugli occhi del cieco, comunicando così al poveretto la certezza che la sua condizione è presa in seria considerazione. Poi lo invia a lavarsi nella piscina di Siloe, che si trova ai piedi della collina su cui sorge Gerusalemme, a sudovest di essa. Questo fatto si collega ad altre guarigioni famose narrate dalla Bibbia. Pensiamo per esempio a Naaman il siro, che è guarito dalla lebbra dopo essersi immerso nel Giordano, su consiglio del profeta Eliseo (cf 2 Re 5, 10-14). Così anche il nostro cieco, immersosi nella piscina, guarisce dalla cecità fisica attraverso l'opera di Gesù, l'inviato di Dio. Da questo momento inizia una serie di confronti- inchieste (vv. 8-34) tra alcuni gruppi di persone e l'uomo guarito. Dapprima è interrogato dai curiosi, che vogliono sapere e conoscere tutti i particolari dell'avvenimento per avere l'esclusiva della notizia. A costoro l'uomo sa dire soltanto che egli è guarito attraverso l'opera di un uomo di nome Gesù. Poi viene esaminato dai farisei, che contestano la guarigione avvenuta di sabato. In questo giorno, infatti, non è permesso alcun lavoro ed impastare del fango è proibito. Essi consultano anche i genitori dell'uomo guarito, per avere ulteriori spiegazioni. Di fronte all'insistenza dei farisei e alle loro contestazioni l'uomo afferma, partendo dall'esperienza fatta, che Gesù è Dio: "Da che mondo e mondo, non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non fosse Dio, non avrebbe potuto far nulla". Infine (vv. 35-41) Gesù incontra nuovamente il cieco guarito. A costui si rivela e si manifesta nella sua identità di "Figlio dell'uomo". L'uomo guarito è desideroso di credere in lui e afferma, prostrandosi: "Io credo, Signore". Ora la guarigione è completa. Ha ricevuto la vista fisica ed ora vede anche con la fede che Gesù è il Signore, il Figlio di Dio. Nello stesso tempo l'evangelista presenta i farisei che si fissano inesorabilmente nella loro cecità. Così diventano vere le parole dette da Gesù: "sono venuto... perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi".
Concludendo, di può dire che Dio Padre, per mezzo di Gesù, è sempre vicino a coloro che soffrono a causa dei limiti della natura umana. Chi incontra Gesù e si lascia curare da lui arriva sicuramente ad uscire dal buio fisico per raggiungere anche la luce della fede. In questo cammino si incontrano pure molte difficoltà che vengono dall'esterno: il giudizio degli altri, le tradizioni, i condizionamenti familiari o dei gruppi di appartenenza, le nostre attività. Se si persevera nello stare con Gesù Cristo, ascoltando la sua parola ed eseguendo le sue indicazioni, ogni difficoltà si ridimensiona e si procede nell'itinerario di fede.
La vita
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci:
- Quale parte del vangelo letto e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare,per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
Rubrica, curata da
don Alessandro, dove ogni giorno viene commentata brevemente la frase di un autore, non necessariamente cristiano. Per custodire, in questi tempi difficili, non solo la salute del corpo e della mente, ma anche quella dello spirito.
Domenica 29 marzo
Uno ama col cuore che ha(G. Sovernigo, prete e psicologo)
Nella Bibbia il cuore è la sede delle decisioni più profonde e importanti.
Il nostro cuore è un organo sensibile, che porta impressi i segni della propria storia, delle esperienze fatte, dell'affetto ricevuto ma anche di quello mancato, dei desideri più alti così come delle paure più profonde. Uno discerne, sceglie e decide in base a tutto questo e quando Dio ci chiede di amare Lui, noi stessi e il nostro prossimo, ci sta chiedendo non di scalare l'Everest, ma di amare a partire da ciò che siamo nella nostra concretezza, con tutti i nostri doni e i nostri limiti. Insomma, nella vita uno fa ciò che può, l'impossibile lasciamolo a Dio solo! Per questo un genitore educa i propri figli come può, come riesce. Ce la metterà tutta, e tuttavia ci sarà sempre uno scarto tra ciò che i figli si attendono e ciò che egli può dare loro. Accettare questo scarto, questa "ferita del cuore", significa riconciliarsi con la vita e con sé stessi. Un prete porta con sé tanti sogni (guai se non fosse così!), ma poi deve anche accogliersi per ciò che è, con tutti i suoi limiti, fisici e caratteriali, che non sono mai pochi.
Uno ama col cuore che ha, e questa non è una brutta cosa, poiché Dio ci ha dato un cuore e la capacità di scendere in fondo ad esso per scoprire tutti i tesori che vi ha posto. Scoprire questi tesori preziosi e metterli a frutto in modo buono, è l'avventura della vita.
Sabato 28 marzoUn vero viaggio di scoperta non è cercare nuove terre, ma avere nuovi occhi(M. Proust, scrittore)
Vi sono persone, o forse siamo tutti un po' così, che hanno vivo in loro il desiderio di viaggiare. Il viaggio è anelito alla conoscenza, è desiderio di esperienza, è anche espressione della propria interiorità. Ma c'è un viaggio che, prima che fuori di noi, si compie dentro di noi. È il percorso di maturazione, umana e spirituale, che porta a vedere il mondo in una nuova prospettiva, quella dello stupore. Per questo è possibile viaggare stando a casa! Anche la mia casa, il mio giardino, o quel fiore che vedo tutti i giorni, può apparirmi diverso, nuovo. È il cammino che, nella tradizione spirituale cristiana, si chiama "conversione", ossia la possibilità di guardare al mondo, alle persone, agli eventi della vita e a me stesso, con uno sguardo "più alto", dalla prospettiva di Dio, ove tutto è meraviglia. Questo cammino è allo stesso tempo una grazia che viene dal Signore e un percorso che possiamo compiere con disciplina, attraverso la preghiera, l'ascolto della Parola e la carità, che danno forma al cuore.
La Quaresima è tempo di conversione e lo è ancor di più in queste settimane di Coronavirus, in cui viviamo un digiuno degli spostamenti e dei viaggi. Tuttavia, possiamo compiere quel cammino interiore che ci permette di guardare alla nostra stanza, alla nostra casa, al nostro giardino e alle solite persone più in profondità, con occhi capaci di cogliere, con stupore, dettagli sempre nuovi.
Venerdì 27 marzoDormivo e sognavo che la vita era gioia; mi svegliai e vidi che la vita è servizio; servii e m'accorsi che il servizio è gioia.(R. Tagore, poeta)
Fare esperienza che il servizio è gioia, è una delle scoperte più importanti della vita.
Chi di noi ha mai provato questa sensazione, svolgendo un servizio in parrocchia con i bambini, i ragazzi o gli anziani, o facendo un po' di volontariato per i più bisognosi? Anche in questo tempo di Coronavirus, apprezziamo quelle persone che, attraverso il loro lavoro di medici, infermieri, o altro, contribuiscono a fare del bene e, nonostante il pericolo, li vediamo determinati nell'affrontarlo.
Gesù stesso, nella notte in cui istituì l'Eucaristia e fu tradito, si chinò e lavò i piedi ai suoi discepoli e "li amò sino alla fine" (Gv 13,1). Raggiunta una certa maturità umana e magari anche spirituale, capiamo che il servizio diventa una scelta e uno stile di vita: per chi è sposato servire la propria famiglia, per chi è diventato prete servire il Signore e la sua Chiesa nei volti concreti di una comunità, per qualcuno servire attraverso il proprio lavoro.
Il Signore ci ha messo questa gioia nel cuore come un segno e un dono mai scontati: quando ci facciamo servi del prossimo e ci chiniamo su di lui, siamo sulla buona strada della vita.
Non c'è, in un'intera vita, cosa più importante da fare che chinarsi perchè un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi.
Giovedì 26 marzoL'uomo è come un soffio, i suoi giorni come ombra che passa(dalla Bibbia)
Questo versetto del Salmo 144 mi pare interpretare bene il sentimento che c'è nel cuore di molti di noi in questi giorni. Basta un piccolissimo virus per fermare il mondo intero, chiudere la popolazione dentro le proprie case, fermare le attività e le relazioni sociali. L'uomo è davvero come un soffio, la sua vita può anche terminare in un istante, in un battito d'ali. Oggi ci sei, domani chissà. Nella nostra Unità Pastorale, durante le ultime tre settimane, abbiamo portato al cimitero e accompagnato nella preghiera di congedo una ventina di persone.
Eppure questa creatura, che si dimostra, oggi più che mai, piccola e fragile, porta dentro di sé il soffio, il respiro di Dio fin dalla creazione di Adamo.
"Che cosa è l'uomo perchè te ne ricordi, il figlio dell'uomo perchè te ne curi? Eppure lo hai fatto poco meno di un dio" (Sal 8).
In tutta la nostra fragilità, in tutte le nostre contraddizioni, portiamo tuttavia impressa in noi l'immagine di Dio.
Questa è la nostra grandezza, e Dio non lascerà soli i figli che ha plasmato con le sue mani.
No, non li lascerà soli!
Mercoledì 25 marzoLimitarsi a vivere non è abbastanza. C'è bisogno anche del sole, della libertà e di un piccolo fiore.(H. C. Andersen, scrittore)
Un giorno il condottiero Alessandro Magno si rivolse a Diogene, noto per la sua sobrietà e sapienza, il quale viveva in una botte di legno, e gli disse: "Chiedimi tutto ciò che vuoi, e io te lo darò". E Diogene, nella sua semplicità, rispose: "Spostati un poco, perchè mi stai togliendo la luce del sole".
Limitarsi a vivere, a respirare, a lavorare, a fare ciò che facciamo ogni giorno non è abbastanza: occorre gustare ciò che viviamo. Durante questi giorni in cui siamo costretti a casa dal Coronavirus, siamo obbligati a rallentare i nostri ritmi di vita, quasi ad annoiarci; in realtà possiamo godere, con maggior consapevolezza, delle cose più semplici che spesso diamo per scontate: fare una buona colazione in compagnia della mia famiglia, sorseggiare un buon caffè, rimanere a letto un po' più del solito, restare al telefono con un amico che non sento da tempo. Sono queste piccole cose che danno gusto alla vita e che spesso volano via senza accorgermene, per la velocità con cui le vivo.
Sì, c'è bisogno di sentire il calore del sole sul volto e il profumo di un fiore: di avvertire che ogni cosa è dono e che posso gustarla fino in fondo.
Martedì 24 marzoOgni volta che mi do il diritto di accogliere un mio limite, si apre un fiore(G. Sovernigo, prete e psicologo)
Una delle cose più difficili nella mia vita, è stata quella di accettare i miei limiti.
Prima di tutto quelli fisici, di salute, ma anche quelli caratteriali, legati alla mia storia e ai miei affetti più cari. La società, gli altri, ti dicono: devi essere al massimo! Finchè arrivi a crederci.
I limiti sono certamente un peso, una zavorra che rallenta il cammino e talora impedisce di compierlo in modo sereno. Il pericolo si fa acuto quando identifico il mio limite con me stesso: poiché ho questo difetto, sono io che non vado bene, che non sono a posto, che non son degno di vivere, ed è facile cadere nello scoraggiamento, talvolta anche nella depressione.
Ma quando riesco ad accogliermi così come sono, quando do ai miei limiti il diritto di esistere ed essere parte di me, allora la vita fiorisce da dentro e un senso di pace affiora.
Sono così, e allora?!
Quando Gesù fu battezzato nel fiume Giordano, si aprirono i cieli e la voce del Padre scese su di lui: "Tu sei il figlio mio, l'amato, in te ho posto il mio compiacimento" (Mc 1,11). Ti amo e mi piaci così come sei, come ti ho pensato da sempre, non perfetto, ma certamente amato.
Donami, Signore, la grazia di amare me stesso come tu mi ami.
Donami, Signore, la grazia di trasformare le mie ferite in feritoie attraverso le quali scorre la tua grazia e fiorisce la vita.
Lunedì 23 marzoNessuna cosa è bella da possedere, se non si hanno amici con cui condividerla(Seneca)
Ce ne stiamo accorgendo proprio in questi giorni, in cui al tempo del Coronavirus viviamo più isolati dagli altri. Ci manca la partita a carte al bar, il match a pallone, il ritrovo in oratorio, la cena a casa di amici.
Non ci mancano le cose, è che abbiamo nostalgia della condivisione di esse. Ci manca il grazie dell'amico, la sua pacca sulla spalla in un momento di sconforto; paradossalmente potrebbe mancarci anche la sfuriata del nostro capo ufficio...
Penso al fatto che Gesù visse proprio al tempo del filosofo Seneca. Attraverso Gesù, Dio ha voluto condividere ogni cosa con noi: la nascita, la morte e la risurrezione, il gioco e il lavoro, la crescita e la sofferenza, e ha fatto della condivisione della nostra esistenza il senso della sua stessa vita. Anche a noi Dio chiede la responsabilità della condivisione, soprattutto con i più poveri e gli ultimi: la telefonata ad un parente anziano che vive solo, un'offerta in denaro a qualche ospedale che è in frontiera, giocare finalmente coi miei figli che possono godere del mio tempo libero.
La condivisione non è solo responsabilità, porta in sé il gusto delle cose e la promessa di una gioia grande, che allarga lo sguardo e riempie il cuore.
Domenica 22 marzo
La vita è una cosa seria, ma non è grave!(Etty Hillesum)
Etty Hillesum è un'ebrea olandese che visse e morì in un campo di concentramento nazista.
La sua fede in Dio e la sua fiducia profonda nell'uomo, la portò a non abbattersi mai, anche nei momenti più drammatici della sua vita. Amava la vita, nonostante tutto.
È giusto prendere seriamente gli avvenimenti che accadono quotidianamente, se siamo persone responsabili; tra queste anche le presenti vicende del Coronavirus.
Ma prendere la vita seriamente non significa assumerla drammaticamente. Chi ha fiducia nella vita e in particolare chi è cristiano, non può non leggere la storia e le vicende quotidiane alla luce della Pasqua di risurrezione del Signore, che ha vinto la morte. Dentro questa forte convinzione, allora potremo essere stanchi, ma non abbattuti; tristi, ma non disperati, e avremo sempre nel cuore un pizzico di speranza e una sana leggerezza interiore.
Il Coronavirus, questo tempo particolare, la vita tutta, è una cosa seria, ma non è grave!
LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Mincio
Goito 15 marzo 2020 III domenica di Quaresima
Lettura
Nella terza domenica di quaresima s'incontra il passo dell'evangelista Giovanni detto "della samaritana". Nel racconto troviamo però presentate anche altre scene, che capitano attorno al pozzo di Giacobbe. Il brano si trova nella grande sezione del vangelo, dopo il prologo (Gv 1, 1-18), indicata come "Il libro dei segni" (Gv 1, 19-12, 50). In questa parte l'evangelista presenta il ministero pubblico di Gesù attraverso il quale, con segni e parole, mostra se stesso al popolo come rivelazione del Padre. Tale manifestazione produce di conseguenza il rifiuto da parte della gente: "venne tra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto".
Gv 4, 4-42
4Gesù Doveva perciò attraversare la Samaria.
5Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c'era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7 Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: "Dammi da bere". 8 I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9Allora la donna samaritana gli dice: "Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?". I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10Gesù le risponde: "Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva". 11Gli dice la donna: "Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest'acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?". 13 Gesù le risponde: "Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; 14 ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna". 15 "Signore - gli dice la donna -, dammi quest'acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua". 16 Le dice: "Va' a chiamare tuo marito e ritorna qui". 17 Gli risponde la donna: "Io non ho marito". Le dice Gesù: "Hai detto bene: "Io non ho marito". 18Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero". 19Gli replica la donna: "Signore, vedo che tu sei un profeta! 20I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare". 21 Gesù le dice: "Credimi, donna, viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22 Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità". 25Gli rispose la donna: "So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa". 26 Le dice Gesù: "Sono io, che parlo con te".
27 In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: "Che cosa cerchi?", o: "Di che cosa parli con lei?". 28 La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: 29 "Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?". 30 Uscirono dalla città e andavano da lui.
31Intanto i discepoli lo pregavano: "Rabbì, mangia". 32 Ma egli rispose loro: "Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete". 33 E i discepoli si domandavano l'un l'altro: "Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?". 34Gesù disse loro: "Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35 Voi non dite forse: "Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura"? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 36 Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. 37 In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l'altro miete. 38 Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica".
39Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: "Mi ha detto tutto quello che ho fatto". 40 E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. 41Molti di più credettero per la sua parola 42e alla donna dicevano: "Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo".
Commento
Nei primi versetti (Gv 4, 4-6) l'introduzione inquadra il racconto dal punto di vista geografico e degli spostamenti di Gesù. Egli, che è in viaggio verso Gerusalemme, deve attraversare la Samaria e, durante il tragitto, si ferma al pozzo di una città chiamata Sicàr. Questa è probabilmente da identificare col piccolo abitato di Sichem, che sorgeva a duecento metri dal pozzo di Giacobbe. Il villaggio ebbe nell'antichità un posto molto importante perché legato alle vicende dei patriarchi e perché costruito ai piedi del monte Garizìm, su cui sorgeva il tempio dei samaritani. A Sichem, dopo la distruzione di Samaria, si radunò la comunità samaritana, la quale riteneva di discendere da Giuseppe figlio del patriarca Giacobbe. A questo punto il racconto presenta tre scene avvenute attorno al pozzo. La prima (Gv 4, 7-26) è dominata dal dialogo di Gesù con la samaritana, che oltre ad essere donna appartiene ad un popolo considerato di razza inquinata e quindi pagano. Di conseguenza tra ebrei e samaritani non c'erano rapporti facili. Per tale ragione la donna rimane stupita dalla domanda fattale da un ebreo di nome Gesù: "dammi da bere". Il resto del dialogo vuole portare la samaritana ad incontrare autenticamente Gesù. La donna ha molte difficoltà ad accogliere la comunicazione di Gesù perché condizionata dalle sue esperienze ed esigenze materiali ("Signore tu non hai un mezzo per attingere ed il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest'acqua viva? ... dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua"), dalle vicende affettive (aveva avuto cinque mariti) e dalle tradizioni religiose ("i nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte..."). Gesù, con grande pazienza ed amabilità, spiega ogni cosa e prepara così il terreno perché la sua interlocutrice possa riconoscere in lui il Messia; ad ella Gesù dice: "sono io che ti parlo". La seconda scena (Gv 4, 27-38) vede interagire Gesù ed i discepoli. Anch'essi si rivolgono al maestro partendo da un problema concreto: "Rabbi, mangia"; egli risponde portando la conversazione su di un piano diverso: "ho da mangiare un cibo che voi non conoscete". I discepoli non colgono lo spessore delle parole di Gesù ed egli interviene nuovamente per chiarire il suo pensiero, sottolineando la sua preoccupazione principale che consiste nel fare la volontà del Padre: "mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera". Per spiegarsi meglio cita due detti proverbiali. Come la natura lentamente svolge il suo corso, così anche la volontà di Dio gradualmente si realizza in pienezza nella storia delle persone. Di conseguenza, coloro che sono chiamati a lavorare nell'«azienda del Signore» non devono essere preoccupati della mansione da svolgere, ma di mettersi al servizio della volontà del Padre che, da protagonista, è all'opera in tutti: "levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura". L'ultima scena (Gv 4, 39-42), già anticipata nei vv. 29-30, presenta "molti samaritani di quella città", che vanno da Gesù stimolati dalle parole della donna. Costoro credono in Gesù attraverso la testimonianza della samaritana, ma la loro fede si stabilizza dopo essere stati due giorni con lui. Infatti essi dicono: "Non è più per la tua parola che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo".
In conclusione possiamo affermare che ogni itinerario di vita cristiana deve portare ad un incontro autentico con Gesù Cristo. Egli è riconosciuto ed accolto soltanto quando, anche col suo aiuto, ci si libera da tutte le sovrastrutture che impediscono un rapporto immediato, libero e decisivo. Chi sta al suo gioco diventa, di conseguenza, testimone ed evangelizzatore, perché altri lo possano incontrare. Al riguardo è necessario vigilare attentamente, perché la salvezza non è data dai discepoli, ma da Gesù Cristo che porta gli uomini in comunione col Padre. Per questo ogni esperienza ecclesiale diventa significativa ed incisiva se porta le persone a "stare" in compagnia assidua con Gesù Cristo, ad ascoltarlo e a vedrlo.
La vita
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci:
- Quale parte del vangelo letto e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare,per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Mincio
Goito 8 marzo 2020 II domenica di Quaresima
Lettura
Dopo il tredicesimo capitolo, in cui Gesù attraverso parabole parla del regno dei cieli, seguono altri due dove l'evangelista ha raccolto episodi di conflitto e di rivelazione. I conflitti sono con gli abitanti di Nazaret o con altri connazionali, nei confronti dei quali Gesù contesta il modo di applicare la legge. Attraverso miracoli egli si manifesta sempre più alle genti, per poi arrivare a parlare direttamente e personalmente con i discepoli. Infatti, dopo aver chiesto ad essi, ed in particolare a Pietro, di professare la fede, nel famoso dialogo avvenuto a Cesarea di Filippo, Gesù fa conoscere ai discepoli che egli dovrà morire e che anch'essi nella vita porteranno la croce dietro a lui.
Mt 17, 1Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: "Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia". 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: "Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo". 6All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: "Alzatevi e non temete". 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. 9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: "Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti".
Commento
Il brano del vangelo della seconda domenica di quaresima è abitualmente chiamato "vangelo della trasfigurazione". Questa, di fatto, costituisce soltanto uno degli aspetti in cui si articola il racconto di Matteo. Il primo versetto funge da introduzione. Qui l'evangelista colloca geograficamente la scena - "in disparte, su un alto monte" - e presenta i personaggi. Gesù è il protagonista. Egli, prendendo l'iniziativa, porta "con sé Pietro, Giacomo e Giovanni", tre dei suoi discepoli. La vicenda sul monte si snoda in tre sequenze. Nella prima troviamo presentata la trasfigurazione di Gesù, attraverso la quale egli cambia radicalmente il suo volto ed anche le vesti, e l'apparizione di Mosé ed Elia, che si intrattengono amabilmente con lui. Alla scena assistono direttamente i discepoli, perché tutto avviene "davanti a loro". La seconda si apre con le parole di Pietro rivolte a Gesù. Egli, che desidera prolungare quell'esperienza, perché era per loro bello stare sul monte, propone la costruzione di tre capanne per i personaggi celesti, affinché la loro presenza potesse perdurare. Segue poi una nuova apparizione: "una nube luminosa li coprì con la sua ombra". La nube, nella tradizione biblica, è il segno concreto della presenza di Dio. È Dio Padre, quindi, che in quel momento si fa presente sul monte e la voce udita ne è la conferma. Le parole pronunciate da Dio riguardano Gesù, il quale non è come Mosé ed Elia, anche se si colloca in quella scia luminosa. Gesùè proclamato "Figlio amato", voluto e scelto dal Padre per rivelare e realizzare la salvezza definitiva degli uomini. Per questo occorre ascoltarlo. La sequenza si chiude riportando l'attenzione sui discepoli che, "presi da grande timore cadono con la faccia a terra", in quanto non riescono a reggere davanti al mistero di Dio che si rivela. Nell'ultima sequenza Gesù prende nuovamente l'iniziativa e, coerentemente con la missione ricevuta dal Padre, si avvicina ai discepoli, li tocca, risollevandoli dalla prostrazione in cui erano caduti, e con le sue parole li invita a non aver paura. I discepoli, infatti, d'ora in poi vedranno solo Gesù e solo lui potrà far giungere fino a loro la salvezza, dono del Padre. La conclusione del brano presenta il gruppetto che scende dal monte e le consegne date da Gesù ai suoi: "non parlate a nessuno di questa visione ...". Infatti, soltanto dopo la resurrezione di Gesù essi avranno piena consapevolezza del dono ricevuto e dell'esperienza fatta; allora saranno anche in grado di parlare in modo significativo, cioè essere testimoni.
Concludendo si può dire che ai discepoli, chiamati a seguire il maestro da vicino condividendo anche la croce, affinché non si perdano d'animo, Gesù concede ad alcuni di viver la forte esperienza sul monte. In quel luogo egli non solo è presentato continuazione e compimento della storia della salvezza, ma, attraverso la parole del Padre, è indicato come l'unico che possa risollevare i suoi, dar loro coraggio, interpretare le parole del Padre e rendere partecipe della salvezza. Questa sarà sperimentata pienamente soltanto con la resurrezione di Gesù e dei discepoli, di cui la vicenda sul monte è un anticipo. Nel frattempo Gesù continua a camminare amorevolmente con i suoi per i sentieri del mondo e del tempo.
La vita
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci:
- Quale parte del vangelo letto e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare,per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
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DOMENICA 22 MARZO 2020
Carissimi amiche ed amici,
siamo alla quarta domenica senza la celebrazione eucaristica! La situazione ci amareggia, ma non dobbiamo perdere la speranza perché Dio ci ama ed è sempre al nostro fianco. Certo tutto questo è una forma penitenziale che mai avremmo pensato di vivere. Perseveriamo in questo cammino con lo sguardo fisso su Gesù, sapendo che lui ci farà vedere il senso di tutto questo quando vorrà.
Con questa certezza, come le domeniche scorse, viviamo intensamente la nostra fede attraverso la preghiera personale e in famiglia. Saremo tutti in comunione gli uni con gli altri quando, alle ore 10, noi sacerdoti celebreremo in chiesa la santa Messa. Anche tutti voi, delle diverse parrocchie della nostra Unità Pastorale,sarete con noi e vi portiamo dal Signore Gesù morto e risorto, che rinnova il dono del suo amore nel memoriale eucaristico, oltre che nel nostro cuore. L'incontro col Signore, pur nelle difficoltà ci deve dare tanta speranza e voglia di vivere con lui.
Anche in questa domenica, ho pensato di condividere con voi alcune riflessioni suggeritemi dalle letture della IV domenica di Quaresima. Il testo del primo libro di Samuele afferma che Dio non guarda l'aspetto delle persone, il loro "look", ne la loro prestanza fisica (molto curata oggi nella nostra cultura), ne l'apparenza che uno ha (l'immagine che uno ha così decisiva nella nostra società). Dio guarda il cuore, cioè quella parte della persona dove vengono effettuate le scelte fondamentali della vita, dove si decide chi seguire, che valori porre al centro, che esperienze privilegiare, questo anche in ogni momento dell'esistenza. Il cuore (cioè la vita) se è pieno di Spirito Santo è guidato da lui e realizza scelte giuste, altrimenti siamo condotti dall'egoismo, dalla superbia, dagli interessi di parte e tutto questo non è evangelico. Solo Gesù può trasformare il nostro cuore di pietra, egoista e chiuso, in cuore di carne capace di amare e di aprirsi al Signore, perché guidato ed illuminato dallo Spirto.
Noi di fatto siamo di fondo tutti ciechi dalla nascita, come il personaggio del vangelo di Giovanni di questa domenica, perché vediamo solo noi stessi, i nostri interessi ed i nostri bisogni. Se stiamo con Gesù, anche in questo deserto della quarantena, dando spazio alla preghiera, alla lettura della Bibbia, alla Comunione Eucaristica (ora vissuta spiritualmente) saremo liberati dalla nostra cecità. Allora faremo Pasqua. La Pasqua non sono i riti, le tradizioni, le manifestazioni popolari, è prima di tutto Gesù Cristo morto e risorto che porta tutti, anche noi, a partecipare alla sua vittoria. Come sono preziosi questi giorni che ci permettono di pensare, di riflette e di pregare. Approfittiamone!
Sgombriamo subito il campo da discorsi che si sentono circolare anche in questi giorni, forse anche da uomini religiosi. Il cov19 (coronavirus) non è una punizione di Dio. No assolutamente non dobbiamo percorrere questa pista. Le vicissitudini della vita, anche quelle più dolorose non sono volute da Dio, ma sempre sono causate o dalla fragilità della nostra natura umana, che non è eterna, o sono conseguenze di scelte peccaminose fatte dall'uomo. Dio vuole salvarci, Dio è padre, Dio ha mandato suo Figlio e ci ha donato lo Spirito per vivere in comunione con lui qui ora e per sempre nell'eternità. Gesù ci ha fatto conoscere non un Dio punitore o tiranno, ma un Dio che è amore per l'umanità.
Fidiamoci di Gesù! Lasciamo che lui spalmi sulla nostra vita il balsamo della sua Parola. Immergiamoci nell'acqua sanante della sua misericordia, che si realizza col sacramento della Riconciliazione. Ora non possiamo celebrare questo sacramento, ma possiamo desiderare intensamente il perdono di Dio e lui ce lo concede realmente, in questo momento difficile per tutti. Poi quando potremo celebreremo il sacramento della Riconciliazione. Cerchiamo di non essere come i farisei che non si fidavano di Gesù.
In questa domenica di Quaresima, consapevoli di essere ciechi, chiediamo a Gesù di vedere. Di vedere le nostre miserie ed i nostri peccati. Di vedere l'amore misericordioso di Dio padre manifestatosi in Gesù. Di vedere la bontà, la solidarietà, la misericordia che sono presenti nel mondo per opera dello Spirito Santo.
Maria, che veneriamo col titolo di Madonna della salute, interceda per noi e ci faccia essere sempre amici del suo figlio Gesù.
Buona domenica don Marco
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Unità Pastorale Mincio
Goito 22 marzo 2020 IV domenica di Quaresima
Lettura
Anche il testo del vangelo di questa domenica, detto del cieco nato,(Gv 9, 1-41)si colloca nel "Libro dei segni". L'evangelista presenta Gesù che si rivela al popolo come inviato del Padre. In questa parte del vangelo di Giovanni hanno un posto determinante le feste giudaiche. La guarigione del cieco dalla nascita avviene a Gerusalemme durante la festa autunnale delle capanne o dei tabernacoli, in cui si festeggia per i raccolti di fine estate, facendo memoria del permanere degli israeliti sotto le tende nel deserto per quarant'anni.
Gv 9, 1-41. In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».
Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va' a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa "Inviato". Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: "Va' a Sìloe e làvati!". Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov'è costui?». Rispose: «Non lo so».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c'era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l'età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l'età: chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da' gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l'ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell'uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell'uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: "Noi vediamo", il vostro peccato rimane».
Commento.
Nei primi cinque versetti l'evangelista presenta la vicenda che riguarda Gesù, un uomo ceco dalla nascita ed i discepoli. Partendo da una loro domanda, che sottolinea il problema del rapporto esistente tra peccato e malattia fisica, Gesù risponde affermando che la cecità non è conseguenza di qualche peccato commesso. Essa è una delle tante situazioni nelle quali si evidenzia il limite umano creaturale. Nel nostro caso, attraverso l'opera di Gesù, è messo in risalto l'azione benefica di Dio creatore. É così delineato il significato del segno che Gesù sta per compiere; è un esempio della luce che viene nelle tenebre: "finché sono nel mondo sono la luce del mondo". Nei vv. 6-7 troviamo la sobria narrazione del miracolo. Gesù, come un terapeuta, applica del fango sugli occhi del cieco, comunicando così al poveretto la certezza che la sua condizione è presa in seria considerazione. Poi lo invia a lavarsi nella piscina di Siloe, che si trova ai piedi della collina su cui sorge Gerusalemme, a sudovest di essa. Questo fatto si collega ad altre guarigioni famose narrate dalla Bibbia. Pensiamo per esempio a Naaman il siro, che è guarito dalla lebbra dopo essersi immerso nel Giordano, su consiglio del profeta Eliseo (cf 2 Re 5, 10-14). Così anche il nostro cieco, immersosi nella piscina, guarisce dalla cecità fisica attraverso l'opera di Gesù, l'inviato di Dio. Da questo momento inizia una serie di confronti- inchieste (vv. 8-34) tra alcuni gruppi di persone e l'uomo guarito. Dapprima è interrogato dai curiosi, che vogliono sapere e conoscere tutti i particolari dell'avvenimento per avere l'esclusiva della notizia. A costoro l'uomo sa dire soltanto che egli è guarito attraverso l'opera di un uomo di nome Gesù. Poi viene esaminato dai farisei, che contestano la guarigione avvenuta di sabato. In questo giorno, infatti, non è permesso alcun lavoro ed impastare del fango è proibito. Essi consultano anche i genitori dell'uomo guarito, per avere ulteriori spiegazioni. Di fronte all'insistenza dei farisei e alle loro contestazioni l'uomo afferma, partendo dall'esperienza fatta, che Gesù è Dio: "Da che mondo e mondo, non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non fosse Dio, non avrebbe potuto far nulla". Infine (vv. 35-41) Gesù incontra nuovamente il cieco guarito. A costui si rivela e si manifesta nella sua identità di "Figlio dell'uomo". L'uomo guarito è desideroso di credere in lui e afferma, prostrandosi: "Io credo, Signore". Ora la guarigione è completa. Ha ricevuto la vista fisica ed ora vede anche con la fede che Gesù è il Signore, il Figlio di Dio. Nello stesso tempo l'evangelista presenta i farisei che si fissano inesorabilmente nella loro cecità. Così diventano vere le parole dette da Gesù: "sono venuto... perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi".
Concludendo, di può dire che Dio Padre, per mezzo di Gesù, è sempre vicino a coloro che soffrono a causa dei limiti della natura umana. Chi incontra Gesù e si lascia curare da lui arriva sicuramente ad uscire dal buio fisico per raggiungere anche la luce della fede. In questo cammino si incontrano pure molte difficoltà che vengono dall'esterno: il giudizio degli altri, le tradizioni, i condizionamenti familiari o dei gruppi di appartenenza, le nostre attività. Se si persevera nello stare con Gesù Cristo, ascoltando la sua parola ed eseguendo le sue indicazioni, ogni difficoltà si ridimensiona e si procede nell'itinerario di fede.
La vita
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci:
- Quale parte del vangelo letto e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare,per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
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Le Lectio delle domeniche precedenti vengono salvate nella sezione: Calendario - Archivio
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DOMENICA 15 MARZO 2020
Carissimi amiche ed amici,
ormai siamo alla terza domenica senza la celebrazione eucaristica. La situazione ci rattrista, ma non dobbiamo perdere la speranza.
In questo momento ciascuno di noi o insieme possiamo assumere due atteggiamenti completamente opposti tra di loro: disperarci o ricercare il senso di ciò che sta accadendo.
Se dentro di noi prevale la disperazione è indice che siamo noi al centro e che ci sembra di perdere tutto e quindi perdere noi stessi. Questo non deve accadere tra di noi.
Infatti siamo cristiani, discepoli di Gesù e quindi siamo invitati a cercare il senso di tutto ciò che stiamo vivendo. Esso possiamo trovarlo andando anche noi, come la Samaritana, al pozzo dell'acqua viva che Gesù ci dona.
Noi oggi, un po' come il popolo d'Israele nel deserto presentato nella prima lettura, ci lamentiamo, brontoliamo contro tutto e tutti, perché la situazione sembra sfuggirci di mano e non riusciamo più a controllarla. La scienza e la tecnologia, anche se avanzatissime, sembrano inutili. Quindi anche noi nel deserto di questi giorni ce la prendiamo con Dio, perché abbiamo la sensazione che ci abbia abbandonato. Tale pensiero non è veritiero perché, come dice san Paolo scrivendo ai romani nella seconda lettura, per mezzo di Gesù Cristo che è morto per noi e nello Spirito Santo l'amore di Dio è stato riversato in noi e resta sempre nella nostra vita. Siamo invitati in questa domenica a rinnovare personalmente ed insieme la nostra fede, cioè a fidarci di Dio e ad essere certi che non ci abbandona mai.
Tale fiducia è sostenuta ed alimentata in noi, se come la Samaritana, incontriamo veramente Gesù e gli chiediamo "l'acqua viva" che solo lui sa dare e che è il dono più grande di Dio per noi oggi.
L'acqua fresca che ci dona Gesù sono le sue parole e la sua stessa vita. Essa, se l'accogliamo, prima di tutto, come alla Samaritana, smaschera e mette a nudo la nostra esistenza, facendoci capire dove stiamo andando, che tipo di scelte realizziamo e che cosa di sbagliato stiamo vivendo. Solo Gesù può fare questo e nessun altro. Siamo disposti a lasciarci cambiare e a convertirci?
In secondo luogo ci chiama a rinnovare la nostra vita spirituale, che non può limitarsi soltanto al culto, al tempio, all'esteriorità. La vita spirituale è l'adesione appassionata, gioiosa e perseverante a Gesù Cristo. Stiamo camminando così con Gesù, oppure siamo stanchi, demotivati, delusi e quindi non siamo d'esempio a nessuno?
In terzo luogo siamo invitati ad essere persone che fanno conoscere veramente Gesù agli altri, con la vita e la parola, cercando di coltivare l'umiltà per non collocarci al centro, ma diventando veri portatori di Gesù. Come è la nostra sensibilità all'annuncio del vangelo in famiglia, coi colleghi e gli amici? Preferiamo delegare ad altri o ci impegniamo in prima persona? In che modo?
È Gesù Cristo il nostro salvatore, non le nostre iniziative, le nostre attività, le nostre strategie, le nostre istituzioni. Anche se sono belle, efficienti, moderne, coinvolgenti esse possono correre il rischio di non avere dentro Gesù. Pensiamoci!
Il Signore Gesù ci ricolmi sempre dei suoi doni per dare senso a tutto ciò che viviamo, per essere come la Samaritana capaci di conversione vera e di testimoniare autenticamente il Risorto unico nostro bene e salvatore.
Buona domenica don Marco
Carissimi amiche e amici tutti.
La situazione attuale ci rattrista molto perché non possiamo incontrarci e vivere comunitariamente la nostra fede ed il nostro essere chiesa del Signore.
Ciò però non ci impedisce di percorrere personalmente ed in famiglia il nostro cammino di cristiani. Noi crediamo nella forza della preghiera e della comunione fraterna, al di là del vederci e dell'incontrarci personalmente. Noi ogni giorno preghiamo per voi e vi sentiamo in comunione con noi attraverso la vostra preghiera. Sicuramente il Signore Gesù morto e risorto, continua a ricolmarci di grazie e di benedizioni nonostante la situazione strana e anomala che stiamo vivendo.
In riferimento alle norme civili e sanitarie, alle quali la comunità cristiana ha aderito per senso civico e per limitare il contagio, continua la sospensione delle celebrazioni liturgiche e di ogni appuntamento pastorale. Ci sembra però importante ricordare alcuni aspetti e porli all'attenzione di tutti:
1. la nostra fede continua ad essere viva ed alimentata con la preghiera personale e familiare attraverso la lettura della Scrittura e la preghiera del s. Rosario, se possiamo troviamo ogni giorno uno spazio dedicato;
2.
sabato e domenica, per evitare che qualcuno abbia ammende giudiziarie,
l'Adorazione del Santissimo è sospesa, in quanto potrebbe essere ritenuta una attività non essenziale dalle forze dell'ordine. Se uno viene in paese per altri motivi può passare per la chiesa e pregare;
3. cerchiamo di rimanere in comunione con la chiesa diocesana, seguendo la celebrazione del vescovo domenica 15 marzo, trasmessa sul sito della diocesi, canale Youtube, alle ore 9.30 e vivendo in comunione con le nostre parrocchie domenica 15 marzo alle ore 18, quando i sacerdoti celebreranno la santa messa per tutti a Goito a porte chiuse. La comunione con la comunità parrocchiale sarà più forte se in quell'occasione, nelle nostre case, riflettiamo sulle letture della domenica (sul sito trovate un commento al vangelo);
4. anche se non ci incontriamo fisicamente il Signore risorto è con noi e ci sostiene, ci guida e ci fa crescere alla sua sequela. Questa è la nostra quaresima e la forma penitenziale, che siamo chiamati a vivere in questo anno con fede e con tanta speranza in un avvenire migliore, senza rattristarci e con tanto senso civico.
In comunione di fede e di fraternità auguriamo buona domenica e buona quaresimaa tutti
Don Marco, Don Alessandro, Don Jonathan, Claudio diacono, sr Iride, sr Felicita, sr Atanasia, sr Annamaria.
Goito, 13 marzo2020