LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 5 giugno 2022, Pentecoste - Anno C
Il Paraclito continua la missione di GesùAtti 2, 1-11 . Salmo 103 . Romani 8, 8-17 . Giovanni 14, 15-16.23b-26
LetturaNella solennità odierna rileggiamo parti del capitolo XIV di s. Giovanni. Gesù è a mensa con i suoi nel contesto dell'ultima cena e comunica loro gli insegnamenti che più gli stanno a cuore. Dopo aver presentato se stesso come via per giungere al Padre (14, 1-14), ora approfondisce ulteriormente la dinamica di relazione esistente tra Dio ed i suoi discepoli.
Gv 14, 15-16.23b-2615Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. (18Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. 21Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui".22Gli disse Giuda, non l'Iscariota: "Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?". 23Gli rispose Gesù:) "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.CommentoIl brano lega due testi in cui si parla dello Spirito Santo. Nel primo (14, 16-17) si dice che il discepolo, amando Gesù attraverso l'osservanza dei suoi comandamenti, è introdotto nella comunione d'amore trinitaria del Padre, Figlio e Spirito Santo. Nel secondo (14, 23-26) si indica ancora che l'amore del discepolo porta ad osservare le parole di Gesù. Poiché Gesù ha presentato le parole del Padre, il discepolo, che recepisce l'insegnamento del maestro, diventa di conseguenza la dimora del Padre, perché accoglie e vive la sua volontà. In entrambi i passi Gesù, per completare il rapporto d'amore tra i discepoli con lui e col Padre promette il dono del Consolatore che resti con loro per sempre. Lo Spirito Santo insegnerà ogni cosa ed opererà affinché ricordino tutto ciò che Gesù ha detto. Nel testo giovanneo lo Spirito Santo è chiamato "il Paraclito", cioè colui che viene chiamato a scendere per assistere i discepoli in difficoltà. Paraclito è lo Spirito Santo che si avvicina a chi lo invoca per essere aiutato; una specie di difensore, che si affianca ai discepoli quando sono messi alle corde ed è posta seriamente in crisi la loro vita cristiana. Paraclito è lo Spirito Santo che, come un amico, intercede e supplica Dio ed i discepoli, affinché la comunicazione tra di loro si realizzi sempre più e sia piena. Paraclito è lo Spirito consolatore, cioè lo Spirito Santo che conforta, sostiene e da speranza. Egli, prendendo il posto di Gesù, continua a svolgere tra i discepoli la missione attuata precedentemente dal maestro. Infine il Paraclito è lo Spirito Santo che istruisce e guida i discepoli, illuminandoli con le parole di Gesù, affinché siano nel mondo testimoni liberi e luminosi della verità evangelica.
Il dono dello Spirito Santo, il Paraclito dato dal Padre ai discepoli per mezzo di Gesù, porta costoro a partecipare pienamente alla comunione trinitaria. A questa sono stati ammessi attraverso le parole di Gesù e sono invitati a viverla concretamente osservando le parole del maestro ed invocando incessantemente il Paraclito.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREIl dono dello Spirito Santo concesso ai discepoli è la linea che collega le letture odierne. Nel testo di Atti incontriamo il racconto della discesa dello Spirito su coloro che a Gerusalemme erano radunati insieme. L'azione dello Spirito Santo rende i discepoli capaci di comunicare a tutti "le grandi opere di Dio" ed il messaggio annunciato è accolto positivamente dai loro interlocutori. Lo stesso dono dello Spirito è concesso a tutti i discepoli che amano Gesù Cristo. Essi, seguendo le sue parole, diventano dimora del Padre e destinatari del suo amore. La presenza dello Spirito nella vita del credente, afferma Paolo, fa superare "il dominio della carne", dà la vita ai corpi mortali, rende "figli di Dio" e, dopo aver partecipato alle sofferenze di Cristo, porta a condividere la sua stessa gloria. Le linee indicate da Paolo diventano la modalità concreta attraverso la quale, anche oggi, si è chiamati ad uscire dal "cenacolo", per comunicare a tutti, con passione e credibilità, "le grandi opere di Dio".
La vita(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci:
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
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Goito 29 maggio 2022, VI Ascensione del Signore - Anno C
Testimoni tra le genti con la forza dello SpiritoAtti 1, 1-11 . Salmo 46 . Ebrei 9, 24-28.10,19-23 . Luca 24, 46-53
LetturaLa solennità dell'Ascensione ci porta a leggere nuovamente il vangelo di s. Luca. Siamo nell'ultimo capitolo, che sembra essere organizzato in tre grandi parti, attorno al fatto della risurrezione del Signore. La prima parte (24,1-12) indica le vicende capitate al sepolcro trovato vuoto. La seconda (24,13-35) contiene il racconto dei discepoli che da Gerusalemme scendevano a Emmaus. La terza (24,36-53) conclude la prima opera lucana con la narrazione dell'apparizione del Risorto, a coloro che erano radunati nel Cenacolo, e con il racconto dell'Ascensione.
Lc 24, 46-53(44Poi disse: "Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi". 45Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture) 4
6e disse loro: "Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto".50Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. 52Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio.CommentoIl brano odierno inizia con le parole di Gesù risorto pronunziate nel Cenacolo. Per comprendere meglio il testo occorre tener conto del v. 45, non riportato dalla pericope liturgica: "Allora apri loro la mente all'intelligenza delle Scritture e disse:". Dopo aver affermato che il suo insegnamento e la sua vita sono state il compimento delle Scritture (v. 44), Gesù dichiara che solo lui può rendere realmente comprensibile la Bibbia. Dopo la resurrezione, ai discepoli, che credono in lui, Gesù toglie l'incomprensione prepasquale delle Scritture e li rende capaci di cogliere fino in fondo l'evento Cristo e di viverlo in pienezza. Tutto questo ha due puniti di riferimento irrinunciabili: la passione e la resurrezione di Cristo da un lato e dall'altro la predicazione della salvezza "nel suo nome" a tutte le genti. Di conseguenza il discepolo parteciperà pienamente all'evento Cristo credendo alla sua passione-morte-risurrezione e annunciandole di rimando a tutti. D'altro canto l'evento Cristo, che è il compimento delle Scritture, non si realizzerà pienamente fino a quando "la conversione ed il perdono dei peccati" non saranno predicati a tutte le genti. Questo è lo scopo della missione della Chiesa! In tale ottica i discepoli, che hanno incontrato il Risorto, diventano i testimoni, cioè garantiscono la certezza della risurrezione e sono disposti ad accettarne tutte le conseguenze. Gesù non lascia soli i suoi e per svolgere la missione, appena indicata, da a loro in dotazione "quello che il Padre mio ha promesso", la "potenza dall'alto" che li rivestirà. La promessa consiste nel dono dello Spirito Santo che sarà l'attore principale della missione della Chiesa.
Incontriamo infine nel passo il racconto della Ascensione. Una narrazione simile si trova anche all'inizio degli Atti. Gesù, prendendo ancora l'iniziativa, porta i discepoli fuori da Gerusalemme ed in una località verso Betania (Atti 1,12 parla di "monte degli ulivi") alza le mani e li benedice. Egli non sarà più presente col corpo tra i suoi, ma la sua benedizione continua a legarli a lui e diventa garanzia della sua presenza invisibile. L'ultimo gesto di Gesù avvolge quindi pienamente i discepoli, nel tempo e nello spazio, fino al suo ritorno negli ultimi tempi. Davanti a Gesù, che benedicente si stacca da loro, i discepoli si prostrano in adorazione orante. Questo sembra essere l'atteggiamento fondamentale d'assumere davanti al mistero di Gesù Cristo, il quale, se accolto così, produce a Gerusalemme, o in qualsiasi altra città del mondo, "grande gioia" nei discepoli e costituisce la fonte inesauribile della lode perenne della Chiesa a Dio.
Gesù sale al cielo e lascia i suoi. Egli però continua ad essere con i discepoli attraverso la potenza della sua benedizione e col dono dello Spirito Santo. Costui diventerà l'anima vitale della missione della Chiesa nella misura in cui i discepoli accoglieranno, con atteggiamento orante, il mistero di Cristo nella loro vita e, con ogni strategia, lo faranno conoscere a tute le genti. La gioia diventa il segno tangibile dell'inserimento vitale nel progetto di salvezza di Dio.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREL'Ascensione del Signore collega le tre letture della celebrazione odierna. Il Vangelo e gli Atti riportano la narrazione dell'avvenimento accaduto fuori da Gerusalemme, forse sul monte degli Ulivi, mentre la lettera agli Ebrei presenta la realtà nella quale Cristo è giunto con l'Ascensione: "non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo, ... ma nel cielo stesso". Gesù crocefisso-risorto ora è presso il Padre; egli ha inaugurato per noi una via nuova ed è diventato il "sacerdote grande sopra la casa di Dio". Invita ad avere piena fiducia in lui credendo di poter entrare nel nuovo santuario, cioè al cospetto di Dio, e di poter accostarsi a lui. Perché questo si realizzi, Gesù manda lo Spirito Santo, che dà forza ai discepoli e li rende capaci di testimoniarlo in ogni luogo, fino a quando apparirà la seconda volta "a coloro che l'aspettano per la loro salvezza". I discepoli nel frattempo sono invitati a mantenere, senza vacillare, la professione della speranza, "perché è fedele colui che ha promesso".
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Goito 22 maggio 2022, VI Domenica di Pasqua - Anno C
Formati e guidati dallo Spirito SantoAtti 15, 1-2.22-29 . Salmo 66 . Apocalisse 21, 10-14.22-23 . Giovanni 14, 23-29
LetturaGesù aveva preannunciato ai suoi la sua partenza imminente. Davanti a tale prospettiva i discepoli rimasero sconcertati e tanti interrogativi sorsero in loro. L'ultimo discorso di Gesù, iniziato nel capitolo precedente, vuole essere una risposta alle difficoltà che i discepoli avrebbero incontrato dopo la sua partenza. Il capitolo quattordicesimo si apre con una nota rassicurante: "Non sia turbato il vostro cuore". I discepoli non saranno separati da Gesù, anche se per ora egli si sottrarrà dalla loro esperienza sensibile. Il suo allontanamento si rende necessario affinché nella casa del Padre siano preparati i posti per i suoi amici. Poi Gesù tornerà e porterà i discepoli con sé. In questo contesto di rassicurazione generale si trova il brano offerto dalla liturgia odierna.
Gv 14, 23-2923Gli rispose Gesù: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28Avete udito che vi ho detto: "Vado e tornerò da voi". Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29Ve l'ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.CommentoPrima di tutto Gesù indica la via attraverso la quale si ha la certezza dell'amore vero verso di lui, quando la sua presenza sensibile sarà sottratta ai discepoli: "se uno mi ama, osserverà la mia parola". Chi non ama Gesù, e quindi non ha cercato un rapporto forte con lui, non ha motivazioni sufficienti per ascoltare e mettere in pratica la sua parola. L'amore a Gesù ed il legame mantenuto con lui, attraverso la sua parola, inseriscono nell'amore del Padre e rendono il discepolo la "dimora" del Padre e del Figlio. Questo può realizzarsi perché le parole di Gesù, ascoltate dai discepoli, non sono sue, ma del Padre che lo ha mandato. É una prospettiva grandiosa, ma nello stesso tempo terribile: il discepolo, per mezzo della sua scelta concreta, ha la possibilità di vivere immerso nel mistero di Dio, già nel suo cammino storico, oppure di rifiutarlo definitivamente. Perché non si realizzi per i discepoli questa seconda possibilità, il Padre manderà nel nome di Gesù lo Spirito Santo, il quale insegnerà loro ogni cosa e ricorderà tutto ciò che Gesù ha detto quando era ancora con loro. I discepoli quindi non devono temere, perché hanno dallo Spirito assistenza ed aiuto. Gesù lascia ai suoi, prima di partire, il dono della pace: "vi lascio la pace, vi do la mia pace". La pace di Gesù non si identifica con quella del mondo. Essa non consiste soltanto nell'assenza di guerra, né nella caduta di tensioni di natura psicologica, né in un sentimento di benessere generalizzato. La pace di Gesù é il dono della salvezza offerta agli uomini ed essa è attiva fin da ora. Chi accoglie la salvezza diventa anche fruitore di beni umani conseguenti: concordia, serenità amicizia e benessere. Infine Gesù invita nuovamente a non essere turbati e a non aver timore a causa della sua partenza. Il discepolo dovrebbe rallegrarsi dell'incamminarsi di Gesù verso il Padre. Questo fatto è la premessa necessaria perché Gesù possa ritornare e quindi anche i discepoli arrivare presso il Padre. Il discorso di Gesù va accolto con fede.
Gesù prepara gradualmente i suoi discepoli alla sua partenza. Egli promette di continuare ad essere con i suoi quando costoro lo ameranno, attraverso l'osservanza concreta delle sue parole, accoglieranno il dono dello Spirito Santo e della salvezza che produce la pace. I discepoli che vivono così saranno visitati anche dal Padre e diventeranno tempio della Trinità. Con la fede si entra già adesso in questo mistero di amore e ad esso si parteciperà per sempre quando Gesù tornerà e porterà noi con lui.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREQuando la Chiesa sperimenta problemi o difficoltà al suo interno o nell'incontro con storie e culture diverse, sorgono preoccupazione e timore perché si pensa che Gesù Cristo si sia allontanato dalla sua comunità. Anche oggi le parole rassicuranti di Gesù, con tutte le implicanze presentate dal vangelo di Giovanni, vengono affidate alla fede della Chiesa. Questa, nella visione dell'Apocalisse è la città santa, che scende da Dio risplendente della sua gloria. "Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino". La grandezza della Chiesa sta nell'essere fondata sull'Agnello (Gesù Cristo morto e risorto) e sugli apostoli. L'Agnello è poi la lampada che le dà luce e le permette di illuminare attorno a sé. Il testo degli Atti invita a considerare che a tale immagine di Chiesa vi giunge percorrendo pazientemente e con fatica le strade del confronto, del dibattito, della ricerca e della passione per la volontà del Signore. Se si superano gli interessi di parte e ci si lascia guidare dallo Spirito Santo, si diventa la città che illumina e che accoglie ogni uomo disponibile al dialogo e alla comunione.
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Veglia di preghiera per la morte di don Fausto Gavioli
Solarolo, 15 maggio 2022
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi (1,24-29)
Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa.
Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio presso di voi di realizzare la sua parola, cioè il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi, ai quali Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo ai pagani, cioè Cristo in voi, speranza della gloria.
È lui infatti che noi annunziamo, ammonendo e istruendo ogni uomo con ogni sapienza, per rendere ciascuno perfetto in Cristo.
Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza.
«Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo».
Completare e mancare sono due verbi che rimandano a una qualche necessità di tipo estetico o funzionale: non sta bene, manca qualcosa, ce lo metto e adesso sì che è bello; senza quel pezzo lì non può funzionare, lo inserisco e adesso è tutto ok, va che è una meraviglia.
Ebbene, alle sofferenze e al sacrificio di Cristo non manca proprio nulla, non necessita di alcun completamento: è pieno, perfetto, efficace, portatore di salvezza per l'intera umanità.
E allora quel "completare", non va inteso in senso estetico o funzionale, ma diventa sinonimo di compartecipare, di prendere parte, di condividere.
E di questo sì che Cristo ha bisogno: che la sua Pasqua (che è passione, croce, morte e risurrezione) non rimanga qualcosa di esterno ed estraneo rispetto all'esistenza degli uomini, che non rappresenti un fattore ulteriore o opzionale, ma che diventi parte della nostra vita, parte della nostra carne.
Dunque Cristo ha bisogno. Ha bisogno di uomini e di preti come don Fausto. Perché la condivisione fondamentale che lui ci chiede non si pone tanto sotto il segno dell'efficienza, quanto della sofferenza. Del sacrificio, della dedizione e della sofferenza.
E potremmo fermarci qui. Perché già questo è rivoluzionario, sia in rapporto a come tutti noi intendiamo la vita, sia per come purtroppo talvolta anche noi preti intendiamo il ministero o per come le nostre comunità parrocchiali quasi lo "pretendono". La sofferenza viene ben prima e vale molto più che l'efficienza.
Non si tratta infatti di un dolore fine a se stesso, di un patimento unicamente distruttivo (o auto distruttivo), ma di un'offerta, di un servizio, di un ministero a favore degli altri, della Chiesa e del mondo: "sopporto per voi", "a favore della Chiesa", "mi è stato affidato presso di voi". Le parole di Paolo non potrebbero essere più chiare.
«È lui che noi annunziamo, ammonendo e istruendo ogni uomo». Annunziare, ammonire, istruire. Se non stessimo vivendo un momento così triste, apparirebbe quasi ironico. Tre azioni che hanno a che fare con la dimensione verbale (annunciare, ammonire, istruire) e proprio don Fausto faceva una fatica terribile a parlare, a respirare, a emettere un flusso vocale a volume sufficiente alto. Ma era proprio da questo che passava il suo annuncio. Anzi, era proprio questo il suo annuncio.
Ben prima e ben più del contenuto, ben prima e ben più di quanto effettivamente dicesse. La cosa bella e fondamentale è che volesse usare fino all'ultimo respiro, fino all'ultimo alito di fiato, fino all'ultima nota di voce per proclamare il Vangelo e, quando era necessario, per rivolgere all'assemblea la sua riflessione nell'omelia. E questo non era solo commuovente, non era solo un'emozione che stringeva il cuore: questo era ed è vero annuncio, era ed è vera rivelazione.
Il poco che ho e che rappresenta il tutto che ho, il tutto che mi rimane, lo metto a disposizione di Cristo e del suo Vangelo, lo getto nel mio ministero.
"Per questo mi affatico e lotto", scrive ancora l'apostolo. Una fatica e una lotta pienamente condivise anche da don Fausto, non solo però contro la malattia e i problemi di salute che lo tormentavano sommandosi uno all'altro. Ma una fatica e una lotta vissute anzitutto per portare avanti sempre e comunque il suo servizio e il suo ministero.
Siete mai stati a San Nicolo Po? Forse stasera sono presenti anche alcuni membri di quella comunità. Ebbene, la scorsa estate mi capitava di passarci spesso durante i miei giri in bicicletta lungo il Po e il mio pensiero non poteva non andare a don Fausto. È un luogo tranquillo e pittoresco, abitato da una comunità senza dubbio disponibile, calda e accogliente, ma di certo non il posto più agevole per fare il parroco, soprattutto dopo il gravissimo incidente che lo aveva pesantemente segnato nel corpo e non solo.
Lontano dai centri principali, piuttosto isolato, con la chiesa fuori dal paese e con la facciata orientata contro l'argine del fiume. Eppure, non solo don Fausto vi ha abitato per parecchi anni, ma vi ha fatto il parroco al cento per cento, senza tirarsi indietro, senza rinunciare a nulla. Industriandosi con l'auto e con la carrozzina per andare ovunque e, ancor di più, per arrivare a tutti. Nessuno escluso.
E tutto questo, nel ministero come nella sofferenza, nell'annuncio come nella malattia, nella fatica come nel servizio, tutto questo, come scrive ancora san Paolo, solo grazie «alla forza che viene da lui e che agisce in me con potenza». Tutto questo solo grazie alla forza di Cristo.
Ricordo del presbitero mantovano don Fausto Gavioli
+ Marco Busca vescovoRispose Gesù a Pietro: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi» (Gv 21,17-18).
Con queste parole Gesù annuncia a Pietro il futuro che lo attende, ma, più in generale, sta descrivendo la parabola della vita umana. La giovinezza è la stagione primaverile, ricca di energie e di
promesse, di spazi aperti e di corse veloci; poi viene l'autunno con il declino delle forze, il ridimensionamento degli spazi e dei progetti.
Il passaggio dall'attività a una crescente passività rappresenta, per certi versi, un'esperienza di "morte anticipata". Limiti inevitabili sopraggiungono negli ultimi anni della vita di molte persone:
diminuisce il potenziale della salute, della memoria, del lavoro, delle relazioni e tutto ciò rappresenta una dura prova per noi che siamo fatti per agire, realizzare progetti, muoverci in libertà. L'infermità rende impotenti a compiere diverse azioni, mentre, giorno dopo giorno, cresce l'esperienza di dover dipendere dall'agire altrui. Imparare a rinunciare all'autonomia e acconsentire ad essere serviti da altre persone è tutt'altro che scontato. È richiesta una lotta, prima di arrivare all'accettazione di tendere le mani e lasciarsi portare, specie per quelle passività che assumono forme umilianti.
Eppure le parole di Gesù a Pietro aprono una prospettiva accettabile e persino positiva: la vita è un misto di attività e di passività, di cose decise e di cose subite e accettate. Dio opera in ogni esperienza della vita e in tutte apre una strada di fecondità. La sfida consiste nel trasformare i limiti imposti in un'occasione di maggiore comunione con Dio e con l'universo umano e cosmico. Esiste una passività virtuosa e feconda, non immediata, che bisogna intercettare e abbracciare.
L'abbiamo vista in don Fausto. L'esperienza dei limiti fisici – con tutte le conseguenze relazionali e pastorali – è sopraggiunta presto nella sua vita. Non è entrato nella trappola di pensare in retrospettiva, ripiegandosi nella nostalgia di un passato trascorso nella salute e nell'attività, ha accettato la sfida della fede e della fantasia per immaginare un ministero sacerdotale sostenibile dentro le nuove condizioni di vita. Questa fortezza d'animo è fedeltà alla missione ricevuta dal Signore, che per un prete anziano o malato si trasforma ma non viene mai meno; si è in missione fino all'ultimo respiro!
Una fortezza d'animo che è anche fedeltà a sé stessi, a quell'anelito profondo di vivere in pienezza che reagisce alla tentazione di sopravvivere in totale passività. Quando si è nelle prove, la risorsa della fede è in grado di aprire una strada nell'impossibile. La partita della fede si gioca su due parole: resistenza e resa. Più ci si arrende, nell'accettazione attiva delle vicende della vita attraverso l'abbandono fiducioso nelle mani del Padre, e più si resiste al rischio di lasciarsi andare, maledire la vita, rassegnarsi, disperarsi, ridurre al minimo il perimetro degli interessi, diventare apatici, isolarsi.
Nelle parole di Gesù a Pietro si intravvede come i limiti che dovrà sperimentare nella sua carne non gli impediranno di pascere il gregge affidato alle sue cure. Don Fausto, da uomo pensoso e profondo qual era, coltivava una coscienza chiara della sua missione sacerdotale sempre attiva, in ogni circostanza, seppure in forme differenti, magari meno appariscenti ma non meno intense. La prima volta che lo incontrai, nella canonica di Solarolo, mi raccontò con dovizia di particolari come era organizzata la sua giornata tra preghiera, lettura di libri, incontri con alcune persone che lo cercavano per dialogare o confessarsi, spostamenti in carrozzina o in macchina. Era più preoccupato di raccontarmi e convincermi di quello che poteva fare, piuttosto che dilungarsi sugli aspetti invalidanti della malattia.
Quando alcuni anni fa andai a visitarlo durante un ricovero a Negrar, mi aprì il cuore rispetto a una intuizione missionaria che gli venne all'inizio della sua "carriera" di prete ammalato. Potremmo
chiamarla una sorta di "vocazione nella vocazione", un suo carisma personale che avrebbe contrassegnato da lì in avanti il suo ministero sacerdotale. Il dono pastorale che il Signore gli consegnava era di "pregare nell'offerta per i malati che sono senza fede nelle prove. Io faccio mediazione per loro. È un'esperienza veramente grande che aiuta a maturare personalmente". Riesco a citare fedelmente queste parole di don Fausto che mi avevano impressionato e che appuntai, insieme a un altro particolare della sua testimonianza. Malato tra i malati, diceva di avere un'arma a suo vantaggio che si mostrò particolarmente efficace specie con i papà dei ragazzi colpiti da malattia. Cercava di instaurare con loro un rapporto alla pari in modo da raccoglierne gli sfoghi. Quando i tempi sembravano maturi, almeno per alcuni, li invitava a proseguire la chiacchierata in cappella e a pregare perché il Signore li aiutasse a trovare insieme qualche barlume di risposta ai tanti "perché".
Quando proposi a don Fausto di accettare l'ufficio di canonico della cattedrale reagì con grata sorpresa. Vi scorgeva il "dito" del Signore che lo chiamava ancora una volta alla missione e a cui voleva rispondere mettendo volentieri a disposizione della Chiesa mantovana tutte le sue risorse di intercessione e di offerta. Venne istituito canonico nella Solennità dell'Incoronata nell'anno 2019. Nell'omelia dissi che don Fausto rappresenta quella schiera di sacerdoti che conoscono bene il viaggio del dolore, della Via crucis. Su quella strada li attendeva un appuntamento singolare con lo Spirito Consolatore che li ha resi "paracliti" per consolare i fratelli tribolati con la stessa consolazione con cui sono stati consolati loro stessi da Dio.
Nell'ultimo periodo il corpo di don Fausto assomigliava sempre più alla fragile tenda che va disfacendosi, di cui parla san Paolo. Il lungo cammino nella tenda precaria del suo corpo infermo lo ha
fatto sospirare come sotto un peso, ma in lui non è mai venuta meno la speranza nella promessa di Dio: quando ciò che è mortale verrà assorbito dalla vita da Dio riceveremo un'abitazione, una dimora non costruita da mani d'uomo, eterna, nei cieli (cf 2Cor 5,1-2).
La morte è l'estremo Sì che il cristiano dice al Signore. La massima passività – subire la morte – diventa l'opportunità per esercitare la massima attività: restituire la vita al Padre che ce l'ha donata.
Il nostro caro don Fausto ha compiuto il suo ultimo passo dal provvisorio al definitivo, dal tempo all'eternità. Affidiamo alla terra le sue spoglie mortali sapendo che, quando il Signore verrà nella
sua gloria, riprenderà questo corpo terreno per cambiarlo in bellezza eterna. Pensiamo già don Fausto nella pienezza di vita del Regno, dove tutto da Dio si riceve e tutto a Dio si restituisce in lode e adorazione.
La sua testimonianza ci ricordi la sapienza di restare vivi sempre, anche in mezzo a molti limiti, vivi nell'offerta di noi stessi che è l'azione più nobile che esiste, l'unica che rimane per l'eternità. A noi ministri della Chiesa, don Fausto ricorda che si è preti sempre dedicati all'altare: l'altare eucaristico e i tanti altari esistenziali che la vita e il ministero ci riservano, compreso l'altare della sofferenza. Questo è il culto della nuova alleanza, conforme a quello offerto dal Figlio di Dio nei giorni della sua carne: "Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale" (Rm 12,1).
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Goito 15 maggio 2022, V Domenica di Pasqua - Anno C
L'amore fa presente il SignoreAtti 14, 21b-27 . Salmo 144 . Apocalisse 21, 1-5° . Giovanni 13, 31-33a.34-35
LetturaIl brano di questa domenica è collocato nella seconda parte del vangelo di Giovanni chiamata "Libro della gloria". Qui è presentata la glorificazione di Gesù. Essa consiste nel compimento dell'"ora" della passione, crocifissione, risurrezione e ascensione. In questo modo Gesù è innalzato al Padre, per godere nuovamente della gloria che aveva con lui prima della creazione del mondo. È emblematico al riguardo l'inizio del libro: "Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13,1). A questo punto Gesù ha ormai compiuto il gesto significativo della lavanda dei piedi e lo ha interpretato. Giuda, seduto a cena con loro e sedotto dal diavolo, ha già progettato il tradimento. Qui si inserisce la nostra breve pericope.
Gv 13,31-33a-34-3531Quando fu uscito, Gesù disse: "Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri".CommentoLe parole di Gesù sono introdotte da una nota sull'uscita di Giuda dal cenacolo. Egli, con la decisione di tradire il maestro, si colloca fuori dall'orizzonte d'amore di Gesù Cristo e si allontana anche dalla comunità radunata attorno al Signore nel cenacolo. L'ultimo discorso si apre con la proclamazione della glorificazione del Figlio dell'uomo. Il titolo "Figlio dell'uomo", è per Giovanni sinonimo di Figlio di Dio. Per cui, in un movimento circolare, tutto quello che riguarda il Figlio coinvolge anche il Padre e viceversa. Di conseguenza la morte del Figlio diviene la glorificazione di Dio, perché in essa il Figlio compie per amore il comandamento del Padre. Dio a sua volta glorifica subito il Figlio, attraverso la risurrezione. Il tema della gloria si riferisce al dispiegarsi del disegno di amore di Dio sul doppio versante della morte e della risurrezione del Figlio. Il Padre chiede al Figlio il dono della vita come gesto di obbedienza e di amore. In questo modo Gesù, accogliendo la difficile e dolorosa richiesta di comunione, glorifica Dio Padre. Dio, per mezzo della risurrezione, dona a sua volta la vita al Figlio e lo glorifica svelando il significato vero della morte. Gesù annuncia poi ai discepoli che sarà ancora con loro per poco tempo. Dopo un periodo in cui i suoi non potranno incontrarlo fisicamente, senza però essere assente, egli ed il Padre torneranno da loro. Nel frattempo, cioè nella vita in questo mondo, Gesù lascia un comandamento da osservare: "che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi". Il comandamento è detto anche nuovo, però non è da intendersi come sintesi del doppio comando di amare Dio ed il prossimo già presente nella tradizione ebraica. Esso è nuovo perché scaturisce dalla nuova alleanza stipulata da Gesù e perché in lui trova la misura ed il metodo: "come io vi ho amato". Il discepolo è invitato ad amare fino a dare la vita anche per persone che non sono di fatto amabili.
Ogni peccato grave, commesso volutamente e coscientemente dai discepoli, colloca fuori dall'amore di Gesù Cristo ed esclude dalle dinamiche vitali della comunità ecclesiale. Soltanto la glorificazione del Figlio di Dio, avvenuta attraverso la pasqua, rimette in movimento nei discepoli peccatori la speranza di partecipare pienamente alla salvezza. Nel frattempo, cioè nella vita storica, essi sono invitati ad amarsi come ha amato Gesù. Questo modo di volersi bene tra cristiani, inserisce il credente nella dinamica d'amore della Trinità, diventa segno credibile che si è discepoli del Figlio dell'uomo, si pone come sfida per il mondo e continua a rendere presente nella storia il Signore Gesù.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREI discepoli che vivono l'amore reciproco sull'esempio di Gesù, sono portatori della novità introdotta nella storia e nel mondo dal Risorto. In questo modo si realizzano gradualmente il nuovo cielo e la nuova terra ed anche "la città santa, la nuova Gerusalemme", contemplati in visione da Giovanni e presentati nell'Apocalisse. É il comandamento nuovo, accolto dai cristiani, che da forma alla "dimora di Dio con gli uomini", rende popolo di Dio e permette a lui di fare "nuove tutte le cose". L'opera degli apostoli nei confronti delle comunità dell'Asia, descritta da Atti, è un'azione di Dio verso la realizzazione della Gerusalemme nuova. Gli apostoli del Risorto fondano comunità anche tra i pagani, perché l'appartenenza al nuovo popolo non è più per discendenza quanto piuttosto per accoglienza sincera del comandamento di Gesù. Questo però richiede ai discepoli saldezza nella fede, perseveranza nell'attraversare le tribolazioni inevitabili, comunione sincera ed appassionata con gli anziani posti a presiedere le loro comunità.
La vita(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci:
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)