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Pillole di Spirito 20 - 26 aprile 2020

Rubrica, curata da don Alessandro, dove ogni giorno viene commentata brevemente la frase di un autore, non necessariamente cristiano. Per custodire, in questi tempi difficili, non solo la salute del corpo e della mente, ma anche quella dello spirito.


Domenica 26 aprile

Quella di voler sperimentare tutte le cose è una strada tortuosa
e un cammino senza fine.
(San Bernardo di Chiaravalle)

2020-04-26  
  Oggi viviamo in un mondo pluralistico, dove abbiamo la possibilità di usufruire e di godere di una moltitudine di cose. I bambini hanno un  sacco di attività tra cui poter scegliere nel tempo libero: calcio, karate, e qualsiasi altro sport. Sugli scaffali di un supermercato una donna che fa la spesa ha la possibilità di scegliere tra un'enormità di prodotti. Se mi metto davanti alla TV con il telecomando in mano, posso ormai navigare in un mare di canali.
  Questo pluralismo è certamente un dono per il nostro tempo, ma può trasformarsi anche in un limite poiché la mia libertà è disorientata e, paradossalmente, fa più fatica a compiere delle scelte. Si vorrebbe sperimentare tutto prima di scegliere, poiché potrebbe esserci una cosa migliore che non ho vagliato, ma a questo punto si finisce col non scegliere mai. Trasportiamo questo discorso nella relazione con le persone, nella scelta di una compagna, o in una scelta di vita, matrimoniale o religiosa, e ci accorgiamo che il rischio è quello di non scegliere mai.
  Ma ciò che da pienezza e senso alla vita non è provare tutto, ma il "gustare molto" una cosa, forse l'unica, ma fino in fondo. È giocarsi in una scelta definitiva, di donazione totale e unica, e viverla fino alla fine.
Per dirla con le parole di ieri, questa è la vera libertà: non il volo di un moscone, la libertà è partecipazione alle cose, è "giocarsi".

   


Sabato 25 aprile

La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone.
La libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione.
(G. Gaber, cantautore)

Quel 25 aprile di 75 anni fa, il popolo italiano vide concludersi una delle più sanguinose guerre della storia, la seconda guerra mondiale, e ottenne la liberazione da ogni forma di occupazione da parte di un paese ostile. Forse solo chi ha vissuto una guerra come quella può assaporare il dono della libertà.
Libertà non è star sopra un albero a guardare chi passa, o a godersi una brezza leggera. Libertà non è nemmeno il volo di un moscone, che vaga di qua e di là a proprio piacere a seconda di come tira il vento.
Libertà è partecipazione, è impegno, è azione, talvolta anche lotta pacifica per ciò in cui si crede e per coloro che si amano. Libertà è coinvolgimento di tutto se stessi: della mente, delle emozioni, del cuore in un progetto o in una causa che ci supera e per la quale vale la pena di vivere, forse anche morire.
Libertà è partecipazione. Facciamo memoria di tutti coloro che, in nome della libertà, hanno perso la propria vita.


Venerdì 24 aprile

Alla sera della vita saremo giudicati sull'amore
S. Giovanni della Croce
2020-04-24

C'è un bellissimo passo del Vangelo in cui Gesù afferma che, quando verrà alla fine dei tempi nella sua gloria, interrogherà ognuno di noi chiedendoci se gli abbiamo dato da mangiare quando era affamato, se gli abbiamo dato da bere quando era assetato, se lo abbiamo accolto quando era straniero, se lo abbiamo visitato quando era malato o in carcere. "Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40). Alla sera della vita, saremo giudicati sull'amore che abbiamo avuto nei confronti dei nostri fratelli, soprattutto quelli più "poveri".
Ogni persona, in particolare la più bisognosa, è "sacramento" di Cristo, cioè sul suo volto scorgiamo il volto crocifisso e risorto di Gesù. Questa immagine è all'origine della mia vocazione sacerdotale. Quando ero ancora giovane, insieme ad alcuni amici del gruppo missionario del mio paese, aiutavo i più poveri e sul loro volto mi sembrava svelarsi il volto di Gesù sulla croce che mi diceva: "Ho sete" (Gv 19,28).
Un giorno Papa Giovanni Paolo II disse: "Gli occhi dei bambini africani ci giudicheranno".
Non restiamo indifferenti ai bisogni di chi ci circonda, anzi lasciamo che la carità verso di loro edifichi la nostra vita nel segno del sacrificio, del dono e della gioia.
Alla sera della vita saremo giudicati sull'amore.



Giovedì 23 aprile

Se il giovane sapesse e il vecchio potesse, non ci sarebbe cosa che non si farebbe
(Papa Francesco)

Gli anziani hanno, o dovrebbero avere, il dono della saggezza. L'esperienza della vita infatti ha insegnato loro molte cose di cui fare tesoro.
I giovani invece hanno, o dovrebbero avere, il dono della freschezza: si sentono protagonisti dell'esistenza che hanno davanti e vivono nel desiderio e nell'entusiasmo di poter realizzare i propri sogni.
Se ogni persona potesse essere saggia come un anziano e fresca come un giovane!
Ciò in genere non è possibile, poiché si porta con sé anche o la stanchezza della vita o l'imprudenza di chi la vita non l'ha ancora conosciuta.
È possibile tuttavia fare in modo che queste virtù, quelle della saggezza e della freschezza, si incontrino dentro qualsiasi comunità che possa dirsi "civile".
I giovani dovrebbero valorizzare gli anziani, mettersi loro in ascolto, fare tesoro della sapienza da loro acquisita soprattutto attraverso le prove della vita. In tal senso i vecchi sono un patrimonio, e non lo scarto, di una comunità.
Ma allo stesso tempo i più anziani dovrebbero dare fiducia ai giovani, lasciar loro esprimere la propria freschezza e intraprendenza, guidandoli coi propri consigli. Una comunità in cui i più anziani non "lasciano spazio" ai giovani, è una comunità senza futuro, e purtroppo questo capita spesso, si pensi solo a quanto concerne la classe politica e dirigente piuttosto che, me lo si lasci dire, anche la Chiesa stessa!
Per una comunità, fare sintesi tra la saggezza degli anziani e la freschezza dei giovani è possibile solo attraverso un dialogo autentico e sincero tra le generazioni.
Allora tale comunità potrà definirsi davvero "civile".

2020-04-23

Mercoledì 22 aprile

Io diffido di coloro che non hanno mai provato difficoltà a credere;
vuol dire che non hanno mai capito di ciò che si tratta.
(J. Green, scrittore)

Proprio nella liturgia di domenica scorsa, il Vangelo presentava la figura di Tommaso, che dubitò dell'apparizione del Signore risorto ai suoi compagni e solo quando lo vide di persona credette e disse: "Mio Signore e mio Dio!" (Gv 20,28).
In fondo Tommaso ci è un po' simpatico, poiché in lui ritroviamo la parte non credente che è in noi, ovvero la nostra fatica a credere fino in fondo. Chi non ha mai avuto dubbi, forse non ha percepito che cosa significhi rimanere come dei piccoli mendicanti di fronte all'immensità di Dio: di un Dio morto e risorto, Uno e Trino, Dio e uomo allo stesso tempo.
Quando il dubbio non è radicale, ma nasce dalla percezione della propria sproporzione rispetto a Dio e alla sua grandezza, è un dubbio sano, che ci mette in moto nel ricercarlo, nell'interrogarlo, nel desiderarlo.
Un giorno, sant'Agostino in riva al mare meditava sul mistero della Trinità, volendolo comprendere con la forza della ragione. S'avvide allora di un bambino che con una conchiglia versava l'acqua del mare in una buca. Incuriosito dall'operazione ripetuta più e più volte, Agostino interrogò il bambino chiedendogli: «Che fai?» La risposta del fanciullo lo sorprese: «Voglio travasare il mare in questa mia buca». Sorridendo Sant'Agostino spiegò pazientemente l'impossibilità dell'intento ma, il bambino fattosi serio, replicò: «Anche a te è impossibile scandagliare con la piccolezza della tua mente l'immensità del Mistero trinitario». E detto questo sparì.


Martedì 21 aprile

Un aneddoto su San Francesco di Sales

Un giorno si presenta a San Francesco di Sales un energumeno che comincia a vomitare insulti e a gesticolare quasi volesse venire alle mani. Il santo vescovo di Ginevra, dalla proverbiale pazienza, sta come un albero sotto la pioggia. Sotto quel diluvio di ingiurie, rimane tranquillo finchè l'altro si calma. Quando finalmente tace, san Francesco dice: "Potete dire quello che volete, potete anche cavarmi un occhio, ma vi avverto che, in questo caso, me ne rimane un altro per guardarvi con amore".

2020-04-21

Lunedì 20 aprile

Anche un orologio fermo segna l'ora giusta due volte al giorno
(Hermann Hesse, scrittore)

2020-04-20
  Ci sono momenti della vita in cui percepiamo di avere davvero poco valore. La nostra autostima cade sotto i piedi e rischiamo di cadere in una sorta di  depressione. Non vediamo nulla di buono in noi e crediamo che gli altri non ci diano alcun valore.
  Ma un orologio, anche quando è fermo, segna l'ora giusta almeno due volte al giorno. Non c'è persona nella quale non possiamo trovare qualcosa di buono, delle qualità e dei doni. Incluso me stesso. Convincermi di ciò non è sempre facile, quando tutto sembra andare male. Eppure Dio, che mi ha creato a sua immagine, ha messo una fiamma dentro di me che può essere sempre alimentata e fatta crescere. In questo l'aiuto di persone vicine, buone, che mi incoraggino, è determinante.
  Quando l'orologio non si muove, si muove comunque il tempo e il tempo è di Dio, non è nostro. Perciò lasciamo che il Signore riveli a noi "il tesoro nascosto nel campo" (Mt 13,44) della nostra persona, tutte potenzialità che ci ha donato, le più recondite, e abbiamo fiducia in noi stessi. Ricorda! Dio possiede una grande fiducia in te, anche quando ti sembra di essere "fermo".

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