Rubrica, curata da don Alessandro, dove ogni giorno viene commentata brevemente la frase di un autore, non necessariamente cristiano. Per custodire, in questi tempi difficili, non solo la salute del corpo e della mente, ma anche quella dello spirito.
Domenica 19 aprileMuoio perchè non muoio(S. Teresa d'Avila)
S. Teresa d'Avila, questa grande santa spagnola del Cinquecento, non aveva paura di morire. Anzi, attendeva con ansia questo momento.
Muoio perchè non muoio.
Muoio dal desiderio di incontrare Dio e di vederlo finalmente faccia a faccia, nell'eternità.
Il linguaggio cristiano chiama la morte: "giorno della nascita". È un chiudere gli occhi sulla scena di questo mondo, per aprirli sul volto di Dio.
Non che uno debba desiderare la morte, poiché la vita è un dono di Dio da custodire e vivere appieno. Tuttavia, perchè noi uomini, e in particolare noi cristiani, abbiamo spesso così paura di morire? È per il dramma di lasciare i propri cari, che comunque un giorno ritroveremo, o non sarà forse perchè dubitiamo della vita eterna e della misericordia di Dio? Non sarà forse per una nostra mancanza di fede?
Muoio perchè non muoio.
Se avessimo nel cuore il desiderio di eternità e la fiducia nell'incontro definitivo con Dio che ci è stato promesso...se avessimo fede quanto un granello di senape (Mt 17,20), forse non avremmo così paura della morte.
Sabato 18 aprileLa vita donatela prima che il tempo ve la porti via(Card. A. Scola)
Tre uomini stavano compiendo un duro lavoro: portare tutto il giorno mattoni da un punto all'altro. Si avvicina un uomo e chiede al primo: "Che lavoro stai facendo?". Ed egli risponde: "Non vedi, sto trasportando mattoni da una parte all'altra. E' un lavoro duro, tutti i giorni la stessa cosa!". Poi si avvicina al secondo e gli chiede: "Che lavoro stai facendo?". Ed egli risponde: "Non vedi, trasporto mattoni da qui a là. E' un lavoro duro, ma lo faccio con piacere per mantenere la mia famiglia". Poi si avvicina al terzo e gli chiede la stessa cosa: "Che lavoro stai facendo?". Ed egli risponde: "Ma come, non vedi? Io sto costruendo una cattedrale!".
Anche attraverso piccole azioni, facciamo che la nostra vita diventi la costruzione di una cattedrale, di qualcosa di grande. Ciò è possibile solo se permettiamo alla nostra vita di essere un dono per gli altri.
La vita può apparire lunga per chi è agli inizi; per chi ormai ha raggiunto una certa età può sembrare invece breve e colma di rimpianti, di occasioni mancate.
Un salmo afferma: "Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti; ma quasi tutti sono fatica e dolore, passano presto e noi voliamo via" (Sal 90,10).
Passano in fretta e voliamo via. Pertanto vale la pena di non sciupare la vita che ci è donata, e il miglior modo per viverla fino in fondo è quella di farne un dono, una splendida cattedrale.
Venerdì 17 aprileOggi ho molto da fare, dunque pregherò almeno quattro ore(Martin Lutero)
Tutta la forza di questa frase sta nel "dunque".
Spesso prevale la logica contraria: "Ho molto da fare, dunque ho poco tempo per pregare".
No. Se ho molto da fare, devo pregare di più, perchè ci deve essere una proporzione tra quello che faccio e quello che prego. Per un cristiano la preghiera è ciò che sostiene tutto il resto. "Un cristiano che non prega è un cristiano povero", diceva il mio parroco don Antonio.
Ci lamentiamo della mancanza di tempo? Ma è proprio mancanza di tempo o piuttosto scarsità di amore? Se sappiamo impiegare del tempo nella preghiera, alla fine saremo ricchissimi di tempo, perchè quello che ci rimane è completamente diverso: fa un salto qualitativo. Se ne intuisce la ragione: quello che faccio, poi parte dal mio centro.
Ho in me la forza di Dio.
Giovedì 16 aprileL'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri e, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni(San papa Paolo VI)
Un giorno un ragazzo di ritorno dalla Giornata Mondiale dei Giovani, riferendosi al card. Martini e alle catechesi che aveva fatto, mi disse: "È l'unico che non ci ha fatto delle prediche".
L'uomo contemporaneo è stanco di maestri perchè è stanco di prediche e di parole; egli ascolta più volentieri i testimoni, ossia chi "parla" attraverso la propria vita, poiché quello della vita è un linguaggio più immediato e soprattutto più credibile da accogliere.
Nel rito di ordinazione dei diaconi viene espressa questa formula: "Credi sempre ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni". Vivi ciò che insegni.
E il Mahatma Gandhi, che non era cristiano ma conosceva bene il Vangelo e soprattutto lo spirito delle Beatitudini, un giorno affermò: "Il miglior modo di predicare il Vangelo è viverlo. Una rosa non ha bisogno di prediche: diffonde il suo profumo ed è questa la sua predica. Fate che la vostra vita "parli" come una rosa. Persino il cieco, che non vede la rosa, ne viene attratto."
Mercoledì 15 aprileLa volontà di Dio non è scritta nei cieli, ma si decide nel mio cuore tra lui e me(J. Dupont, monaco)
Talvolta si dice, soprattutto riferendosi a qualche evento drammatico come la morte di una persona cara o a un disastro naturale, che "era volontà di Dio". Nulla di tutto ciò. La volontà di Dio infatti è sempre una volontà di bene. Non dobbiamo essere fatalisti. Se alcune cose succedono è spesso o per un cattivo esercizio della libertà umana, o semplicemente per la nostra fragilità costitutiva, cioè per il fatto che siamo limitati, mortali e non siamo Dio. Comprendere la volontà di Dio sulla mia vita è una cosa grande, ma anche un esercizio possibile: chiedermi a quale bene desidera condurmi, non senza la mia libertà. Per questo è fondamentale mettermi ogni giorno, o almeno in certi momenti decisivi, in condizioni adeguate, di silenzio interiore, per capire cosa Egli stia dicendo al mio cuore. Me lo potrà suggerire nell'ascoltare la sua Parola, percependo la sua voce nell'intimo della coscienza e confermandomi con la pace nel cuore.
"Sia fatta la tua volontà", si prega nel Padre Nostro. Qual'è? Non è predestinata e non è scritta nemmeno nei cieli, ma si decide nel mio cuore tra lui e me.
Martedì 14 aprileSe si potesse uscire dal dolore come si esce da una città!(V. Hugo, scrittore)
Quello del dolore è uno dei più grandi misteri dell'umanità e del credente che, di fronte ad esso, si interroga profondamente: perchè, o Dio, lasci che io soffra? Forse che non sei un Dio realmente buono e misericordioso?
L'esperienza ci dice che non si può uscire dal dolore come si esce da una città, che sia a piedi, in bicicletta o in auto. Anzi, vi sono occasioni in cui non si riesce proprio ad uscirne. Tuttavia il Signore Gesù, attraversando la passione e la morte e risorgendo, ci ha offerto la possibilità di inserire il nostro dolore dentro il suo, di portarlo in comunione con Lui e di fare esperienza che nella vita c'è di più della sola vita. Pertanto ogni dolore, per quanto grande sia, non è mai definitivo ma si apre, nella speranza, ad una gioia più grande che attende tutti noi.
Il dolore, in fondo, non ha l'ultima parola. Questa è la promessa del Risorto.
Lunedì 13 aprilePrima di parlare di qualcuno, cammina per una settimana con le sue scarpe(Proverbio rwandese)
Uno dei peccati più frequenti di cui mi capita di ascoltare nel confessionale è quello della mormorazione: "Signor arciprete, mi è capitato di mormorare, ma cosa vuole mai, siamo donne!", come se la mormorazione fosse una cosa naturale.
È assai facile cadere nel giudizio sugli altri, parlare male di qualcuno, criticarlo di fronte ad altri. È assai meno facile riprenderlo di persona, poiché richiede una buona dose di coraggio, franchezza e carità.
Se dovessimo metterci nei panni dell'altro, o come dice il proverbio indossare le sue scarpe, molto probabilmente la nostra lingua frenerebbe assai più di frequente. Poichè spesso non sappiamo che cosa l'altra persona stia attraversando: problemi di salute, turbamenti in famiglia, beghe su lavoro che non la lasciano tranquillo.
Prima di parlare di qualcuno cammina per una settimana con le sue scarpe: solo allora, e dopo allora, sentirai se quelle scarpe sono molto strette o troppo lunghe, se sono nuove o consumate dal cammino. Solo allora, e dopo allora, potrai esprimere un giudizio, nella speranza che sia per il suo bene e per il bene della comunità.