APOCALISSE
Ventiduesima Lettura
Si apre ora una nuova parte del libro. Un nuovo grande scenario che raffigura il giudizio sul male del mondo, con gli angeli flagellatori protagonisti. Costoro poi porteranno le coppe da versare sulla terra.
Lettura
Ap 15 1E vidi nel cielo un altro segno, grande e meraviglioso: sette angeli che avevano sette flagelli; gli ultimi, poiché con essi è compiuta l'ira di Dio. 2Vidi pure come un mare di cristallo misto a fuoco; coloro che avevano vinto la bestia, la sua immagine e il numero del suo nome, stavano in piedi sul mare di cristallo. Hanno cetre divine e 3cantano il canto di Mosè, il servo di Dio, e il canto dell'Agnello: "Grandi e mirabili sono le tue opere, Signore Dio onnipotente; giuste e vere le tue vie, Re delle genti! 4O Signore, chi non temerà e non darà gloria al tuo nome? Poiché tu solo sei santo, e tutte le genti verranno e si prostreranno davanti a te, perché i tuoi giudizi furono manifestati". 5E vidi aprirsi nel cielo il tempio che contiene la tenda della Testimonianza; 6dal tempio uscirono i sette angeli che avevano i sette flagelli, vestiti di lino puro, splendente, e cinti al petto con fasce d'oro. 7Uno dei quattro esseri viventi diede ai sette angeli sette coppe d'oro, colme dell'ira di Dio, che vive nei secoli dei secoli. 8Il tempio si riempì di fumo, che proveniva dalla gloria di Dio e dalla sua potenza: nessuno poteva entrare nel tempio finché non fossero compiuti i sette flagelli dei sette angeli.CommentoViene introdotto un nuovo settenario di angeli che portano dei flagelli e poi delle coppe. Con questi flagelli danno dei colpi violenti da provocare la morte. È evidente anche nel nuovo settenario, come nel precedente, un rimando alla narrazione delle sette piaghe d'Egitto (cfr. Es 7,14-11,10). Sono gli ultimi flagelli perché con essi si concluderà la punizione di Dio nei confronti degli empi, cioè coloro che seguono altre divinità. Sappiamo già che il numero 7 è sinonimo di pienezza e definitività. Questi flagelli sono detti "ultimi" (v. 1) perché in essi il castigo divino raggiunge l'apice del suo rigore e giunge al suo compimento definitivo. L'uso dei segni ripresi dall'Esodo vuole sottolineare la continuità della storia della salvezza. La prima liberazione del popolo di Dio era avvenuta attraverso una serie di atti salvifici del Signore che aveva piegato la potenza del male raffigurato dal faraone. La liberazione attesa ricalcherà quel momento iniziale svelando il vero progetto divino che è nello stesso tempo purificazione e vittoria sul male ma nello stesso tempo è anche pace e felicità perché trionfa il bene. Come nell'Esodo la liberazione è avvenuta passando in mezzo ad un mare impetuoso, così ora gli eletti che hanno combattuto l'idolatria, la violenza e l'ingiustizia passano attraverso un mare strano che richiama il cristallo-vetro (tipico della volta celeste nella cosmogonia orientale[2]) e il fuoco divino. Il mare è per la bibbia simbolo del male come già abbiamo visto in 4,6. Questo mare è orientato a rappresentare le prove sopportate dai giusti. Il fuoco richiama l'inizio di una nuova creazione. I giusti sono però ritti in piedi e sicuri come l'Agnello risorto (v. 2), essi come l'Agnello risorto hanno vinto la bestia, la sua immagine ed il suo numero. Come gli ebrei nell'esodo attraversando il mare cantavano l'inno di Mosè (Es 15), cosi i giusti che hanno vinto il male elevano a Dio un loro cantico di Mosè e dell'Agnello (v. 3) mentre attraversano il mare delle prove e vengono rigenerati dal fuoco. Questo inno è una raccolta di citazioni dell'AT ed in particolare dei Salmi (vv.3-4). I salvati non celebrano se stessi, la loro costanza e la loro vittoria, ma le "grandi d mirabili opere di Dio" ed i suoi progetti nel governo del mondo e della storia. Qui troviamo un esempio di vera preghiera che non è soprattutto domanda, ma lode, ringraziamento, benedizione, celebrazione, canto glorioso, professione di fede nel Signore che salva. Tutti i canti presenti nell'Apocalisse vanno in questa direzione e sono vere "dossologie"[3], cioè inni di lode al Salvatore. Dopo il canto accompagnato dalle cetre il santuario celeste, come alla fine del settenario delle trombe (11,19), si apre per far passare una processione angelica. Siamo davanti ad una rivelazione che parte da Dio stesso, dalla "Tenda della Testimonianza". Il tempio celeste ripresenta il modello del tempio costruito sul monte Sion, che a sua volta riprendeva la Tenda del Convegno quando Israele era nomade. Con questa espressione si indica l'area più sacra del Tempio, il luogo dove era custodita l'Arca santa (nel primo Tempio) e quindi dove Dio aveva posto la sua dimora (cfr. 1Re 6-8). L'abbigliamento degli angeli è quello dei cittadini del cielo, avvolti nel candore luminoso della luce divina e ornati dell'oro della loro dignità trascendente che rimanda a Dio. I loro paramenti, che rimandano ad elementi sacerdotali [4], sono quelli indossati da Cristo nella visione inaugurale dell'Apocalisse (cfr. 1,13 e Dn 10,5). Qui vediamo anche un rimando alla veste candida indossata dai neofiti che avevano ricevuto i sacramenti dell'Iniziazione Cristiana ed erano entrati nel popolo santo di Dio attraverso il sangue dell'Agnello. Gli angeli sono usciti dal tempio è stanno davanti al lettore e sono immersi nella nebbia, che evoca il fumo dei sacrifici, il fumo dell'incenso e soprattutto la nube segno della presenza di Dio. Gli angeli ricevono dai quattro essere viventi le coppe d'oro contenenti l'ira divina colme di flagelli (vv. 6-8). In questa narrazione le coppe alludono al rito della liturgia di Kippur, giorno della espiazione o grande purificazione (cfr. Lev 16) e poi ripresa nel NT riferita a Cristo che col suo sacrificio espia per sempre i peccati dell'umanità.
- Dio per mezzo di Gesù Cristo libera e salva i suoi eletti.
- Già fin da ora i credenti partecipano a questa redenzione.
- Nella liturgia si vive tale dimensione della salvezza operata da Cristo.
[2] Cfr. racconto della creazione di Gen 1,6-8
[3] Per dossologia nella liturgia cristiana si intende di solito un'esclamazione rituale, una formula, un breve inno, che loda, esalta e glorifica Dio; la parola deriva dal greco δοξολογία, comp. di δόξα «opinione, lode» e -λογία «-logia»
[4] Tunica sacerdotale (ebraico: ketonet כֻּתֹּנֶת) (tunica): fatta di lino puro, copriva l'intero corpo dal collo ai piedi, con maniche fino ai polsi. Quella del Sommo Sacerdote era ricamata (Esodo 28:39); quelle dei sacerdoti erano semplici (Esodo 28:40).