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Lectio Divina XXVI Domenica T.O.- A

LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 1 ottobre 2023 – XXVI Domenica del Tempo Ordinario - A

Nella volontà del Padre si è figli e fratelli
Ezechiele 18, 25-28 . Salmo 24 . Filippesi 2, 1-11 . Matteo 21, 28-32

Lettura
Il capitolo ventunesimo di san Matteo ci presenta Gesù a Gerusalemme. Dopo aver lasciato Gerico giunge a Betfage. Da qui inizia l'ingresso messianico nella città santa, cavalcando un'asina, mentre la gente lo acclama e stende mantelli sulla strada. Entrato nel tempio, scaccia coloro che vendono e comprano, perché la sua casa è di preghiera e non un covo di ladri. È proprio qui che si acutizza il contrasto con i capi dei sacerdoti ed i notabili del tempio. Questo è il contesto immediato del brano odierno.

Mt 21, 28-32
28"Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: "Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna". 29Ed egli rispose: "Non ne ho voglia". Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: "Sì, signore". Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?". Risposero: "Il primo". E Gesù disse loro: "In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.

Commento
Il brano si apre con la parabola dei due figli, incorniciata da due domande rivolte agli ascoltatori. "Che ve ne pare?" dice Gesù, chiedendo così un parere esplicito ai suoi interlocutori. Egli presenta poi il caso di un padre con due figli. Al primo figlio comanda di andare a lavorare nella vigna di famiglia e subito egli reagisce dichiarando di non voler andare perché non ha voglia. Poi ritorna sulla sua decisione, si pente della risposta data e va al lavoro nella vigna. Il secondo davanti alla proposta del padre sembra aderire con entusiasmo all'invito e dice: "si, Signore". Ma il racconto prosegue annotando che invece non andò. La seconda domanda chiude la parabola di Gesù: "chi dei due ha compiuto la volontà del padre?". La risposta corale degli uditori di ieri e di oggi è a favore del primo figlio e "tutti dicono il primo". Questa risposta non è soltanto un'affermazione verbale, ma nell'intenzione di Gesù, coinvolge esistenzialmente tutti i suoi ascoltatori e diventa giudizio per la vita di ciascuno. Infatti le parole di Gesù che seguono diventano estremamente chiarificatrici. I pubblicani (cioè gli imbroglioni ed i ladri istituzionalizzati) e le prostitute, che sembrano aver detto di no al regno di Dio e alle sue regole, di fatto precedono in esso i notabili del tempio ed i capi dei sacerdoti, perché queste categorie di persone rispecchiano i due atteggiamenti dei due figli presentati dalla parabola. La prova concreta di quanto Gesù sta affermando è data dall'atteggiamento che le persone hanno avuto nei confronti di Giovanni il battista. Egli, il profeta del deserto, ha invitato alla conversione, ma nessuno lo ha preso sul serio se non i pubblicani e le prostitute. La stessa cosa capita anche a Gesù che è accolto, seguito e amato da coloro che erano messi al bando nella società del tempo. La conclusione del brano è molto realistica e segnata da un velo di amarezza: "voi (che siete i prediletti) pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti così da credergli".

Non sono le strutture religiose e nemmeno i comportamenti esteriori e formali che salvano, ma la logica del Padre celeste insegnata da Gesù. Egli infatti invita i suoi a non accontentarsi di una fede verbale e teorica. I veri discepoli, quelli che costituiscono la nuova comunità dei figli e dei fratelli, sono quelli che fanno la volontà del Padre che è nei cieli.

COLLEGAMENTO FRA LE LETTURE
Il tema della volontà di Dio Padre collega la liturgia della Parola di questa domenica. È la volontà del Padre, rivelata da Gesù e accolta nella vita di ciascuno, che rende figli fedeli. Non contano le strutture e nemmeno i comportamenti esteriori. Dio guarda soprattutto la fedeltà di ciascuno agli insegnamenti da lui lasciati. In questa prospettiva va letta la prima lettura. Non è la condotta di Dio che va messa in discussione, ma quella degli uomini. "Se il giusto si allontana dalla giustizia (dalla salvezza portata da Dio) ... egli muore appunto per l'iniquità che ha commesso". Per questo è necessario vigilare per non allontanarsi dalla fonte della giustizia, per evitare le colpe e così vivere in Dio. La lettera ai Filippesi di san Paolo indica il criterio di fondo per fare sempre la volontà di Dio Padre: "abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù". Solo così si può essere obbedienti al Padre, non si fa nulla per spirito di vanagloria, si considerano gli altri superiori a se stesso, non si cerca il proprio interessa ma quello degli altri.

La vita
(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)

Lectio Divina XXVII Domenica T.O.- A

LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 8 ottobre 2023 – XXVII Domenica del Tempo Ordinario

L'amore produce frutti di salvezza
Isaia 5, 1-7 . Salmo 79 . Filippesi 4, 6-9 . Matteo 21, 33-43

Lettura
Continua la lettura del capitolo ventunesimo di san Matteo. Gesù è entrato solennemente a Gerusalemme ed ora si trova nel tempio dove, nei cortili antistanti il santuario, il confronto polemico con i capi si fa sempre più vivo.

Mt 21,33-43
33Ascoltate un'altra parabola: c'era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: "Avranno rispetto per mio figlio!". 38Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: "Costui è l'erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!". 39 Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?". 41Gli risposero: "Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo".
42 E Gesù disse loro: "Non avete mai letto nelle Scritture:
La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d'angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi?
43Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.

Commento
Dopo la parabola letta domenica scorsa, troviamo l'invito rivolto da Gesù ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo perché ascoltino un'altra parabola. Il testo si articola in due parti: il racconto parabolico dei vignaioli ribelli e omicidi (21, 33b-39) e la sua applicazione mediante un dialogo tra Gesù ed i suoi interlocutori (21, 40-43). Il testo liturgico lascia cadere i versetti 44-46 che presentano una sentenza di Gesù e la reazione dei capi e dei farisei, i quali capiscono che Gesù si riferisce a loro. La parabola si apre presentando un padrone che con somma cura pianta una vigna in un podere, attrezzandola di tutte le strutture necessarie, e poi l'affida in affitto a dei vignaioli perché la coltivino con impegno e raccolgano di conseguenza frutti abbondanti. Segue l'altra parte della parabola tutta dedicata alle iniziative intraprese dal padrone per avere dai vignaioli i frutti della vigna. Dapprima manda i servi "da quei vignaioli a ritirare il raccolto", ma questi vengono uccisi. Poi invia altri servi che subiscono la stessa sorte dei primi. Infine manda il figlio, perché risolva definitivamente la questione, ma il dramma si acutizza. I vignaioli, vedendo a portata di mano la possibilità di impossessarsi dell'eredità, prendono il figlio, "lo cacciano fuori della vigna e lo uccisero". Con la domanda: "quando dunque verrà il padrone della vigna che cosa farà a quei contadini?", Gesù inizia ad applicare la parabola ai suoi ascoltatori. Infatti la risposta data dagli ascoltatori diventa una sentenza che ricade su loro stessi. Le parole di Gesù poi riprendono il tema della risposta data e lo definiscono: "perciò io vi dico: a voi vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un altro popolo che ne produca frutti". Nel versetto precedente Gesù ha indicato anche quale deve essere l'innesto sicuro per portare frutti: "la pietra che i costruttori hanno scarta è diventata la pietra d'angolo".

Attraverso Gesù Cristo, la pietra angolare, Dio Padre cura i rapporti col suo popolo. Questo, di conseguenza, deve dare frutti come segno di comunicazione efficace col suo Dio. I frutti da produrre si collocano nell'ambito della salvezza che viene dal Signore e che si realizza nel seguire fedelmente i suoi insegnamenti. L'amore a Dio Padre e alla sua volontà, per mezzo di Gesù Cristo, garantisce una messe abbondante di frutti di salvezza.

COLLEGAMENTO FRA LE LETTURE
L'immagine della vigna ritorna nelle letture di questa domenica. Essa diventa immagine del popolo eletto e rimanda al rapporto di salvezza e all'alleanza che Dio ha realizzato col suo popolo. Nella prima lettura abbiamo il noto "canto della vigna" di Isaia. L'autore si presenta amico dello sposo che canta per lui "un cantico d'amore per la sua vigna". Il canto di Isaia si articola in tre momenti. Dapprima si presentano le cure particolareggiate riservate dal viticoltore alla sua vigna e la delusione finale per i frutti non avuti: "egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica". Poi c'è la decisione di abbandonare la vigna sterile perché diventi pascolo per gli animali: "toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo". Infine il profeta applica tutto il discorso precedente alla casa d'Israele: "la vigna del Signore degli eserciti è la casa d'Israele; gli abitanti di Giuda la sua piantagione preferita". Dal suo popolo Dio "si aspettava giustizia, ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudini ed ecco grida di oppressi". Anche il brano evangelico, partendo dalla parabola della vigna, focalizza il discorso sui suoi frutti, che il padrone vuole raccogliere. La seconda lettura si collega con le altre in quanto indica atteggiamenti e scelte pratiche che permettono di essere vigna del Signore e di portare frutti per il Signore, seguendo l'esempio di Paolo.

La vita
(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
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Lectio Divina XXIII Domenica T.O.- A

LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 10 settembre 2024 – XXIII Domenica del Tempo Ordinario A

Chiesa riconciliata e orante
Ezechiele 33,7-9 . Salmo 94 . Romani 13,8-10 . Matteo 18,15-20

Lettura
Il capitolo diciottesimo contiene le regole date da Gesù per la vita interna della comunità. Egli affronta alcune questioni nodali: chi sono "i più grandi" nella comunità, quale comportamento si deve avere nei confronti dei piccoli di età e di stato sociale, come vivere la pratica del perdono. Il nostro testo è costituito da una serie di sentenze sulla riconciliazione fraterna; esso segue immediatamente la parabola del pastore che cerca la pecora smarrita.

Mt 18, 15-20
15Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. 18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d'accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro.

Commento
Il brano si divide in due parti. In 18,15-17 abbiamo una regola disciplinare, seguita dalle sue motivazioni teologiche presentate in 18,18-20. La regola di comportamento nei confronti del fratello che pecca prevede tre istanze successive e progressive. Dapprima la questione va risolta a livello personale: "va e ammoniscilo fra te e lui solo". Se il primo intervento non produce affetti di riconciliazione, è necessario avvicinare chi pecca con "una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni". Infine, se la persona persevera nel suo errore, sia coinvolta tutta la comunità la quale deve mettere in atto tutte le strategie necessarie per recuperare il fratello peccatore. Se ciò non si realizza, il componente della comunità, che da essa si è separato col peccato, è da considerarsi non escluso o emarginato, ma ancora come un pagano, il quale ha bisogno di intraprendere nuovamente un cammino di conversione. Per quale peccato è necessario attuare questa procedura? È difficile identificare concretamente la tipologia di peccato in questione. Dal contesto del capitolo si può però sicuramente ricavare che si tratta di un comportamento a danno della comunità o di un suo componente. Chi è chiamato a mettere in atto questa procedura nei confronti del peccatore? Ogni discepolo è invitato da Gesù a svolgere con autorità nella comunità questo ministero di riconciliazione, sull'esempio del Padre celeste che ricerca e recupera tutti i fratelli persi. Egli deve servirsi del dialogo fraterno per ricostruire i rapporti con i fratelli separatisi dalla comunità col peccato. Infine nella comunità alcuni fratelli, tramite un ministero specifico ad essi conferito, hanno il compito di riconoscere la conversione avvenuta e di riammettere il peccatore a pieno titolo nella comunità. Il v. 19 può essere letto allora in due modi. Prima di tutto al Padre va chiesto continuamente e soprattutto l'accordo fraterno nella comunità. Tale richiesta è sicuramente concessa dal Padre. Occorre poi chiedere di vigilare perché al Padre non può essere innalzata una preghiera significativa ed efficace se non si è uniti e se persistono fratture nella fraternità. La ragione profonda dell'unità nella comunità è data dall'ultimo versetto. I fratelli riuniti nel nome del Signore Gesù costituiscono la Chiesa, luogo dove Cristo è presente e si realizza l'incontro salvifico col Padre: "dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro".

La comunità radunata insieme è il luogo dove è presente il Signore e dove lo si incontra risorto. Non è comunità autentica se in essa vi sono persone compromesse col peccato, cioè che si sono allontanate dalla volontà del Padre o che hanno rotto i rapporti fraterni di amore reciproco. Per questo ognuno è chiamato a vigilare per non cadere nel peccato e ad attivarsi per ricondurre a riconciliazione chi si è allontanato dal progetto di Dio rivelatoci da Gesù Cristo.

COLLEGAMENTO FRA LE LETTURE
I temi della presenza del Signore nella sua comunità e della responsabilità dei discepoli nel portare a conversione chi sbaglia intersecano le letture odierne. Nella prima lettura il profeta Ezechiele é posto in mezzo al popolo di Dio per trasmettere la sua parola e per essere "sentinella per gli israeliti". La sentinella deve prestare attenzione a quanto gli dice il Signore e nello stesso tempo deve vigilare sulla comunità degli israeliti perché non si allontanino dal loro Dio, che vive con loro. Questo compito Gesù lo affida nel vangelo ad ogni discepolo. Tutti i cristiani sono invitati ad attivarsi, perché chi ha sbagliato possa ritornare nella comunità oppure ricostruire la comunione con essa. Solo così la preghiera dell'assemblea, radunata nel nome del Signore, avrà significato ed efficacia. Nella lettera ai Romani Paolo traccia in sintesi quale deve essere la scelta e l'atteggiamento di fondo che impediscono di cadere nel peccato e quindi nella separazione dalla comunità: "Amerai il prossimo tuo come te stesso. L'amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l'amore".

La vita
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Lectio Divina XXIV Domenica T.O.- A

LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 17 settembre 2023 – XXIV Domenica del Tempo Ordinario A

Perdonare col cuore del Padre
Siracide 27, 33-28,9 . Salmo 102 . Romani 14, 7-9 . Matteo 18, 21-35

Lettura
La liturgia propone oggi un altro passo del capitolo diciottesimo del vangelo di san Matteo. Dopo aver presentato chi è il più grande nella comunità, la correzione fraterna e la preghiera in comune, ora Gesù affronta la questione del perdono.

Mt 18, 21-35
21Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: "Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?". 22E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. 23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa". 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. 28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: "Restituisci quello che devi!". 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò". 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. 31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: "Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?". 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello".

Commento
Il brano si apre con un quesito posto da Pietro: Signore quante volte dovrò perdonare a mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?. Egli pensa, probabilmente, di ricevere l'approvazione di Gesù per le parole dette in quanto, ponendo il limite del perdono a sette volte, indica una misura che supera grandemente quella prevista dalla prassi raccomandata dai rabbini. Costoro invitano, infatti, a dare il perdono per tre volte. La risposta di Gesù si pone completamente su di un altro livello e dice: "non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette". Egli insegna così a perdonare sempre, secondo lo stile di Dio. Il lungo racconto parabolico che segue allarga la risposta data a Pietro e serve ad illustrare meglio la prospettiva del perdono insegnata da Gesù. La parabola inizia con una frase d'apertura che presenta la ragione da cui si sviluppa poi tutta la vicenda: "un re che volle fare i conti con i suoi servi". La scena si sviluppa in tre momenti. Dapprima si ha la presentazione del padrone che incontra il primo servo (18, 24-27). Costui, che gli è debitore di "diecimila talenti" (un talento corrispondeva circa a 300.000 euro), dopo aver supplicato il padrone, ottiene il condono del debito. Poi è descritto l'incontro del servo condonato con un suo collega che gli deve "cento denari" (18, 28-30) (un denaro corrispondeva circa a 50 euro). Anche costui implora il collega per ottenere comprensione e per poter rimandare la scadenza fissata per pagare il debito. Egli però non viene esaudito. È arrestato e messo in carcere fino a quando non ha pagato il debito. L'ultimo momento (18, 31-34) presenta il padrone che, informato dagli altri servi sull'accaduto, chiama l'uomo a cui aveva condonato il debito. Rimprovera severamente il servo perché non ha avuto pietà del collega, ritira il condono concesso e lo condanna alla stessa sorte da lui inflitta al suo collega. La conclusione (18, 35) si collega alla domanda di Pietro e suggella l'insegnamento dato da Gesù: "Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore ciascuno al proprio fratello".

Il perdono è un'altra caratteristica che qualifica la vita della comunità cristiana. Gesù infatti insegna ai suoi il perdono fraterno senza misura. Il perdono tra i cristiani nasce dal perdono gratuito ed insperato ricevuto da Dio Padre e fattoci conoscere da Gesù Cristo. Occorre vigilare perché nel giudizio ultimo la prassi della misericordia, esercitata nella forma del perdono fraterno, occuperà un posto decisivo.

COLLEGAMENTO FRA LE LETTURE
Il tema che collega le letture odierne è il perdono di Dio, fonte e criterio del perdono tra gli esseri umani. Nella prima lettura, il testo del Siracide vuole inculcare nei giovani la fedeltà alla religione dei padri e l'arte di vivere bene. Per questo inizia presentando il tema: "Il rancore e l'ira sono un abominio, il peccatore li possiede". È il peccatore o lo stolto colui che cede sotto l'impulso dell'ira e del rancore, che portano poi alla vendetta. Inoltre il peccatore, che si vendica dei torti ricevuti non può chiedere ed ottenere il perdono dei suoi peccati davanti a Dio. Anche la preghiera e la guarigione sono esperienze significative davanti a Dio per il credente se sono supportate dalla misericordia e dal perdono verso i suoi simili. Il passo del vangelo riporta le parole di Gesù, che rivela il perdono del Padre. Infatti egli, in obbedienza al Padre, insegna ai sui amici a perdonare sempre, perché il Padre si comporta così. Paolo nella Lettera ai Romani presenta la motivazione del perdono: "nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso... sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore". Per questo allora nella comunità nessuno può considerarsi padrone di un altro, erigendosi a giudice del suo modo di vivere e agire.

La vita
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Lectio Divina XXV Domenica T.O.- A

LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 24 settembre 2023 – XXV Domenica del Tempo Ordinario A

Gli ultimi saranno primi
Isaia 55, 6-9 . Salmo 144 . Filippesi 1, 20c-27 . Matteo 20, 1-16

Lettura
Dopo il discorso sulla vita interna della comunità, san Matteo inserisce diversi brani sul vero discepolo. Costui, per essere veramente tale, come un bambino è chiamato a rifiutare qualsiasi accomodamento o compromesso e ad essere coerente fino in fondo. Non è possibile vantarsi di aver sempre osservato i comandamenti e poi essere attaccati alle proprie ricchezze, da non saperci rinunciare per amore di Gesù Cristo.

Mt 20, 1-16
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: "Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò". Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: "Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?". Gli risposero: "Perché nessuno ci ha presi a giornata". Ed egli disse loro: "Andate anche voi nella vigna".
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: "Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi". Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: "Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo".
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: "Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?". Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Commento
Il racconto parabolico di questa domenica si struttura in due momenti successivi: Il padrone della vigna assume operai (20, 1-7) e la paga data ad essi dall'amministratore con una discussione chiarificatrice (20, 8-15). La vicenda si sviluppa attorno ad un viticoltore che per l'intera giornata assume operai a lavorare nella sua vigna. La simbologia della vigna ritorna frequentemente nella tradizione ebraica per denunciare la storia delle infedeltà di Israele, la vite-vigna, che ha tradito gli impegni di fedeltà all'alleanza col suo Dio. Colpisce nel racconto il fatto che tutti sono chiamati a lavorare nella vigna, anche quelli incontrati all'ultima ora e che nessuno aveva preso a giornata. La seconda parte della parabola tratta della paga consegnata agli operai. Soltanto con i primi il padrone ha stipulato un contratto chiaro e preciso (un denaro è la paga giornaliera di un operaio e corrispondeva a 50 euro odierni), agli altri invece promette di dare a tutti il giusto. Sorprende notevolmente il comportamento del fattore che, eseguendo le indicazioni ricevute dal padrone, consegna a tutti gli operai un denaro come ricompensa della giornata. È sicuramente grande la gioia e lo stupore degli ultimi arrivati per la retribuzione ricevuta, mentre i primi, che hanno lavorato tutto il giorno, restano profondamente delusi. Essi, che si aspettano molto di più, in base a quanto dato agli ultimi e in rapporto alle loro ore di lavoro, mormorano contro il padrone. La risposta del padrone risolve la questione. Egli, con i primi assunti, ha rispettato il patto stipulato e con gli altri ha usato del suo denaro per compiere un gesto di magnanimità e di generosità. Dal racconto emerge con chiarezza un modo diverso di intendere la giustizia da parte degli uomini e da parte di Dio. La sentenza finale chiude il racconto e collega agli ascoltatori la parabola: "gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi".

È facile per tutti, nella comunità cristiana, pensare di avere dei diritti o dei privilegi, perché da tempo si cerca di seguire il Signore. A noi piace anche creare graduatorie e gruppi di merito proprio nella stessa comunità. Gesù insegna invece uno stile diverso di comportamento, che nasce da Dio stesso e che ha nell'amore gratuito e generoso, che dona e fa credito anche a chi non ha diritti, il suo principio ispiratore. Gli ultimi arrivati possono prendere il posto dei primi; quelli considerati ultimi, i piccoli tra i fratelli, nella prospettiva di Dio saranno i primi.

La vita
(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
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