LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 12 novembre 2023 – XXII Domenica del Tempo Ordinario A
L'olio che illuminaSapienza 6, 12-16 . Salmo 62 . 1 Tessalonicesi 4, 13-18 . Matteo 25, 1-13
Lettura
Dopo il conflitto sostenuto con i capi religiosi, acutizzatosi nel capitolo ventitreesimo con la severa denuncia di Gesù contro i farisei, Matteo riporta il discorso finale del maestro rivolto ai discepoli e alle folle. Esso si articola nei capitoli ventiquattro e venticinque del vangelo. In un primo momento Gesù annuncia la venuta del Figlio dell'uomo e con la parabola dei due servi, il fedele e l'infedele, presenta il primo atteggiamento con cui bisogna predisporsi alla sua venuta. Abbiamo poi la parabola proposta dalla liturgia odierna.
Mt 25, 1-131Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. 2Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; 3le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l'olio; 4le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l'olio in piccoli vasi. 5Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. 6A mezzanotte si alzò un grido: "Ecco lo sposo! Andategli incontro!". 7Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. 8Le stolte dissero alle sagge: "Dateci un po' del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono". 9Le sagge risposero: "No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene". 10Ora, mentre quelle andavano a comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. 11Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: "Signore, signore, aprici!". 12Ma egli rispose: "In verità io vi dico: non vi conosco". 13Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora.CommentoIl racconto inizia paragonando il regno dei cieli all'esperienza vissuta da dieci ragazze che partecipano ad una festa di nozze. È la festa della venuta definitiva del Figlio di Dio e partecipare ad essa è veramente una gioia grande. Il racconto continua sviluppandosi in tre momenti: la preparazione delle lampade e l'attesa dello sposo (25, 3-5), l'arrivo dello sposo (25, 6-9), l'inizio della festa di nozze (25, 10-12). La conclusione invita a vegliare perché non si conosce né il giorno né l'ora in cui arriva lo sposo. Questa esortazione finale produce effetto se si collega al secondo versetto, dove si dice che le ragazze si dividono in due gruppi: "cinque di esse erano stolte e cinque sagge". La saggezza o la stoltezza delle ragazze è determinata dall'avere o no con sé olio sufficiente fino alla venuta dello sposo. La negligenza delle ragazze stolte è anche fonte di discussione all'interno del gruppo ("dateci del vostro olio..., no, che non abbia a mancare per noi e per voi") e determina la loro esclusione definitiva dalla festa di nozze ("più tardi arrivarono anche le altre vergini e cominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco"). Vegliare, allora, significa avere con sé l'olio che permette alla lampada di restare sempre accesa e quindi poter accogliere prontamente lo sposo quando arriva.
L'incontro definitivo con Gesù Cristo, che realizza pienamente il regno dei cieli, è una festa. Tale avvenimento non va solo atteso o ricercato, ma è necessario prepararlo con assiduità. Chi non si prepara, non può rimediare all'ultimo momento alla sua negligenza. Ci si prepara adeguatamente all'incontro col Signore, vivendo con fedeltà la volontà del Padre che Gesù ci ha fatto conoscere. La volontà del Padre riusciamo a conoscerla e a viverla se quotidianamente ci alimentiamo alla mensa della Parola. Solo così l'olio non verrà mai a mancare nella vita del cristiano. La sua lampada risplenderà sempre davanti agli uomini; essi vedranno le opere buone e daranno gloria al Padre, e l'incontro definitivo con lui sarà così veramente una festa.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREIl tema dell'attesa della venuta del Signore collega le letture di questa domenica. L'evangelista Matteo, con la parabola delle dieci vergini, che partecipano alla festa di nozze, invita i sui lettori a prepararsi adeguatamente ad accogliere il Signore, tenendo sempre abbondante nella propria vita l'olio della volontà del Padre, accolta e vissuta. Questa necessità è indicata anche nella prima lettura col tema della "sapienza". Essa può essere identificata con la volontà del Padre, rivelata a noi per mezzo di Gesù Cristo. Chi di buon mattino si leva per ricercarla "non faticherà, la troverà seduta alla sua porta". Il testo dice anche "che essa medesima va in cerca di quanti sono degni di lei, appare loro ben disposta per le strade, va loro incontro con ogni benevolenza". La Lettera di Paolo ai tessalonicesi invita i cristiani di quella comunità a non rattristarsi per la morte di alcuni fratelli. Egli afferma con autorevolezza: "noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù Cristo insieme con lui". La morte non deve far paura, perché i credenti vivono nell'attesa della venuta del Signore. La speranza di incontrare il Signore e di partecipare dei sui doni dovrebbe azzerare tutta la negatività della morte e dovrebbe essere fonte di conforto e di consolazione.
La vita(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
3 Qoelet (qhlt) – EcclesiasteQuesto brano presenta una serie di esperienze di vita fatte da Qoelet per ercare di raggiungere un "guadagno".
2, 1Io dicevo fra me: "Vieni, dunque,
voglio metterti alla prova con la gioia. Gusta il
piacere!". Ma ecco,
anche questo è vanità. 2Del
riso ho detto: "Follia!" e della
gioia: "A che giova?".
3Ho voluto fare un'
esperienza: allietare il mio corpo con il
vino e così afferrare
la follia, pur dedicandomi con la mente alla sapienza. Volevo
scoprire se c'è qualche bene per gli uomini che essi possano realizzare sotto il cielo durante
i pochi giorni della loro vita. 4Ho intrapreso
grandi opere, mi sono
fabbricato case, mi sono
piantato vigneti. 5Mi sono
fatto parchi e giardini e vi ho
piantato alberi da frutto d'ogni specie; 6mi sono
fatto vasche per irrigare con l'acqua quelle piantagioni in crescita. 7Ho
acquistato schiavi e schiave e altri ne ho avuti nati in casa;
ho posseduto anche armenti e greggi in gran numero, più di tutti i miei predecessori a Gerusalemme. 8Ho accumulato per me anche
argento e oro,
ricchezze di re e di province. Mi sono procurato
cantori e cantatrici, insieme con
molte donne, delizie degli uomini. 9Sono divenuto
più ricco e più potente di tutti i miei predecessori a Gerusalemme, pur
conservando la mia sapienza. 10Non
ho negato ai miei occhi nulla di ciò che bramavano, né ho
rifiutato alcuna soddisfazione al mio cuore, che
godeva d'ogni mia fatica: questa è stata la parte che ho ricavato da tutte le mie fatiche. 11Ho
considerato tutte le opere fatte dalle mie mani e tutta la fatica che avevo affrontato per realizzarle. Ed ecco:
tutto è vanità e un correre dietro al vento. Non c'è alcun guadagno sotto il sole.
12
Ho considerato che cos'è la sapienza, la stoltezza e la follia: "
Che cosa farà il successore del re? Quello che hanno fatto prima di lui".
v. 1 Qoelet, siccome la sapienza non produce vantaggio all'uomo anzi dolore, decide di darsi alla vita spensierata percorrendo diverse esperienze che dovrebbero produrre gioia, allegria e piaceri. Già nel primo versetto l'autore conclude che anche questo percorso è vanità.
v. 2 Ora vengono analizzate alcune esperienze che dovrebbero portare gioia e piacere. Si parte considerando (il "ridere") il "piacere", che di per sé è conseguenza di un'altra azione che qui non è descritta. Il piacere sembra per Qoelet stolto e quindi privo intrinsecamente di valore, perché la stoltezza vale meno della sapienza come la tenebra vale meno della luce. Nessuna utilità nemmeno nell'allegria e nel riso. Forse l'autore intende con "allegria" un significato negativo e con "gioia" un significato positivo. Quindi "riso=allegria" indica spensieratezza stolta e non porta valore. Ma anche la gioia forse non serve a nulla.
v. 3 Questo secondo tipo di scelta è sulla stessa linea della precedente e va ancora più a fondo su ciò che è da dimenticare e folle. Qui l'autore mette insieme esperienze al limite del lecito e la ricerca della sapienza (che in questo caso sarebbe meglio tradurre con felicità). La ricerca della felicità è opposta alla ricerca della sapienza. Però egli vuole provare anche questa esperienza in quanto è tutto così assurdo in questo mondo che si può provare anche questo percorso.
v. 4-5 Inizia qui la descrizione di una nuova esperienza, un'attività creativa. Egli racconta tutto ciò che ha fatto di grande e di importante.
v. 7 Un'altra esperienza viene descritta che consiste nel possedere persone al proprio servizio, e tutti i piaceri che questo può portare. Una ricchezza veramente sovrabbondante che si manifesta negli armenti e nei greggi. Pensa che con tutto questo egli possa allietare la vita. Il riferimento qui è a Salomone che fu grande e lui lo è di più di tutti i suoi predecessori.
v. 8 Egli ammassa ricchezze di ogni genere di preziosi e di territori con tesosi di re vinti in guerra. Si procura cantori e cantore e tante donne (principesse).
v. 9 egli si autoincensa e sottolinea la sua ricchezza e potenza. L'acquisto dei beni e della potenza non era fine a se stesso, ma tutto serviva per trovare il bene per sé, per l'uomo e per il popolo? In tutto questo sperimentare la sapienza lo accompagnava sempre ed era in funzione della sapienza che egli realizzava tutto questo.
v. 10 Qoelet ripete che ha voluto provare tutto ciò che l'animo umano può desiderare. Egli ha riscontrato qualche guadagno e qualche felicità nel suo lavoro. Nella vita esiste qualcosa che vale e cioè la soddisfazione di fare e di provare se stesso nelle varie attività e nelle varie esperienze. Da queste attività dice Qoelet devono essere escluse riso e allegria che non recano alcun giovamento. L'agire con successo produce soddisfazione e considera positivo le esperienze creative e di possesso con tutti i tipi di piacere che producono.
v. 11 Dopo aver detto che c'è un guadagno per l'uomo, afferma che l'agire umano è senza senso e che tutto è vano. La soddisfazione del successo esiste, ma questa ha valore? La risposta è negativa e poi spiega ne versetto seguente il perché.
v. 12 Qoelet deve risolvere il valore della soddisfazione. Per risolverlo si domanda che cosa farà il suo successore. Per rispondere allarga lo sguardo e considera gli uomini che agiscono. E la dolorosa conclusione è che anche in futuro, come è avvenuto in passato, gli uomini faranno come si è comportato lui. L'uomo nelle esperienze non riesce a fare un salto di qualità. Il fatto che tutti si comportano allo stesso modo toglie importanza alla sua soddisfazione perché tutti fanno così anche i posteri. Quindi la sua soddisfazione non ha più senso.
- Qoelet e la sapienza greca, la filosofia greca che non possiamo ignorare.
- Il piacere e la gioia possono essere realtà effimere che non lasciano nulla. Pensiamo alla nostra cultura nella quale noi siamo completamente immersi.
- È bene fare tante esperienze ma occorre avere un fine un obiettivo da raggiungere.
- Essere in mezzo agli altri ci fa perdere la nostra identità e diventiamo gregge.
2 Qoelet (qhlt) – Ecclesiaste1, 12Io, Qoèlet,
fui re d'Israele a Gerusalemme. 13Mi sono
proposto di
ricercare ed
esplorare con
saggezza tutto ciò che si fa (è stato fatto)
sotto il cielo. Questa
è un'occupazione gravosa (brutta) che Dio ha dato agli uomini, perché vi
si affatichino. 14Ho
visto tutte le opere che si fanno sotto il sole, ed ecco:
tutto è vanità e un correre dietro al vento.
15Ciò che è
storto non si può raddrizzaree quel che
manca non si può contare.
16
Pensavo e dicevo fra me: "Ecco, io sono cresciuto e
avanzato in sapienza più di quanti regnarono prima di me a Gerusalemme. La mia mente ha
curato molto la sapienza e la scienza". 17Ho deciso allora di
conoscere la sapienza e la scienza, come anche
la stoltezza e la follia, e ho
capito che anche questo è un correre dietro al vento. 18Infatti:
molta sapienza, molto
affanno;
chi accresce il sapere aumenta il
dolore.
v. 12 Qoelet, che si definisce re d'Israele (è stato e lo è ancora?) e la tradizione lo ha identificato con Salomone, parla con la saggezza che gli deriva dall'aver già percorso il cammino dell'esperienza, senza la quale, per lui, non c'è alcuna conoscenza. "Fui re" nel senso non dopo la vita, ma dopo l'esperienza fatta.
v. 13 Qoelet insiste che egli ha indagato sul reale in modo personale con la sapienza-saggezza. Questo atteggiamento di Qoelet rivela il legame dell'autore con la mentalità greca di ricerca e di studio della realtà. Che cosa è la sapienza? È una facoltà umana attraverso la quale si compie un'indagine, una ricerca di qualsiasi tipo. Essa sembra anche indicare tutte le facoltà umane intellettive che corrispondono alla nostra "ragione", ma con un'area semantica più grande perché include anche la capacità di destreggiarsi nella vita e fare le scelte giuste (discernimento?). Egli quindi si è interessato di tutto ciò che avviene sotto il cielo. "Ciò che è stato fatto" rimanda a Dio creatore.
"E' una occupazione gravosa (brutta)" ricercare perché (cfr. v.17) la presa di coscienza del reale non serve ad aumentare la gioia, ma il dolore. La facoltà di conoscere è attribuita a Dio. Quindi Dio ha creato l'uomo e la donna "per conoscere", ma questo non è una gioia ma un dolore. Qui emerge subito un primo elemento dell'idea di Dio di Qoelet: è il creatore. Egli dona la sapienza perché le persone se ne occupino (gravosa?) con la ricerca. Tutta l'opera dell'uomo si esercita su ciò che Dio ha creato, perché l'uomo deve curarsene per tutta la vita. L'opera dell'uomo si esercita sull'opera di Dio e la presuppone. Dio e l'uomo sono all'opera nel mondo. La loro attività si incrociano, si incontrano e si scontrano. Spesso Qoelet ritorna su questo tema.
v. 14 La ricerca di Qoelet e la sua esperienza lo portano a concludere che tutto è vanità e tutto è un lavoro senza senso.
v. 15 Vengono ora elencati degli elementi che in natura si trovano storti e che l'uomo non può raddrizzare o delle carenze che non si possono colmare. Le leggi della natura sono immodificabili anche se per l'uomo sono gravi da sopportare. "Non si può contare" nel senso che non tutto ciò che esiste può essere sperimentato e conosciuto. Di conseguenza la possibilità di sperimentare ha un limite e quindi anche la conoscenza è limitata.
v. 16-18 L'autore esterna delle sue riflessioni elaborate. Inizia constatando che il suo impegno l'ha reso superiore ai suoi predecessori e la sua mente ha guadagnato in sapienza e scienza. Era l'obiettivo del saggio conoscere tutti gli aspetti della realtà. Questa era la sapienza tradizionale che includeva anche la scienza cioè ricercare l'opera di Dio nella creazione per raggiungere la sapienza. Egli però vuole andare oltre e sperimentare ed indagare anche ciò che era considerato pericoloso e cioè stolto e folle. Che cosa era stolto e folle? Acquistare case, vigne, ville, giardini, servi e serve, tutto ciò che era desiderabile e non rinunciare a nulla. Infatti "chi è veloce a diventare ricco non sarà senza colpa" dice Proverbi 28,20. Tutto questo esercizio è molto stressante e al limite delle capacità umane. Il saggio cerca di mettere distanza dalla sapienza e dalla stoltezza ma anche questo è vanità. La tensione degli opposti tenuti insieme, senza rifiutare l'uno o l'altro è un lavoro pesante e inutile. La conclusione però sembra amara in quanto il risultato della sua ricerca l'ha portato a concludere che sperimentare e ricercare è una occupazione assurda. Infatti "dove c'è molta sapienza c'è molta tristezza (affanno) e aumentando la scienza si aumenta il dolore". Il pensiero comune ritiene che aumentando l'impegno e lo sforzo di conoscere ci sia un guadagno. Invece diminuisce la gioia anche spiritualmente e questo è assurdo. Qui resta non chiarito in che cosa consista il dolore. Esso probabilmente è da identificarsi nella conseguenza immediata della presa di coscienza del reale che si rivela assurdo e vano: tanto più l'uomo è sapiente, e più sa che il mondo è cosa vana, senza nessuna utilità o guadagno possibile per l'uomo. È la sofferenza che deriva dal tenere insieme le cose, dal fallimento di questa operazione e dalla inutilità di tutto questo.
- Ritorna l'affermazione che la conoscenza vera arriva dopo l'esperienza
- Tutto ciò che esiste rimanda a Dio e l'uomo deve scoprire le sue leggi
- Il lavoro è impegnativo, stressante e a volte senza risultati
- Non si raggiunge nessun obiettivo senza impegno e dolore
La vitaCerchiamo ora di interagire col testo biblico e chiediamoci:
- Quale parte del vangelo letto e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con l'insegnamento di Gesù?
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è qualcosa di urgente a cui io posso contribuire per un miglioramento evangelico della realtà?
Qoelet (qhlt) – EcclesiasteIl nomeIl vocabolo sembra derivare dalla radice ebraica qal che vocalizzata diventa qãhãl e significa "assemblea". La traduzione greca diventa ecclesìa da cui deriva il titolo di Ecclesiate. Di che assemblea si tratta? Assemblea liturgica o assemblea civile pubblica? Il personaggio autore del testo è un componente dell'assemblea o è uno che parla all'assemblea? È un problema secondario perché a noi interessa cogliere il messaggio che l'autore vuole comunicare col testo.
Testo1, 1
Parole di Qoèlet, figlio di Davide, re a Gerusalemme.
2
Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità:
tutto è vanità.
3
Quale guadagno viene all'uomo
per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole?
4
Una generazione se ne va e un'altra arriva,
ma
la terra resta sempre la stessa.
5Il
sole sorge, il sole tramonta
e si affretta a tornare là dove rinasce.
6Il
vento va verso sud e piega verso nord.
Gira e va e sui suoi giri ritorna il vento.
7Tutti i
fiumi scorrono verso il mare,
eppure il
mare non è mai pieno:
al
luogo dove i fiumi scorrono,
continuano a scorrere.
8Tutte
le parole si esauriscono
e nessuno è in grado di esprimersi a fondo.
Non si sazia l'
occhio di guardare
né l'
orecchio è mai sazio di udire.
9
Quel che è stato saràe quel che si è fatto si rifarà;non c'è niente di nuovo sotto il sole.
10C'è forse qualcosa di cui si possa dire:
"Ecco, questa è una
novità"?
Proprio questa è già avvenuta
nei secoli che ci hanno preceduto.
11
Nessun ricordo resta degli antichi,
ma neppure di coloro che saranno
si conserverà memoria
presso quelli che verranno in seguito.
v.1 Il primo versetto può essere considerato il titolo di tutto il libro; questo e viene generalmente attribuito ad un discepolo che raccolse gli insegnamenti del maestro. È sicuramente uno "pseudepigrafo", cioè uno scritto realizzato da uno pseudonimo che non rivela la sua identità perché ciò che conta è l'insegnamento sapienziale che lui vuole comunicare.
"Parole" è un termine generale che vuole indicare tutti gli insegnamenti che lui darà.
"Figlio di Davide, re di Gerusalemme" il personaggio in questione è stato identificato con Salomone il re sapiente per eccellenza. L'opera è stata scritta più tardi dell'epoca salomonica, la lingua e i problemi descritti sono di epoca successiva. Tutti sapevano che non era Salomone l'autore, ma attribuire un testo ad un autore antico e riconosciuto da tutti saggio era un modo per dare autorevolezza allo scritto e per dire che conteneva gli insegnamenti che provenivano da lui.
v.2 La parola "vanità" è il termine più amato da Qoelet e significa soffio, nebbia leggera che svanisce velocemente e non lascia segno, qualcosa che fugge. L'espressione assume anche il senso di "assurdità" in quanto si crea una situazione che l'individuo non sa orientarsi. Vanità delle vanità, cioè vanità immensa.
v.3 Quale guadagno esiste ad essere uomini? Che utilità esiste ad essere uomini? Le espressioni 'fatica ed affanno' indicano il lavoro nel suo complesso con tutta la fatica che comporta durante il giorno 'sotto il sole', infatti di notte non si lavorava.
Nei versetti 2-3 l'autore il tema di tutta l'opera: c'è qualcosa di bene per l'uomo nella vita? Quale utilità c'è per l'uomo nella vita?
v.4 La storia è fatta dal succedersi di tante generazioni, sempre nuove, ma in mezzo al mutare degli eventi, la terra con i suoi abitanti e le loro vicende sono sempre immobili. Tutto sulla terra si muove ma essa non cambia mai; le generazioni passano ma la storia resta sempre la stessa.
v.5 Come è immobile la terra così è immobile il ciclo del sole.
vv. 6-7 Esempi di immobilità e di staticità.
v. 8 La Parola è limitata così come lo è la vista e l'udito
v. 9 C'è un ritmo di vita immutabile che si sussegue nel tempo senza novità.
v. 10 Non c'è nulla di nuovo e tutto si ripete
v. 11 Anche delle persone non ci sarà nessun ricordo.
In questi versetti l'autore esprime alcuni capisaldi del suo pensiero. Ciò che si muove è come se fosse fermo perché non uscirà mai dall'ordine impresso dalla natura. Pertanto tutto ciò che l'uomo compie sarà sempre dentro i limiti dell'umano. Tutto ciò che c'è è sempre stato e sempre sarà. La conoscenza per Qoelet è sempre frutto di esperienza (cfr. 2,3) e l'esperienza è sempre limitata. Però egli non è pessimista perché l'uomo nella natura è in grado di conoscerne le leggi ed è consapevole di conoscerne solo una parte.
Per noi:
- Invito ad essere consapevoli dei nostri limiti e non considerarci onnipotenti.
- Il creato la natura va rispettata e non stravolta.
- È opportuno esercitare sempre la coscienza critica su noi stessi e le nostre attività chiedendoci se è utile per noi e per l'umanità ciò che facciamo
LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 5 novembre 2023 – XXXI Domenica del Tempo Ordinario A
Servire nell'amoreMalachia 1, 14b-2,2b.8-10 . Salmo 130 . 1 Tessalonicesi 2, 7b-9.13 . Matteo 23, 1-12
Lettura
Continua nel tempio di Gerusalemme il confronto - scontro tra Gesù ed i capi religiosi e politici. Dopo la precisazione sul comandamento più importante di domenica scorsa, l'evangelista Matteo riporta un passo dove Gesù chiarisce il collegamento tra Messia e figlio di Davide. Nello stesso tempo egli dichiara la sua superiorità, perché "Signore". Segue il lungo brano di denuncia di Gesù contro i farisei (23, 1-39) del quale oggi leggiamo una parte.
Mt 23, 1-121Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati "rabbì" dalla gente.8Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate "padre" nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare "guide", perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.CommentoIl testo si apre presentando i destinatari della prima parte del discorso di Gesù: la folla ed i suoi discepoli. A costoro, dopo aver affermato l'autorevolezza degli scribi e dei farisei in quanto continuatori del ministero di Mosè, Gesù rivolge la prima esortazione: "quanto vi dicono fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno". Seguono le motivazioni concrete che illustrano cosa significa: "dicono e non fanno". Secondo Gesù gli scribi ed i farisei impongono un legalismo oppressivo alla gente, che veramente risulta schiacciata. Tutto quanto è prescritto dai capi non è da loro assolutamente preso in considerazione: "non vogliono muoverli neppure con un dito". Infine essi sono considerati esibizionisti e bigotti, perché "tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini". Infatti i filatteri e le frange allungati, il saluto ricevuto nelle piazze ed il titolo di "rabbi" sono indici di religiosità no autentica, finalizzata al prestigio e alla ricerca di privilegi personali. Per evirate che i discepoli cadano in questi tranelli, Gesù dà loro una regola di comportamento. Essi non devono farsi chiamare "maestro" e "padre", perché solo Gesù Cristo è il loro maestro e soltanto il Padre del cielo è il loro padre autentico. Da ultimo Gesù invita i suoi a vivere il servizio vicendevole. Chi più ha responsabilità nella comunità maggiormente è chiamato a mettersi al servizio dei fratelli nelle piccole cose di ogni giorno.
Chi ha responsabilità nella comunità e chi da sempre vive in essa corre il rischio di arroccarsi in sicurezze e formalismi, che fanno perdere di vista lo scopo principale della vita comunitaria. Questo resta sempre l'incontro con Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo. Il pericolo denunciato da Gesù si può evitare se si mettono in pratica gli insegnamenti da lui dati e se nella comunità si vive la fraternità, esercitando concretamente il servizio vicendevole nell'amore.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREL'invito a vivere con coerenza la propria fede collega le letture della domenica. La critica di Gesù ai capi religiosi del giudaismo è un invito a tutti i discepoli a non ricercare nella religiosità soltanto interessi materiali oppure comportamenti esterioristici, ma a fare di essa l'occasione per vivere l'incontro con Gesù Cristo, l'unico maestro, e per sperimentare la paternità di Dio. Anche la prima lettura è in questa linea. Il profeta si rivolge ai sacerdoti del tempio e li richiama al loro dovere fondamentale: "se non mi ascoltate e non vi prendete a cuore di dar gloria al mio nome". Essi devono poi istruire il popolo perché resti fedele all'alleanza e quindi riceva la benedizione di Dio, cioè rinnovi continuamente l'incontro con lui. La seconda lettura presenta la testimonianza di Paolo. Egli, scrivendo ai tessalonicesi, offre l'occasione per dire come deve essere il sevizio nella comunità: "siamo stati in mezzo a voi come una madre nutre ed ha cura delle proprie creature". L'amore di Paolo per i suoi fratelli, lo spinge ad essere disposto a dare la sua stessa vita per loro e per la loro crescita. È questo l'atteggiamento concreto che porta poi ad una vera coerenza di vita.
La vita(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 29 ottobre 2023 – XXX Domenica del Tempo Ordinario A
Amare Dio ed il prossimoEsodo 22, 20-26 . Salmo 17 . 1 Tessalonicesi 1, 5c-10 . Matteo 22, 34-40
Lettura
Continua il confronto - scontro tra Gesù ed alcuni esponenti significativi della comunità ebraica su due questioni nodali. Dapprima il dibattito si focalizza sul problema della resurrezione dei morti (22, 23-33). Poiché i sadducei non credevano nella resurrezione dei morti, cercano di incastrare Gesù su questa tematica. Gesù risponde dicendo che la questione della resurrezione non va trattata secondo le categorie umane, essa è qualcosa di diverso. La stessa identità di Dio porta a credere alla vita eterna. La seconda questione riguarda il comandamento più importante (22, 34-40).
Mt 22, 34-40
34 Allora i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35 e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36 "Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?". 37 Gli rispose: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38 Questo è il grande e primo comandamento. 39 Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti".CommentoIl testo si apre presentando ancora il contesto di controversia all'interno della quale si colloca la vicenda. Questa volta sono di scena i farisei. Costoro, "udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono... per metterlo alla prova". Un dottore della legge, un giurista, pone a Gesù una domanda con intenzione insidiosa: "Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?". Egli, partendo dall'usanza diffusa a quel tempo di sintetizzare in una frase il principio unificatore della spiritualità ebraica, cerca di trovare nelle parole di Gesù motivi per condannarlo. La risposta di Gesù si colloca su un altro piano e diventa un insegnamento autorevole. Dapprima Gesù ripropone un precetto basilare della vita ebraica: "amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente". Dio va amato in modo integro e totale dall'uomo, per questo vengono indicate le sue facoltà fondamentali: cuore, anima e mente. Ciò significa che è necessario conoscere Dio (mente) in ogni aspetto della sua identità, del suo insegnamento e delle sue opere. Con Dio occorre anche costruire una relazione di affetto, che lo collochi al centro della vita della persona (cuore). Dio deve anche ispirare tutta la vita, le scelte e i comportamenti umani (anima). Anche l'amore al prossimo, indicato come secondo comandamento, è presentato da Gesù con le stesse esigenze dell'amore a Dio. Le parole di Gesù si chiudono dichiarando i due comandamenti sull'amore come cardini di tutta la rivelazione biblica: "da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge ed i Profeti".
Gesù non si lascia invischiare nella polemica provocatoria messa in atto dai suoi avversari. Egli, riprendendo due testi fondamentali della tradizione ebraica, contenuti nella Torà, dà un nuovo insegnamento ai suoi uditori. L'amore a Dio e al prossimo vanno espressi nella vita in modo totale ed integrale, sviluppando tutte le loro dimensioni. Solo così si evita il formalismo religioso e si realizza pienamente la volontà di Dio Padre.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTURELa novità, introdotta da Gesù nel vangelo, di amare in modo totalitario Dio ed il prossimo, collega le letture di questa domenica. Nella prima lettura, li libro dell'Esodo presenta prescrizioni a tutela delle figure più deboli della società: il forestiero, la vedova, l'orfano, l'indigente ed il prossimo povero. Queste persone non occorre molestarle, né opprimerle, né maltrattale; ad esse non bisogna imporre alcun interesse o sottrarre il mantello, perché la collera di Dio si accenderà sugli oppressori in quanto ascolta sempre il grido di aiuto del povero. Anche la seconda lettura, presentando la testimonianza di Paolo ai tessalonicesi, sottolinea la loro decisione nel seguire Dio. Essi infatti si sono convertiti a Dio, allontanandosi dagli idoli, "per servire il Dio vivo e vero". Chi accoglie la parola di Gesù "con la gioia dello Spirito Santo, anche in mezzo a tribolazioni", ha la possibilità reale di amare Dio ed il prossimo, diventa modello a tutti i credenti e attende la venuta del Figlio di Dio, "che egli ha risuscitato dai morti e che ci libera dall'ira ventura".
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- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
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Goito 22 ottobre 2023 – XXIX Domenica del Tempo Ordinario A
Nel mondo con lo sguardo rivolto a DioIsaia 45, 1.4-6 . Salmo 95 . 1 Tessalonicesi 1, 1-5b . Matteo 22, 15-21
Lettura
Il brano odierno si colloca in san Matteo in una controversia tra Gesù ed alcuni gruppi rappresentativi del giudaismo: i sadducei, i farisei e gli erodiani. I farisei erano laici ed esigevano in tutti i campi un'osservanza assolutamente stretta della Legge ed anche della tradizione orale degli antichi. Essi credevano alla resurrezione ed in una retribuzione futura. Questi aspetti di fede non erano invece accolti dai sadducei, gruppo a cui appartenevano tutti i discendenti di stirpe sacerdotale. I sadducei erano anche conservatori nel senso più stretto. Il gruppo degli erodiani era formato da ebrei che si erano associati in una specie di partito a sostegno di Erode il grande e dei suoi discendenti.
Mt 22, 15-2115 Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16 Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: "Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17 Dunque, di' a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?". 18 Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: "Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19 Mostratemi la moneta del tributo". Ed essi gli presentarono un denaro. 20 Egli domandò loro: "Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?". 21 Gli risposero: "Di Cesare". Allora disse loro: "Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio". 22 A queste parole rimasero meravigliati, lo lasciarono e se ne andarono.CommentoNei primi versetti vengono presentati i personaggi della scena che si apre e lo scopo della vicenda: "tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi". Al centro del racconto abbiamo Gesù, che viene coinvolto con una domanda sul problema della liceità di pagare o no il tributo a Cesare. La domanda è subdola e Gesù smaschera subito l'intenzione dei suoi interlocutori: "ipocriti, perché mi tentate?". Infatti la questione posta vuole coinvolgere Gesù in uno schieramento politico o a favore o contro il potere di occupazione romano. Per i giudei pagare il tributo a Cesare era segno di sottomissione ad un potere straniero e nello stesso tempo era considerato una forma di idolatria, perché l'imperatore romano attribuiva a sé anche un culto esterno. Questo non poteva essere esercitato dagli ebrei, che dovevano adorare solo Dio e soltanto a lui rendere culto. Gesù risolve il problema chiedendo di vedere la moneta del tributo. Poiché essa portava l'immagine e l'iscrizione di Cesare, egli sentenzia dicendo: "rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio". Così Gesù non si schiera da alcuna parte. Egli introduce il principio che la correttezza nel pagare le tasse può coesistere con la scelta religiosa di fedeltà a Dio. Il brano si chiude col v. 22, non riportato dal testo liturgico, dove si dice che gli interlocutori di Gesù rimangono meravigliati delle sue parole e tutti se ne vanno.
È un falso problema ritenere inconciliabili la scelta di seguire Dio e l'impegno nelle realtà terrene! Il credente è invitato ad essere consapevole che Dio non s'identifica in esse ed è infinitamente superiore. Nello stesso tempo Gesù invita i suoi a svolgere con responsabilità i propri compiti nel "mondo", e chiede anche con decisione di qualificare notevolmente la loro relazione con Dio Padre.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTURELa scelta decisiva, di essere fedeli a Dio da parte dei credenti, collega le letture di questa domenica. Nel testo di Isaia il profeta, a nome di Dio, presenta il ruolo di Ciro, re dei persiani, nel rientro dei deportati e nella ricostruzione di Gerusalemme: "io l'ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni... e nessun portone rimarrà chiuso". Dio si serve di Ciro per realizzare il bene del suo popolo. Infatti egli dichiara: "Io sono il Signore e non v'è alcun altro; fuori di me non c'è dio". Chi si fida di questo Dio e lo colloca all'apice dei suoi obiettivi non resta deluso: "Io sono il Signore e non v'è alcun altro". Non è il tributo pagato a Cesare che ha la capacità di incrinare il rapporto profondo che gli individui hanno creato col loro Dio, dice Gesù nel testo di Matteo. Dio non entra in concorrenza col potere di Cesare, in quanto si colloca su di un piano superiore. Gesù chiede ai sui discepoli di schierarsi dalla parte di Dio Padre e di relativizzare poi tutte le realtà terrene. Per questo allora con Paolo anche noi dobbiamo "ringraziare sempre Dio", per i doni avuti, per l'impegno nella fede e per aver ricevuto "la costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo".
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Goito 15 ottobre 2023 – XXVIII Domenica del Tempo Ordinario A
Tutti chiamati alla comunione con DioIsaia 25, 6-10a . Salmo 22 . Filippesi 4, 12-14.19-20 . Matteo 22, 1-14
Lettura
Continua il confronto polemico tra Gesù ed i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo. Con loro Gesù cerca di comunicare con la parabola. La parabola è un racconto inventato, tratto dall'esperienza comune delle persone, che ha la possibilità, per chi comprende, di fa conoscere qualcosa di importante o di Gesù o del Regno di Dio. Analizziamo il racconto odierno.
Mt 22, 1-141 Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: 2 "Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3 Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4 Mandò di nuovo altri servi con quest'ordine: "Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!". 5 Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6 altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7 Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8 Poi disse ai suoi servi: "La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9 andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze". 10 Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 11 Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l'abito nuziale. 12 Gli disse: "Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?". Quello ammutolì. 13 Allora il re ordinò ai servi: "Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti". 14 Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti".CommentoDopo il versetto introduttivo abbiamo la parabola, che si divide in due parti. La prima contiene l'identificazione del regno dei cieli come "un re che fece una festa di nozze per suo figlio", un duplice invio di servi "a chiamare gli invitati alle nozze" e il persistente rifiuto degli invitati a partecipare al banchetto preparato dal re. La scena si chiude con la reazione del re e la punizione degli invitati, i quali arrivano addirittura ad uccidere i servi a loro mandati. La seconda parte si apre con un nuovo invio dei servi a radunare dalle piazze e dalle strade nuovi invitati al banchetto di nozze. I servi eseguono il comando del re e "la sala delle nozze si riempì di commensali", secondo il progetto originario. Infine è narrata l'ispezione compiuta dal re nella sala, dove erano raccolti i commensali. Colpisce a questo punto la condanna inflitta all'invitato che non indossa l'abito bianco. La scena è simbolica, anche se si radica in una tradizione ebraica. Si vuole così sottolineare che al banchetto preparato dal re non si può partecipare con superficialità, senza preparazione e adeguate attrezzature. Molto probabilmente la veste allude alla coerenza tra fede e vita, richiesta per partecipare alla comunità dei credenti e al banchetto definitivo preparato dal Signore. Chi non indossa tale veste riceve la condanna eterna: "legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti". Una sentenza chiude il brano: "perché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti". Dio chiama tutti al suo banchetto; dipende poi dai singoli aderire pienamente all'elezione.
Dio chiama incessantemente le persone a partecipare alla comunione e all'amicizia con lui. Egli usa strategie impensabili per creare tale relazione. Purtroppo l'uomo sovente disattende l'opera di Dio perché travolto dalle cose e dalle vicende, perché incapace di coniugare assieme fede e vita, perché lento e superficiale nella risposta.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREIl banchetto preparato dal Signore e l'insistenza con cui chiama tutti a parteciparvi connota particolarmente la Liturgia della Parola di oggi. Nella prima lettura, dopo l'esilio, i credenti rinnovano la loro fede in Dio e dicono: "Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse". Ritornati in patria, immaginano la convocazione operata da Dio sul monte Sion come "un banchetto di grasse vivande, ... un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati". A questo appuntamento egli attende tutti i popoli per incontrarsi con loro. Anche nel vangelo, oltre al banchetto preparato emerge l'insistenza con cui il re manda i servi per riempire la sala da pranzo. La lettera di Paolo potrebbe indicare l'atteggiamento che il credente dovrebbe assumere nei confronti delle realtà materiali, dopo aver fatto esperienza di comunione con Dio per mezzo di Gesù Cristo. Egli infatti colma ogni "bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza in Cristo Gesù". Chi ha partecipato al banchetto preparato da Dio e ad esso aderisce continuamente, non si lascia più condizionare dalla povertà o dalla ricchezza ed è "iniziato a tutto, in ogni maniera: alla sazietà e alla fame, all'abbondanza e all'indigenza".
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Goito 8 ottobre 2023 – XXVII Domenica del Tempo Ordinario
L'amore produce frutti di salvezzaIsaia 5, 1-7 . Salmo 79 . Filippesi 4, 6-9 . Matteo 21, 33-43
Lettura
Continua la lettura del capitolo ventunesimo di san Matteo. Gesù è entrato solennemente a Gerusalemme ed ora si trova nel tempio dove, nei cortili antistanti il santuario, il confronto polemico con i capi si fa sempre più vivo.
Mt 21,33-4333Ascoltate un'altra parabola: c'era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: "Avranno rispetto per mio figlio!". 38Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: "Costui è l'erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!". 39 Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?". 41Gli risposero: "Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo".42 E Gesù disse loro: "Non avete mai letto nelle Scritture:La pietra che i costruttori hanno scartatoè diventata la pietra d'angolo;questo è stato fatto dal Signoreed è una meraviglia ai nostri occhi?43Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.CommentoDopo la parabola letta domenica scorsa, troviamo l'invito rivolto da Gesù ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo perché ascoltino un'altra parabola. Il testo si articola in due parti: il racconto parabolico dei vignaioli ribelli e omicidi (21, 33b-39) e la sua applicazione mediante un dialogo tra Gesù ed i suoi interlocutori (21, 40-43). Il testo liturgico lascia cadere i versetti 44-46 che presentano una sentenza di Gesù e la reazione dei capi e dei farisei, i quali capiscono che Gesù si riferisce a loro. La parabola si apre presentando un padrone che con somma cura pianta una vigna in un podere, attrezzandola di tutte le strutture necessarie, e poi l'affida in affitto a dei vignaioli perché la coltivino con impegno e raccolgano di conseguenza frutti abbondanti. Segue l'altra parte della parabola tutta dedicata alle iniziative intraprese dal padrone per avere dai vignaioli i frutti della vigna. Dapprima manda i servi "da quei vignaioli a ritirare il raccolto", ma questi vengono uccisi. Poi invia altri servi che subiscono la stessa sorte dei primi. Infine manda il figlio, perché risolva definitivamente la questione, ma il dramma si acutizza. I vignaioli, vedendo a portata di mano la possibilità di impossessarsi dell'eredità, prendono il figlio, "lo cacciano fuori della vigna e lo uccisero". Con la domanda: "quando dunque verrà il padrone della vigna che cosa farà a quei contadini?", Gesù inizia ad applicare la parabola ai suoi ascoltatori. Infatti la risposta data dagli ascoltatori diventa una sentenza che ricade su loro stessi. Le parole di Gesù poi riprendono il tema della risposta data e lo definiscono: "perciò io vi dico: a voi vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un altro popolo che ne produca frutti". Nel versetto precedente Gesù ha indicato anche quale deve essere l'innesto sicuro per portare frutti: "la pietra che i costruttori hanno scarta è diventata la pietra d'angolo".
Attraverso Gesù Cristo, la pietra angolare, Dio Padre cura i rapporti col suo popolo. Questo, di conseguenza, deve dare frutti come segno di comunicazione efficace col suo Dio. I frutti da produrre si collocano nell'ambito della salvezza che viene dal Signore e che si realizza nel seguire fedelmente i suoi insegnamenti. L'amore a Dio Padre e alla sua volontà, per mezzo di Gesù Cristo, garantisce una messe abbondante di frutti di salvezza.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREL'immagine della vigna ritorna nelle letture di questa domenica. Essa diventa immagine del popolo eletto e rimanda al rapporto di salvezza e all'alleanza che Dio ha realizzato col suo popolo. Nella prima lettura abbiamo il noto "canto della vigna" di Isaia. L'autore si presenta amico dello sposo che canta per lui "un cantico d'amore per la sua vigna". Il canto di Isaia si articola in tre momenti. Dapprima si presentano le cure particolareggiate riservate dal viticoltore alla sua vigna e la delusione finale per i frutti non avuti: "egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica". Poi c'è la decisione di abbandonare la vigna sterile perché diventi pascolo per gli animali: "toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo". Infine il profeta applica tutto il discorso precedente alla casa d'Israele: "la vigna del Signore degli eserciti è la casa d'Israele; gli abitanti di Giuda la sua piantagione preferita". Dal suo popolo Dio "si aspettava giustizia, ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudini ed ecco grida di oppressi". Anche il brano evangelico, partendo dalla parabola della vigna, focalizza il discorso sui suoi frutti, che il padrone vuole raccogliere. La seconda lettura si collega con le altre in quanto indica atteggiamenti e scelte pratiche che permettono di essere vigna del Signore e di portare frutti per il Signore, seguendo l'esempio di Paolo.
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Goito 1 ottobre 2023 – XXVI Domenica del Tempo Ordinario - A
Nella volontà del Padre si è figli e fratelliEzechiele 18, 25-28 . Salmo 24 . Filippesi 2, 1-11 . Matteo 21, 28-32
Lettura
Il capitolo ventunesimo di san Matteo ci presenta Gesù a Gerusalemme. Dopo aver lasciato Gerico giunge a Betfage. Da qui inizia l'ingresso messianico nella città santa, cavalcando un'asina, mentre la gente lo acclama e stende mantelli sulla strada. Entrato nel tempio, scaccia coloro che vendono e comprano, perché la sua casa è di preghiera e non un covo di ladri. È proprio qui che si acutizza il contrasto con i capi dei sacerdoti ed i notabili del tempio. Questo è il contesto immediato del brano odierno.
Mt 21, 28-3228"Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: "Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna". 29Ed egli rispose: "Non ne ho voglia". Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: "Sì, signore". Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?". Risposero: "Il primo". E Gesù disse loro: "In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.CommentoIl brano si apre con la parabola dei due figli, incorniciata da due domande rivolte agli ascoltatori. "Che ve ne pare?" dice Gesù, chiedendo così un parere esplicito ai suoi interlocutori. Egli presenta poi il caso di un padre con due figli. Al primo figlio comanda di andare a lavorare nella vigna di famiglia e subito egli reagisce dichiarando di non voler andare perché non ha voglia. Poi ritorna sulla sua decisione, si pente della risposta data e va al lavoro nella vigna. Il secondo davanti alla proposta del padre sembra aderire con entusiasmo all'invito e dice: "si, Signore". Ma il racconto prosegue annotando che invece non andò. La seconda domanda chiude la parabola di Gesù: "chi dei due ha compiuto la volontà del padre?". La risposta corale degli uditori di ieri e di oggi è a favore del primo figlio e "tutti dicono il primo". Questa risposta non è soltanto un'affermazione verbale, ma nell'intenzione di Gesù, coinvolge esistenzialmente tutti i suoi ascoltatori e diventa giudizio per la vita di ciascuno. Infatti le parole di Gesù che seguono diventano estremamente chiarificatrici. I pubblicani (cioè gli imbroglioni ed i ladri istituzionalizzati) e le prostitute, che sembrano aver detto di no al regno di Dio e alle sue regole, di fatto precedono in esso i notabili del tempio ed i capi dei sacerdoti, perché queste categorie di persone rispecchiano i due atteggiamenti dei due figli presentati dalla parabola. La prova concreta di quanto Gesù sta affermando è data dall'atteggiamento che le persone hanno avuto nei confronti di Giovanni il battista. Egli, il profeta del deserto, ha invitato alla conversione, ma nessuno lo ha preso sul serio se non i pubblicani e le prostitute. La stessa cosa capita anche a Gesù che è accolto, seguito e amato da coloro che erano messi al bando nella società del tempo. La conclusione del brano è molto realistica e segnata da un velo di amarezza: "voi (che siete i prediletti) pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti così da credergli".
Non sono le strutture religiose e nemmeno i comportamenti esteriori e formali che salvano, ma la logica del Padre celeste insegnata da Gesù. Egli infatti invita i suoi a non accontentarsi di una fede verbale e teorica. I veri discepoli, quelli che costituiscono la nuova comunità dei figli e dei fratelli, sono quelli che fanno la volontà del Padre che è nei cieli.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREIl tema della volontà di Dio Padre collega la liturgia della Parola di questa domenica. È la volontà del Padre, rivelata da Gesù e accolta nella vita di ciascuno, che rende figli fedeli. Non contano le strutture e nemmeno i comportamenti esteriori. Dio guarda soprattutto la fedeltà di ciascuno agli insegnamenti da lui lasciati. In questa prospettiva va letta la prima lettura. Non è la condotta di Dio che va messa in discussione, ma quella degli uomini. "Se il giusto si allontana dalla giustizia (dalla salvezza portata da Dio) ... egli muore appunto per l'iniquità che ha commesso". Per questo è necessario vigilare per non allontanarsi dalla fonte della giustizia, per evitare le colpe e così vivere in Dio. La lettera ai Filippesi di san Paolo indica il criterio di fondo per fare sempre la volontà di Dio Padre: "abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù". Solo così si può essere obbedienti al Padre, non si fa nulla per spirito di vanagloria, si considerano gli altri superiori a se stesso, non si cerca il proprio interessa ma quello degli altri.
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 24 settembre 2023 – XXV Domenica del Tempo Ordinario A
Gli ultimi saranno primiIsaia 55, 6-9 . Salmo 144 . Filippesi 1, 20c-27 . Matteo 20, 1-16
Lettura
Dopo il discorso sulla vita interna della comunità, san Matteo inserisce diversi brani sul vero discepolo. Costui, per essere veramente tale, come un bambino è chiamato a rifiutare qualsiasi accomodamento o compromesso e ad essere coerente fino in fondo. Non è possibile vantarsi di aver sempre osservato i comandamenti e poi essere attaccati alle proprie ricchezze, da non saperci rinunciare per amore di Gesù Cristo.
Mt 20, 1-16In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: "Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò". Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: "Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?". Gli risposero: "Perché nessuno ci ha presi a giornata". Ed egli disse loro: "Andate anche voi nella vigna".Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: "Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi". Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: "Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo".Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: "Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?". Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».CommentoIl racconto parabolico di questa domenica si struttura in due momenti successivi: Il padrone della vigna assume operai (20, 1-7) e la paga data ad essi dall'amministratore con una discussione chiarificatrice (20, 8-15). La vicenda si sviluppa attorno ad un viticoltore che per l'intera giornata assume operai a lavorare nella sua vigna. La simbologia della vigna ritorna frequentemente nella tradizione ebraica per denunciare la storia delle infedeltà di Israele, la vite-vigna, che ha tradito gli impegni di fedeltà all'alleanza col suo Dio. Colpisce nel racconto il fatto che tutti sono chiamati a lavorare nella vigna, anche quelli incontrati all'ultima ora e che nessuno aveva preso a giornata. La seconda parte della parabola tratta della paga consegnata agli operai. Soltanto con i primi il padrone ha stipulato un contratto chiaro e preciso (un denaro è la paga giornaliera di un operaio e corrispondeva a 50 euro odierni), agli altri invece promette di dare a tutti il giusto. Sorprende notevolmente il comportamento del fattore che, eseguendo le indicazioni ricevute dal padrone, consegna a tutti gli operai un denaro come ricompensa della giornata. È sicuramente grande la gioia e lo stupore degli ultimi arrivati per la retribuzione ricevuta, mentre i primi, che hanno lavorato tutto il giorno, restano profondamente delusi. Essi, che si aspettano molto di più, in base a quanto dato agli ultimi e in rapporto alle loro ore di lavoro, mormorano contro il padrone. La risposta del padrone risolve la questione. Egli, con i primi assunti, ha rispettato il patto stipulato e con gli altri ha usato del suo denaro per compiere un gesto di magnanimità e di generosità. Dal racconto emerge con chiarezza un modo diverso di intendere la giustizia da parte degli uomini e da parte di Dio. La sentenza finale chiude il racconto e collega agli ascoltatori la parabola: "gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi".
È facile per tutti, nella comunità cristiana, pensare di avere dei diritti o dei privilegi, perché da tempo si cerca di seguire il Signore. A noi piace anche creare graduatorie e gruppi di merito proprio nella stessa comunità. Gesù insegna invece uno stile diverso di comportamento, che nasce da Dio stesso e che ha nell'amore gratuito e generoso, che dona e fa credito anche a chi non ha diritti, il suo principio ispiratore. Gli ultimi arrivati possono prendere il posto dei primi; quelli considerati ultimi, i piccoli tra i fratelli, nella prospettiva di Dio saranno i primi.
La vita(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 17 settembre 2023 – XXIV Domenica del Tempo Ordinario A
Perdonare col cuore del PadreSiracide 27, 33-28,9 . Salmo 102 . Romani 14, 7-9 . Matteo 18, 21-35
Lettura
La liturgia propone oggi un altro passo del capitolo diciottesimo del vangelo di san Matteo. Dopo aver presentato chi è il più grande nella comunità, la correzione fraterna e la preghiera in comune, ora Gesù affronta la questione del perdono.
Mt 18, 21-35
21Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: "Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?". 22E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. 23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa". 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. 28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: "Restituisci quello che devi!". 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò". 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. 31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: "Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?". 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello".CommentoIl brano si apre con un quesito posto da Pietro: Signore quante volte dovrò perdonare a mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?. Egli pensa, probabilmente, di ricevere l'approvazione di Gesù per le parole dette in quanto, ponendo il limite del perdono a sette volte, indica una misura che supera grandemente quella prevista dalla prassi raccomandata dai rabbini. Costoro invitano, infatti, a dare il perdono per tre volte. La risposta di Gesù si pone completamente su di un altro livello e dice: "non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette". Egli insegna così a perdonare sempre, secondo lo stile di Dio. Il lungo racconto parabolico che segue allarga la risposta data a Pietro e serve ad illustrare meglio la prospettiva del perdono insegnata da Gesù. La parabola inizia con una frase d'apertura che presenta la ragione da cui si sviluppa poi tutta la vicenda: "un re che volle fare i conti con i suoi servi". La scena si sviluppa in tre momenti. Dapprima si ha la presentazione del padrone che incontra il primo servo (18, 24-27). Costui, che gli è debitore di "diecimila talenti" (un talento corrispondeva circa a 300.000 euro), dopo aver supplicato il padrone, ottiene il condono del debito. Poi è descritto l'incontro del servo condonato con un suo collega che gli deve "cento denari" (18, 28-30) (un denaro corrispondeva circa a 50 euro). Anche costui implora il collega per ottenere comprensione e per poter rimandare la scadenza fissata per pagare il debito. Egli però non viene esaudito. È arrestato e messo in carcere fino a quando non ha pagato il debito. L'ultimo momento (18, 31-34) presenta il padrone che, informato dagli altri servi sull'accaduto, chiama l'uomo a cui aveva condonato il debito. Rimprovera severamente il servo perché non ha avuto pietà del collega, ritira il condono concesso e lo condanna alla stessa sorte da lui inflitta al suo collega. La conclusione (18, 35) si collega alla domanda di Pietro e suggella l'insegnamento dato da Gesù: "Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore ciascuno al proprio fratello".
Il perdono è un'altra caratteristica che qualifica la vita della comunità cristiana. Gesù infatti insegna ai suoi il perdono fraterno senza misura. Il perdono tra i cristiani nasce dal perdono gratuito ed insperato ricevuto da Dio Padre e fattoci conoscere da Gesù Cristo. Occorre vigilare perché nel giudizio ultimo la prassi della misericordia, esercitata nella forma del perdono fraterno, occuperà un posto decisivo.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREIl tema che collega le letture odierne è il perdono di Dio, fonte e criterio del perdono tra gli esseri umani. Nella prima lettura, il testo del Siracide vuole inculcare nei giovani la fedeltà alla religione dei padri e l'arte di vivere bene. Per questo inizia presentando il tema: "Il rancore e l'ira sono un abominio, il peccatore li possiede". È il peccatore o lo stolto colui che cede sotto l'impulso dell'ira e del rancore, che portano poi alla vendetta. Inoltre il peccatore, che si vendica dei torti ricevuti non può chiedere ed ottenere il perdono dei suoi peccati davanti a Dio. Anche la preghiera e la guarigione sono esperienze significative davanti a Dio per il credente se sono supportate dalla misericordia e dal perdono verso i suoi simili. Il passo del vangelo riporta le parole di Gesù, che rivela il perdono del Padre. Infatti egli, in obbedienza al Padre, insegna ai sui amici a perdonare sempre, perché il Padre si comporta così. Paolo nella Lettera ai Romani presenta la motivazione del perdono: "nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso... sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore". Per questo allora nella comunità nessuno può considerarsi padrone di un altro, erigendosi a giudice del suo modo di vivere e agire.
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 10 settembre 2024 – XXIII Domenica del Tempo Ordinario A
Chiesa riconciliata e oranteEzechiele 33,7-9 . Salmo 94 . Romani 13,8-10 . Matteo 18,15-20
Lettura
Il capitolo diciottesimo contiene le regole date da Gesù per la vita interna della comunità. Egli affronta alcune questioni nodali: chi sono "i più grandi" nella comunità, quale comportamento si deve avere nei confronti dei piccoli di età e di stato sociale, come vivere la pratica del perdono. Il nostro testo è costituito da una serie di sentenze sulla riconciliazione fraterna; esso segue immediatamente la parabola del pastore che cerca la pecora smarrita.
Mt 18, 15-2015Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. 18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d'accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro.CommentoIl brano si divide in due parti. In 18,15-17 abbiamo una regola disciplinare, seguita dalle sue motivazioni teologiche presentate in 18,18-20. La regola di comportamento nei confronti del fratello che pecca prevede tre istanze successive e progressive. Dapprima la questione va risolta a livello personale: "va e ammoniscilo fra te e lui solo". Se il primo intervento non produce affetti di riconciliazione, è necessario avvicinare chi pecca con "una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni". Infine, se la persona persevera nel suo errore, sia coinvolta tutta la comunità la quale deve mettere in atto tutte le strategie necessarie per recuperare il fratello peccatore. Se ciò non si realizza, il componente della comunità, che da essa si è separato col peccato, è da considerarsi non escluso o emarginato, ma ancora come un pagano, il quale ha bisogno di intraprendere nuovamente un cammino di conversione. Per quale peccato è necessario attuare questa procedura? È difficile identificare concretamente la tipologia di peccato in questione. Dal contesto del capitolo si può però sicuramente ricavare che si tratta di un comportamento a danno della comunità o di un suo componente. Chi è chiamato a mettere in atto questa procedura nei confronti del peccatore? Ogni discepolo è invitato da Gesù a svolgere con autorità nella comunità questo ministero di riconciliazione, sull'esempio del Padre celeste che ricerca e recupera tutti i fratelli persi. Egli deve servirsi del dialogo fraterno per ricostruire i rapporti con i fratelli separatisi dalla comunità col peccato. Infine nella comunità alcuni fratelli, tramite un ministero specifico ad essi conferito, hanno il compito di riconoscere la conversione avvenuta e di riammettere il peccatore a pieno titolo nella comunità. Il v. 19 può essere letto allora in due modi. Prima di tutto al Padre va chiesto continuamente e soprattutto l'accordo fraterno nella comunità. Tale richiesta è sicuramente concessa dal Padre. Occorre poi chiedere di vigilare perché al Padre non può essere innalzata una preghiera significativa ed efficace se non si è uniti e se persistono fratture nella fraternità. La ragione profonda dell'unità nella comunità è data dall'ultimo versetto. I fratelli riuniti nel nome del Signore Gesù costituiscono la Chiesa, luogo dove Cristo è presente e si realizza l'incontro salvifico col Padre: "dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro".
La comunità radunata insieme è il luogo dove è presente il Signore e dove lo si incontra risorto. Non è comunità autentica se in essa vi sono persone compromesse col peccato, cioè che si sono allontanate dalla volontà del Padre o che hanno rotto i rapporti fraterni di amore reciproco. Per questo ognuno è chiamato a vigilare per non cadere nel peccato e ad attivarsi per ricondurre a riconciliazione chi si è allontanato dal progetto di Dio rivelatoci da Gesù Cristo.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREI temi della presenza del Signore nella sua comunità e della responsabilità dei discepoli nel portare a conversione chi sbaglia intersecano le letture odierne. Nella prima lettura il profeta Ezechiele é posto in mezzo al popolo di Dio per trasmettere la sua parola e per essere "sentinella per gli israeliti". La sentinella deve prestare attenzione a quanto gli dice il Signore e nello stesso tempo deve vigilare sulla comunità degli israeliti perché non si allontanino dal loro Dio, che vive con loro. Questo compito Gesù lo affida nel vangelo ad ogni discepolo. Tutti i cristiani sono invitati ad attivarsi, perché chi ha sbagliato possa ritornare nella comunità oppure ricostruire la comunione con essa. Solo così la preghiera dell'assemblea, radunata nel nome del Signore, avrà significato ed efficacia. Nella lettera ai Romani Paolo traccia in sintesi quale deve essere la scelta e l'atteggiamento di fondo che impediscono di cadere nel peccato e quindi nella separazione dalla comunità: "Amerai il prossimo tuo come te stesso. L'amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l'amore".
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 3 settembre 2023 – XXIII Domenica del Tempo Ordinario
Discepoli di Cristo morto e risorto
Geremia 20, 7-9 Salmo 62 Romani 12, 1-2 Matteo 16, 21-27
Lettura
Continua il dialogo tra Gesù ed i discepoli. Tra questi emerge la figura di Pietro come loro rappresentante e portavoce, come abbiamo visto domenica scorsa. Nel brano odierno si intensifica la rivelazione di Gesù ai discepoli e troviamo anche reazioni impensate da parte loro.
Mt 16, 21-2721Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. 22Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: "Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai". 23Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: "Va' dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!".24Allora Gesù disse ai suoi discepoli: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 27Perché il Figlio dell'uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni.CommentoGesù comunica ai discepoli il suo destino di sofferenza e di morte che lo attende a Gerusalemme ad opera dei notabili, degli alti funzionari del tempio e degli scribi. Egli annuncia anche che, dopo la morte, risorgerà "il terzo giorno". Abbiamo poi la reazione immediata e profondamente umana di Pietro alle parole di Gesù. Egli, che aveva intravisto in Gesù l'opera potente dell'Inviato di Dio, non può accettare che tutto finisca in una bolla di sapone, per questo, dopo aver protestato con rimproveri dice: "Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai". Alla reazione unilaterale di Pietro, che non tiene conto dell'annuncio della resurrezione, fa seguito la risposta dura e severa di Gesù. Pietro, che poco prima è stato definito da Gesù "roccia" e fondamento della comunità, ora è respinto come pietra d'inciampo ("tu mi sei di scandalo"); lui che prima è stato beatificato da Gesù ora è considerato "satana" e avversario. Per questo non può dare alcun consiglio al maestro. La ragione della "caduta" di Pietro è indicata dallo stesso Gesù: "non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini". Col suo intervento Pietro si mostra estraneo ed ostile al progetto di Dio e alla sua volontà, che Gesù vuole realizzare. Infine abbiamo l'istruzione di Gesù ai discepoli sulla sequela. Costoro, se vogliono seguire il maestro, devono essere disposti a percorrere la sua stessa strada, che si caratterizza nel rinnegare sé stessi, nel prendere la croce e nel perdere la vita. "Rinnegare sé stessi" significa essere disposti a rinunciare ad una certa identità personale o sociale che gratifichi e permetta di "contare". "Prendere la croce" vuol dire essere disposti ad identificarsi col condannato alla morte più infame e degradante, riservata alle persone più pericolose. "Perdere la vita" significa mettere in conto, nella propria esistenza, anche la possibilità concreta della morte violenta. Tutto questo va accolto e vissuto per Gesù e per il vangelo. È la venuta gloriosa del Figlio dell'uomo che renderà giustizia ai discepoli e darà "a ciascuno secondo le sue azioni".
I discepoli non riescono a capire il destino doloroso e fallimentare del loro maestro. Essi infatti hanno sempre nostalgie trionfalistiche e di potenza temporale. La questione si complica ulteriormente quando Gesù coinvolge, in tutti gli aspetti della sua vita, anche i discepoli, che sono pure chiamati a portare la croce. Il discorso sfocia in una soluzione positiva se si cerca di affrontare l'esperienza del discepolato non alla maniera umana, come ha fatto Pietro, ma affidandosi alla volontà del Padre, rivelata da Gesù. Il discepolo, perseverante nelle prove che gli capitano nel cammino della vita, vive la solidarietà effettiva col maestro crocefisso ed attende con speranza la venuta "del Figlio dell'uomo nella gloria del Padre", per accedere con lui alla gloria eterna della resurrezione.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTURELa difficoltà di coniugare la chiamata di Dio e le realtà umane, in cui essa deve realizzarsi, sembra unificare le letture di questa domenica. La prima lettura, presa dalle "confessioni" di Geremia, presenta da un lato il rapporto appassionato e coinvolgente vissuto dal profeta col suo Dio ("mia hai sedotto, Signore, ed io mi sono lasciato sedurre") e dall'altro le difficoltà che tale esperienza genera nei confronti degli altri e di se stessi: "ognuno si fa beffe di me" e "non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome!". Ma l'esperienza vissuta con Dio non può essere dimenticata o abbandonata: "ma nel mio cuore c'era come un fuoco ardente...; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo". Anche il vangelo rivela la difficoltà dei discepoli di essere solidali col maestro nella sua esperienza della croce. Eppure "portare la croce" è la sintesi delle condizioni necessarie per seguire Gesù. La seconda lettura contiene alcune indicazioni per consolidare e mantenere stabile il rapporto con Dio: "non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente per poter discernere la volontà di Dio...". Paolo afferma anche che nella liturgia, celebrata dai credenti, si supera la distanza e l'apparente inconciliabilità che esiste tra il mistero di Dio ed il mistero dell'uomo.
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 27 agosto 2023 – XXI Domenica del Tempo Ordinario A
Nel volere del Padre la gioia del servizioIsaia 22, 19-23 . Salmo 137 . Romani 11, 33-36 . Matteo 16, 13-20
Lettura
Tra il discorso delle parabole, al capitolo tredicesimo, e quello successivo al capitolo diciottesimo, l'evangelista san Matteo ha raccolto una serie di episodi di conflitto e di rivelazione. Famosi sono il rifiuto degli abitanti di Nazaret, che non vogliono ascoltare Gesù, e le situazioni in cui egli prende un atteggiamento polemico nei confronti degli esponenti più significativi della religione giudaica, che fanno di essa un legalismo rituale più che un rapporto personale con Dio. Alcuni episodi attraverso i quali Gesù si fa conoscere sono la moltiplicazione dei pani, i miracoli di guarigione e la trasfigurazione. Nei quattro capitoli si delinea progressivamente il gruppo dei discepoli, tra i quali emerge sempre più la figura di Pietro. In questo contesto si colloca il brano odierno.
Mt 16, 13-2013Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: "La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?". 14Risposero: "Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti". 15Disse loro: "Ma voi, chi dite che io sia?". 16Rispose Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". 17E Gesù gli disse: "Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli". 20Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.CommentoIl testo inizia con una nota di cornice che dà l'ambientazione geografica e presenta gli interlocutori: Gesù ed i discepoli a Cesarea di Filippo oggi Banias al nord della Galilea. Poi abbiamo la prima parte (Mt 16,13b-16) costituita dal dialogo tra Gesù ed i discepoli, stimolato da due sue domande. Alla prima ("la gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?") i discepoli rispondono coralmente, riportando i pareri popolari su Gesù: "alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti". Alla seconda domanda, rivolta a loro ("voi chi dite che io sia?") risponde a nome di tutti Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". Nella seconda parte del brano si incontrano le parole di Gesù rivolte a Pietro (Mt 16, 17-19). Dapprima Gesù proclama beato Pietro perché, attraverso la professione di fede espressa poco prima, manifesta di essere entrato nel rapporto privilegiato col Padre, che Gesù è venuto a realizzare per tutti i suoi discepoli. Poi Gesù delinea la missione futura di Pietro: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa...". Egli non solo è il primo ed il modello del discepolo, è anche il fondamento, la roccia sicura su cui nasce e si costruisce il nuovo popolo di Dio. Di esso fanno parte tutti coloro che, come Pietro, riconoscono Gesù come "Cristo, il Figlio del Dio vivente", che opera attivamente nella storia per la salvezza di tutti. Infine Gesù dà l'investitura solenne a Pietro: "a te darò le chiavi del regno dei cieli...". Il potere delle chiavi affidato a Pietro consiste nell'accogliere e vivere la volontà del Padre, rivelata da Gesù, affinché tutti gli uomini la possano conoscere e vivere a loro volta. L'ordine finale, dato da Gesù i discepoli, che chiude il brano, può sembrare in contrapposizione con quanto espresso fino a questo punto. Egli, infatti, invita i suoi a non dir nulla per ora. Soltanto dopo la sua Pasqua i discepoli riceveranno l'attrezzatura necessaria per realizzare quanto è avvenuto profeticamente a Cesarea di Filippo.
Si partecipa al regno dei cieli nella misura in cui si accoglie Cristo e la volontà del Padre, che lui è venuto a far conoscere. Non esistono altre possibilità, scorciatoie o raccomandazioni particolari. Chi si inoltra in questa "divina avventura" deve essere consapevole che per mezzo suo altri saranno chiamati a seguire Cristo e a conoscere la volontà del Padre. I frutti ci saranno se ciascuno sarà ben radicato nella comunità di Gesù Cristo, pur con tutti i limiti che essa può manifestare, perché solo lì c'è la certezza dell'opera potente di Cristo risorto.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTURELa liturgia della Parola di questa domenica inizia col testo di Isaia che, a nome di Dio, annuncia l'investitura di Eliakìm, al posto di Sebna, alla carica di sovrintendente del palazzo regale nel regno di Giuda, al tempo del re Ezechia. L'investitura di Eliakìm nel nuovo compito prevede nell'abbigliamento non solo la tunica e la sciarpa, che gli cinge la vita, ma anche che sulla spalla gli sia posta la chiave della casa di Davide. Questo segno gli conferisce l'autorità di aprire e chiudere, nella prospettiva della paternità, il rapporto con Dio per gli abitanti di Gerusalemme. Anche nel vangelo troviamo Gesù che con stile profetico annuncia a Pietro il suo nuovo compito nella chiesa e promette di dargli le chiavi del regno dei cieli. Queste diventano segno del sevizio scaturito dalla volontà del Padre, accolta e vissuta dal discepolo. La lettera ai Romani sottolinea il "mistero" cioè il segreto del progetto salvifico di Dio. Da un lato Dio è fedele alle sue promesse e dall'altro si assiste alle continue infedeltà dell'uomo. Per cui veramente occorre concludere dicendo: "O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!".
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 20 agosto 2023 – XX Domenica del Tempo Ordinario A
La fede ottiene tuttoIsaia 56,1. 6 – 7 . Salmo 66 . Romani 11,13 – 15. 29 – 32 . Matteo 15, 21 – 28
Lettura
Gesù, arrivato a Genesaret, è circondato da persone che desiderano essere sanate da lui. In questa località, partendo da una contestazione che gli viene fatta dagli scribi e dai farisei sul comportamento dei discepoli (costoro avrebbero trascurato la tradizione degli antichi), Gesù istruisce la folla su ciò che è puro e ciò che non lo è. Il cuore dell'uomo è la sede della volontà, delle decisioni e degli affetti, che rende pura o impura un'azione. Qui si inserisce il brano odierno che presenta il Regno sei cieli che si diffonde.
Mt 15, 21-2821Partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidone. 22Ed ecco, una donna cananea, che veniva da quella regione, si mise a gridare: "Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio". 23Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: "Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!". 24Egli rispose: "Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d'Israele". 25Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: "Signore, aiutami!". 26Ed egli rispose: "Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini". 27"È vero, Signore - disse la donna -, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni". 28Allora Gesù le replicò: "Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri". E da quell'istante sua figlia fu guarita.CommentoL'episodio narrato avviene nella Fenicia, dove si trovano Tiro e Sidone (oggi Libano), territorio sicuramente abitato da non ebrei e quindi considerato pagano. Anche la donna che si avvicina a Gesù è pagana perché cananea. Ella invoca pietà da parte di Gesù e chiede il suo intervento nei confronti della figlia in grave difficoltà. Va sottolineato che la donna pagana riconosce subito Gesù come Signore e facente parte della stirpe davidica. Gesù dapprima non si lascia coinvolgere nel dialogo con la donna: "egli non le rivolse neppure una parola". L'atteggiamento di Gesù trova spiegazione nelle parole, da lui stesso pronunciate, dopo l'intervento dei discepoli, che gli chiedono di esaudire la domanda della donna. Gesù dichiara che la sua missione è primariamente rivolta "alle pecore perdute della casa d'Israele". Egli, Figlio di Davide, ha il compito di guarire e risanare il popolo d'Israele, perché ritorni a Dio. La donna insiste nel chiedere aiuto. Nasce così un breve colloquio tra Gesù e la cananea, che sottolinea la salvezza da lui portata. Il nuovo intervento di Gesù valorizza tale dimensione. La missione di Gesù è prima di tutto per Israele. La donna risponde riconoscendo il privilegio d'Israele e affermando la possibilità che anche altri (i cagnolini) possano partecipare al banchetto della salvezza, cibandosi soltanto "delle briciole che cadono dalla tavola". Gesù riconosce nelle parole della donna una grande fede, capace di ottenere tutto: "avvenga per te come desideri". Ella non solo riceve la guarigione della figlia, ma con lei si apre la missione di Gesù Cristo verso i pagani.
E' la fede che permette di partecipare alla salvezza portata da Gesù Cristo! Davanti a lui non conta più essere ebrei o pagani, ma è determinante la modalità credente attraverso la quale ci si accosta a lui. E' ancora la fede il criterio che determina l'esclusione o l'appartenenza al Regno.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREIl tema della salvezza, destinata a tutte le genti, percorre la liturgia della Parola di questa domenica.
Il profeta Isaia, nella prima lettura, anticipa l'universalità della salvezza. Anche gli stranieri, "che hanno aderito al Signore per servirlo... e per essere suoi servi", saranno partecipi della benedizione di Dio. Nel Vangelo, attraverso il colloquio di Gesù con la donna cananea la salvezza viene presentata come possibilità per tutti, anche per i pagani, a condizione che abbiano fede. Infine Paolo, scrivendo ai romani, li esorta ad essere testimoni coerenti, per diventare motivo di stimolo nei confronti degli ebrei, affinché qualcuno si possa salvare. L'apostolo poi sottolinea che la chiusura dei suoi consanguinei a Cristo e al vangelo ha portato la misericordia di Dio a tutti gli uomini. Forse gli ebrei torneranno all'obbedienza sollecitati dalla fede dei pagani diventati tutti discepoli di Cristo? Per ora conclude Paolo tutti siamo segnati dalla disobbedienza per fare esperienza della misericordia di Dio.
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- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 15 agosto 2023 – Assunzione della Beata Vergine Maria
Maria, primizia della Chiesa gloriosaApocalisse 11, 19a; 12, 1-6a. 10ab
Salmo 44
1 Corinzi 15, 20-26
Luca 1, 39-56
Lettura
L'evangelista s. Luca, dopo il prologo, nel primo capitolo del vangelo narra dapprima l'inizio dell'esistenza di Giovanni Battista e poi l'annuncio a Maria della nascita di Gesù. A coronamento del dittico precedente, troviamo il brano presentato dalla Solennità odierna, che si articola attorno alla figura delle due madri.
Lc 1, 39-56
39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo . Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo . 45E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto".46Allora Maria disse:"L'anima mia magnifica il Signore47e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,48perché ha guardato l'umiltà della sua serva.D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.49Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotentee Santo è il suo nome;50di generazione in generazione la sua misericordiaper quelli che lo temono.51Ha spiegato la potenza del suo braccio,ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;52ha rovesciato i potenti dai troni,ha innalzato gli umili;53ha ricolmato di beni gli affamati,ha rimandato i ricchi a mani vuote.54Ha soccorso Israele, suo servo,ricordandosi della sua misericordia,55come aveva detto ai nostri padri,per Abramo e la sua discendenza, per sempre".CommentoIl racconto inizia con una cornice introduttiva che riporta la notizia del viaggio di Maria verso la città di Giuda, del suo ingresso nella casa di Zaccaria e del saluto rivolto alla cugina Elisabetta. Col v.41 si apre la prima parte della pericope che è dominata dall'esperienza e dalle parole di Elisabetta. All'inizio si afferma che "il bambino sussultò nel suo grembo" dopo aver "udito il saluto di Maria". Poi il racconto continua rilevando il dono dello Spirito Santo concesso ad Elisabetta: "fu colmata di Spirito Santo". Infine ella, sotto ispirazione, comincia a parlare profeticamente: benedice Maria per la sua maternità ("Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo"), la manifesta madre del Signore, in virtù dell'esperienza vissuta nell'incontro con lei, proclama "beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto". Col v.46 inizia la seconda parte che vede in scena Maria, la quale canta a Dio il "Magnificat". Questo è un cantico tratto dalla preghiera tradizionale ebraica. Con genere letterario diverso, Maria riprende le parole di Elisabetta pronunciate poco prima, collocandole profondamente nel mistero di Dio suo Salvatore. Maria si fa interprete di tutti i poveri della terra e con riconoscenza canta le grandi opere compiute da Dio, suo Signore e salvatore. Dio manifesta le sue azioni grandi in chi è umile e semplice, donando a loro la sua misericordia. Il Signore è sempre fedele alle sue promesse: "Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre".
L'incontro delle due madri narrato da Luca, le quali a titolo diverso stanno vivendo un particolare rapporto col mistero di Dio, suggerisce alcune importanti indicazioni. Prima di tutto Maria trova nel dialogo con Elisabetta la conferma del progetto in cui il mistero di Dio l'aveva inserita. Poi Maria esercita, nei confronti della cugina, un ministero di mediazione in ordine al dono dello Spirito Santo. Infatti, Elisabetta lo riceve dopo aver udito la voce della madre del Signore. Infine Elisabetta, ricevuto lo Spirito, è da lui guidata e riesce così a percepire il mistero che si sta compiendo nella cugina. In conclusione si può affermare che nell'incontro interpersonale, vissuto nella volontà di Dio e nella comunione ecclesiale, non solo si chiarisce e si comprende la propria vocazione, ma si ha pure il dono sovrabbondante dello Spirito che permette una lucida e penetrante comprensione del mistero di Dio. Il dono dello Spirito è anche anticipazione e garanzia della vita eterna. Il dono dello Spirito rende consapevoli dell'opera di Dio, della sua fedeltà e della sua misericordia, ed orienta verso il Regno eterno, meta definitiva della vita.
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 13 agosto 2023 – XIX Domenica del Tempo Ordinario
Vivere con fede nel SignoreI Re 11,9a. 11 – 13 . Salmo 84 . Romani 9,1 – 15 . Matteo 14, 22 – 33 (anno A)
Lettura
Continua la lettura del capitolo quattordicesimo del vangelo di Matteo. Dopo le parabole del capitolo tredici, l'evangelista ha raccolto episodi importanti di autorivelazione di Gesù. Egli cerca di comunicare agli amici più affezionati la sua identità più profonda.
Mt 14, 22-3322Subito dopo costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva, finché non avesse congedato la folla. 23Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.24La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. 25Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. 26Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: "È un fantasma!" e gridarono dalla paura. 27Ma subito Gesù parlò loro dicendo: "Coraggio, sono io, non abbiate paura!". 28Pietro allora gli rispose: "Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque". 29Ed egli disse: "Vieni!". Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30Ma, vedendo che il vento era forte, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: "Signore, salvami!". 31E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?". 32Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: "Davvero tu sei Figlio di Dio!".CommentoIl racconto inizia presentando Gesù che manda i suoi discepoli sull'altra sponda del lago e che congeda la folla. Va sottolineato poi la scelta compiuta da Gesù: "salì sul monte a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo". E' per lui tappa decisiva e fondamentale la preghiera in solitudine, che ritma la sua giornata e la sua vita. La narrazione poi riprende presentando l'attraversata del lago da parte dei discepoli sulla barca. Il lago è agitato a causa delle onde provocate dal "vento contrario" e quindi per i discepoli si profila un momento di difficoltà. Alla fine della notte essi sono ancora sulla barca. Molto probabilmente, dopo aver attraccato all'altra riva del lago, hanno ripreso la navigazione nella notte per la pesca. E' in questo momento che Gesù si avvicina a loro "camminando sul mare". Il modo insolito scelto da Gesù per raggiungere i suoi, suscita in loro paura e turbamento tanto da essere scambiato per un fantasma. Le parole di Gesù chiariscono l'equivoco: "coraggio, sono io, non abbiate paura". A questo punto abbiamo una scena dedicata all'apostolo Pietro. Egli, dopo aver sentito le parole del maestro, titubante ed incredulo, chiede un'ulteriore prova: Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque". Gesù acconsente e Pietro inizia il suo cammino sulle acque verso il maestro. Però la paura, l'incertezza ed il dubbio prevalgono nell'apostolo, che non si sente sicuro sulle acque agitate. Cominciando a sprofondare chiede aiuto al Signore: "Signore, salvami!". Gesù lo solleva e lo toglie dal pericolo, però nello stesso tempo lo rimprovera: "uomo di poca fede, perchè hai dubitato?". Il brano si chiude presentando la nuova situazione di tranquillità e di pace creatasi quando Gesù sale sulla barca. Allora tutti i discepoli si prostrano davanti al Signore, riconoscendolo Figlio di Dio: "Davvero tu sei Figlio di Dio!".
La vita dei discepoli è sempre l'attuazione di una missione a loro affidata da Gesù Cristo. Tale missione, per essere colta nelle sue implicanze più complesse e per essere attuata con fedeltà, richiede ai discepoli l'impegno della preghiera e della riflessione silenziosa. La difficoltà ed i problemi, che si incontrano lungo il tragitto, si possono superare se si ha consapevolezza che il Signore è sempre accanto a noi, anche attraverso modalità non immediatamente percepibili, e se si crede nella sua azione costante a favore dei suoi amici. Senza la fede si sprofonda nel buio e nella disperazione.
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 6 agosto 20203– Trasfigurazione del Signore
Chiamati a vedere il SignoreDn 7,9-10.13-14; Sal. 96; Rm 8, 35. 37-39; Mt 17,1-9 (Anno A).
Lettura
Gesù sta compiendo il suo ministero in Galilea. Egli predica e guarisce, chiama i discepoli a seguirlo e sorgono i primi contrasti con gli avversari. Dopo aver scelto i dodici tra i discepoli, li manda in missione. A loro un giorno chiede di dire un parere sul pensiero delle folle su di lui; anch'essi sono invitati ad esprimersi al riguardo. Pietro, a nome di tutti, dichiara la loro fede; questa però è subito messa in difficoltà dal primo annuncio della passione e dalla dichiarazione sulla necessità per il discepolo di portare la croce dietro a Gesù. Qui si colloca la pericope detta della Trasfigurazione.
Mt 17, 1-91Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: "Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia". 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: "Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo". 6All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: "Alzatevi e non temete". 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. 9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: "Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti".Commentol racconto inizia presentando Gesù che, prendendo "con sé Pietro, Giovanni e Giacomo", sale "su un alto monte". Nel mondo antico, l'immagine del monte era abituale per richiamare un luogo dove s'incontrava la divinità, perché lì Dio aveva la sua dimora. Di conseguenza sottolineare il riferimento al monte, come luogo della manifestazione di Dio e della comunione con Lui, rimanda all'esperienza caratteristica di ogni civiltà: la preghiera. Mentre Gesù prega il suo volto si trasforma "e le sue vesti divennero candide come la luce", in quanto simbolo della persona divina. L'evangelista Matteo è particolarmente interessato al colloquio tra Gesù ed i due uomini, identificati poi con Mosé ed Elia. Essi diventano espressione dell'antica alleanza, che Gesù è venuto a portare a compimento. Mosè rappresenta la "Torà-Legge" ed Elia rimanda a tutti i profeti. A questa scena così intensa, in quanto manifestazione della gloria di Cristo, incastonata nella storia della salvezza, fa da contrasto la non comprensione dei discepoli, che assistono al fatto. Pietro, con le parole rivolte a Gesù, occupa la parte centrale del racconto. Egli propone di costruire tre tende, e l'idea è sicuramente inadeguata al momento. Gesù, infatti, non può essere assimilato ai due mediatori dell'antica alleanza. Quanto i discepoli non riescono a raggiungere con le proprie forze la comprensione dell'evento, è possibile sperarlo dall'opera di Dio e dalla sua rivelazione attraverso Gesù. A questo punto avviene un nuovo evento: "una nube luminosa che li coprì con la sua ombra". La nube è sempre segno della presenza di Dio, sia nell'Antico Testamento come nel Nuovo. E dalla nube esce la parola autorevole del Padre che rivela la vera identità di Gesù: "Questi è il figlio mio, l'amato". La presenza di Dio sul monte e la sua parola, spingono i discepoli a fidarsi di Gesù Cristo e a credere ai suoi insegnamenti: "ascoltatelo". Alla fine resta solo Gesù con i discepoli, perché solo lui è l'unico e definitivo rivelatore del Padre.
La trasfigurazione di Gesù è per i discepoli occasione di conoscere la vera identità di Gesù. È un'esperienza che avviene nella preghiera. Ed è Gesù che li aiuta ad entrare nel mistero della rivelazione antica e nuova, e li mette decisamente sulla strada del discepolato che li porta a superare la distanza che li separa dal mistero di Dio. Dio che si rivela è realmente accolto dai discepoli quando diventano capaci di ascoltare e recepire fino in fondo gli insegnamenti di Gesù, che culminano nel portare la croce con lui. Chi nella preghiera crede e ascolta, facendo della croce la regola della vita, cammina con Cristo verso la gloria della Pasqua eterna.
Legami fra le lettureLa Trasfigurazione del Signore invita a riflettere sul tema della visione di Dio. Tutti un giorno vedremo Dio, per mezzo di Gesù Cristo. Il profeta Daniele, attraverso immagini prese dal linguaggio apocalittico, cerca di descrivere l'esperienza da lui fatta: "il suo trono era come vampe di fuoco... mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano". Colui che è "simile ad un figlio d'uomo", che ha ricevuto "potere, gloria e regno" è Gesù Cristo. La profezia di Daniele si realizza sul Tabor, con la trasfigurazione, e si compirà definitivamente a Gerusalemme con la sua esaltazione gloriosa, dopo avere attraversato il buio della passione e della morte. Pietro afferma di aver conosciuto, udito e sperimentato Gesù Cristo e dichiara di non aver seguito favole, ma la salvezza di Dio. Per questo, attraverso la sua testimonianza, tutti sono invitati a volgere l'attenzione a Gesù Cristo, "lampada che brilla in un luogo oscuro" fino a quando "la stella del mattino", Gesù Cristo, illuminerà per sempre il cuore di ogni donna e di ogni uomo.
Dn 7,9-10.13-14; Sal 96; 2 Pt 1,16-19; Mt 17,1-9
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- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
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LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 30 luglio 20203– XVII Domenica del Tempo Ordinario
Accorgimenti per vivere nel Regno di DioI Re 3,5. 7 – 12 . Salmo 118 . Romani 8, 28 – 30 . Matteo 13, 44 - 52
LetturaContinua la lettura del capitolo tredicesimo del vangelo di Matteo. Del "discorso parabolico" oggi sono presentate tre parabole (il tesoro, la perla e la rete) e la conclusione di tutto il discorso contenuto nel capitolo.
Mt 13, 44-5244Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.45Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; 46trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.47Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. 48Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. 49Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni 50e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.51Avete compreso tutte queste cose?". Gli risposero: "Sì". 52Ed egli disse loro: "Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche".CommentoNei primi versetti abbiamo due parabole tra loro collegate. La prima (v. 44) presenta il ritrovamento di un tesoro che era stato nascosto in un campo. Lo scopritore, pieno di gioia vende tutto quello che ha per acquistare il campo col tesoro nascosto. La seconda (v. 45) illustra l'attività di un mercante di perle preziose. Quest'uomo, sempre alla ricerca del pezzo raro, trovatolo, vende tutto per impossessarsene. Le due parabole sono collegate col regno di Dio, lo illustrano e presentano le conseguenze per chi lo trova. Il Regno di Dio è la vita che si sceglie seguendo Gesù ed i suoi insegnamenti, così si fa parte della famiglia di Dio, cioè il suo Regno. La terza parabola (vv. 47 – 50) descrive ciò che fa una rete a strascico gettata nell'acqua. Tutto entrano nella rete senza distinzione. In essa restano impigliati pesci di ogni genere. La selezione di quanto è stato pescato avviene sulla spiaggia ad opera dei pescatori: "raccolgono i pesci buoni... "(v. 48). Segue l'interpretazione della parabola (vv. 49 – 50). Alla fine del mondo Dio attuerà la stessa operazione compiuta dai pescatori dopo la pesca. Che cosa stabilisce la bontà o la cattiveria? Non certo il carattere di una persona, ma lo sforzo che uno compie ogni giorno di essere discepolo del Signore, superando le difficoltà ed impegnandosi seriamente.
La conclusione del discorso mette in risalto i destinatari con una domanda rivolta direttamente a loro: "Avete capito tutte queste cose?". La risposta dei discepoli è positiva, senza riserve o limitazioni. Così la domanda posta a Gesù nel v. 36 ha avuto a questo punto piena soddisfazione. Il testo si chiude con la piccola parabola dello scriba diventato discepolo del regno dei cieli. Costui, non deve accontentarsi di capire, ma è necessario che compia un ulteriore passo. Tutto quanto ha assimilato dall'esperienza cristiana trova la sua vitalità in Gesù Cristo e viene manifestato pubblicamente attraverso la sua testimonianza. La liturgia lascia cadere il v. 53 dove è indicato uno spostamento geografico di Gesù: "Terminate queste parabole, Gesù partì di là".
Per incontrare il Regno di Dio, cioè per vivere un rapporto autentico con Dio, è necessario ricercarlo e vigilare per discernere e cogliere l'occasione giusta nella quale si manifesta a noi. La sua manifestazione definitiva è avvenuta ed avviene attraverso Gesù. Chi incontra Dio nella sua vita, anche se l'evento può essere frutto del caso, deve possedere l'attrezzatura necessaria per cogliere la grandiosità dell'avvenimento e deve essere pronto a mettere in atto ogni strategia possibile per non perdere l'occasione, anche a costo di vendere tutto. Nel corso della storia si nota la convivenza dei buoni e dei cattivi, di coloro che seguono Dio e di coloro che l'hanno rifiutato. Alla fine però Dio li separerà definitivamente. I buoni riceveranno il premio ed i cattivi il castigo. I discepoli non possono accontentarsi di sapere queste cose, ma la loro gioia sta nel metterle in pratica.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTURELa preziosità del "regno di Dio" e l'appartenenza ad esso è il filo conduttore che unisce le letture. Nel vangelo, con le prime due parabole, si sottolinea la decisività dell'incontro con Dio nella vita dell'uomo e la necessità di perseverare nel rapporto con lui. E' questo il "cuore docile", che Salomone chiede a Dio e solo la relazione con Lui può aiutare a "distinguere il bene dal male" e metterlo in pratica nella vita. Chi non si comporta così, alla fine dei tempi sarà giudicato per il premio o per la condanna. Nella lettera di Paolo ai Romani si sottolinea che coloro che amano Dio sono orientati in modo decisivo verso il bene. Dio infatti, porta i suoi eletti a conformarsi sempre più "all'immagine del Figlio suo" in lui si realizza ogni chiamata, giustificazione e glorificazione: "quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati".
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