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Lectio Divina XXXI Domenica T.O.- A

LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 5 novembre 2023 – XXXI Domenica del Tempo Ordinario A

Servire nell'amore

Malachia 1, 14b-2,2b.8-10 . Salmo 130 . 1 Tessalonicesi 2, 7b-9.13 . Matteo 23, 1-12

Lettura
Continua nel tempio di Gerusalemme il confronto - scontro tra Gesù ed i capi religiosi e politici. Dopo la precisazione sul comandamento più importante di domenica scorsa, l'evangelista Matteo riporta un passo dove Gesù chiarisce il collegamento tra Messia e figlio di Davide. Nello stesso tempo egli dichiara la sua superiorità, perché "Signore". Segue il lungo brano di denuncia di Gesù contro i farisei (23, 1-39) del quale oggi leggiamo una parte.

Mt 23, 1-12
1Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati "rabbì" dalla gente.
8Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate "padre" nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare "guide", perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.

Commento
Il testo si apre presentando i destinatari della prima parte del discorso di Gesù: la folla ed i suoi discepoli. A costoro, dopo aver affermato l'autorevolezza degli scribi e dei farisei in quanto continuatori del ministero di Mosè, Gesù rivolge la prima esortazione: "quanto vi dicono fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno". Seguono le motivazioni concrete che illustrano cosa significa: "dicono e non fanno". Secondo Gesù gli scribi ed i farisei impongono un legalismo oppressivo alla gente, che veramente risulta schiacciata. Tutto quanto è prescritto dai capi non è da loro assolutamente preso in considerazione: "non vogliono muoverli neppure con un dito". Infine essi sono considerati esibizionisti e bigotti, perché "tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini". Infatti i filatteri e le frange allungati, il saluto ricevuto nelle piazze ed il titolo di "rabbi" sono indici di religiosità no autentica, finalizzata al prestigio e alla ricerca di privilegi personali. Per evirate che i discepoli cadano in questi tranelli, Gesù dà loro una regola di comportamento. Essi non devono farsi chiamare "maestro" e "padre", perché solo Gesù Cristo è il loro maestro e soltanto il Padre del cielo è il loro padre autentico. Da ultimo Gesù invita i suoi a vivere il servizio vicendevole. Chi più ha responsabilità nella comunità maggiormente è chiamato a mettersi al servizio dei fratelli nelle piccole cose di ogni giorno.
Chi ha responsabilità nella comunità e chi da sempre vive in essa corre il rischio di arroccarsi in sicurezze e formalismi, che fanno perdere di vista lo scopo principale della vita comunitaria. Questo resta sempre l'incontro con Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo. Il pericolo denunciato da Gesù si può evitare se si mettono in pratica gli insegnamenti da lui dati e se nella comunità si vive la fraternità, esercitando concretamente il servizio vicendevole nell'amore.

COLLEGAMENTO FRA LE LETTURE
L'invito a vivere con coerenza la propria fede collega le letture della domenica. La critica di Gesù ai capi religiosi del giudaismo è un invito a tutti i discepoli a non ricercare nella religiosità soltanto interessi materiali oppure comportamenti esterioristici, ma a fare di essa l'occasione per vivere l'incontro con Gesù Cristo, l'unico maestro, e per sperimentare la paternità di Dio. Anche la prima lettura è in questa linea. Il profeta si rivolge ai sacerdoti del tempio e li richiama al loro dovere fondamentale: "se non mi ascoltate e non vi prendete a cuore di dar gloria al mio nome". Essi devono poi istruire il popolo perché resti fedele all'alleanza e quindi riceva la benedizione di Dio, cioè rinnovi continuamente l'incontro con lui. La seconda lettura presenta la testimonianza di Paolo. Egli, scrivendo ai tessalonicesi, offre l'occasione per dire come deve essere il sevizio nella comunità: "siamo stati in mezzo a voi come una madre nutre ed ha cura delle proprie creature". L'amore di Paolo per i suoi fratelli, lo spinge ad essere disposto a dare la sua stessa vita per loro e per la loro crescita. È questo l'atteggiamento concreto che porta poi ad una vera coerenza di vita.

La vita
(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)

Lectio divina sul Libro di Qoelet - 1

Qoelet (qhlt) – Ecclesiaste

Il nome
Il vocabolo sembra derivare dalla radice ebraica qal che vocalizzata diventa qãhãl e significa "assemblea". La traduzione greca diventa ecclesìa da cui deriva il titolo di Ecclesiate. Di che assemblea si tratta? Assemblea liturgica o assemblea civile pubblica? Il personaggio autore del testo è un componente dell'assemblea o è uno che parla all'assemblea? È un problema secondario perché a noi interessa cogliere il messaggio che l'autore vuole comunicare col testo.

Testo

1, 1Parole di Qoèlet, figlio di Davide, re a Gerusalemme.
2Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità: tutto è vanità.
3Quale guadagno viene all'uomo
per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole?
4Una generazione se ne va e un'altra arriva,
ma la terra resta sempre la stessa.
5Il sole sorge, il sole tramonta
e si affretta a tornare là dove rinasce.
6Il vento va verso sud e piega verso nord.
Gira e va e sui suoi giri ritorna il vento.
7Tutti i fiumi scorrono verso il mare,
eppure il mare non è mai pieno:
al luogo dove i fiumi scorrono,
continuano a scorrere.
8Tutte le parole si esauriscono
e nessuno è in grado di esprimersi a fondo.
Non si sazia l'occhio di guardare
né l'orecchio è mai sazio di udire.
9Quel che è stato sarà
e quel che si è fatto si rifarà;
non c'è niente di nuovo sotto il sole.
10C'è forse qualcosa di cui si possa dire:
"Ecco, questa è una novità"?
Proprio questa è già avvenuta
nei secoli che ci hanno preceduto.
11Nessun ricordo resta degli antichi,
ma neppure di coloro che saranno
si conserverà memoria
presso quelli che verranno in seguito.

v.1 Il primo versetto può essere considerato il titolo di tutto il libro; questo e viene generalmente attribuito ad un discepolo che raccolse gli insegnamenti del maestro. È sicuramente uno "pseudepigrafo", cioè uno scritto realizzato da uno pseudonimo che non rivela la sua identità perché ciò che conta è l'insegnamento sapienziale che lui vuole comunicare.
"Parole" è un termine generale che vuole indicare tutti gli insegnamenti che lui darà.
"Figlio di Davide, re di Gerusalemme" il personaggio in questione è stato identificato con Salomone il re sapiente per eccellenza. L'opera è stata scritta più tardi dell'epoca salomonica, la lingua e i problemi descritti sono di epoca successiva. Tutti sapevano che non era Salomone l'autore, ma attribuire un testo ad un autore antico e riconosciuto da tutti saggio era un modo per dare autorevolezza allo scritto e per dire che conteneva gli insegnamenti che provenivano da lui.

v.2 La parola "vanità" è il termine più amato da Qoelet e significa soffio, nebbia leggera che svanisce velocemente e non lascia segno, qualcosa che fugge. L'espressione assume anche il senso di "assurdità" in quanto si crea una situazione che l'individuo non sa orientarsi. Vanità delle vanità, cioè vanità immensa.

v.3 Quale guadagno esiste ad essere uomini? Che utilità esiste ad essere uomini? Le espressioni 'fatica ed affanno' indicano il lavoro nel suo complesso con tutta la fatica che comporta durante il giorno 'sotto il sole', infatti di notte non si lavorava.

Nei versetti 2-3 l'autore il tema di tutta l'opera: c'è qualcosa di bene per l'uomo nella vita? Quale utilità c'è per l'uomo nella vita?

v.4 La storia è fatta dal succedersi di tante generazioni, sempre nuove, ma in mezzo al mutare degli eventi, la terra con i suoi abitanti e le loro vicende sono sempre immobili. Tutto sulla terra si muove ma essa non cambia mai; le generazioni passano ma la storia resta sempre la stessa.

v.5 Come è immobile la terra così è immobile il ciclo del sole.

vv. 6-7 Esempi di immobilità e di staticità.

v. 8 La Parola è limitata così come lo è la vista e l'udito

v. 9 C'è un ritmo di vita immutabile che si sussegue nel tempo senza novità.

v. 10 Non c'è nulla di nuovo e tutto si ripete

v. 11 Anche delle persone non ci sarà nessun ricordo.

In questi versetti l'autore esprime alcuni capisaldi del suo pensiero. Ciò che si muove è come se fosse fermo perché non uscirà mai dall'ordine impresso dalla natura. Pertanto tutto ciò che l'uomo compie sarà sempre dentro i limiti dell'umano. Tutto ciò che c'è è sempre stato e sempre sarà. La conoscenza per Qoelet è sempre frutto di esperienza (cfr. 2,3) e l'esperienza è sempre limitata. Però egli non è pessimista perché l'uomo nella natura è in grado di conoscerne le leggi ed è consapevole di conoscerne solo una parte.

Per noi:
- Invito ad essere consapevoli dei nostri limiti e non considerarci onnipotenti.
- Il creato la natura va rispettata e non stravolta.
- È opportuno esercitare sempre la coscienza critica su noi stessi e le nostre attività chiedendoci se è utile per noi e per l'umanità ciò che facciamo

Lectio divina sul Libro di Qoelet - 2

2 Qoelet (qhlt) – Ecclesiaste

1, 12Io, Qoèlet, fui re d'Israele a Gerusalemme. 13Mi sono proposto di ricercare ed esplorare con saggezza tutto ciò che si fa (è stato fatto) sotto il cielo. Questa è un'occupazione gravosa (brutta) che Dio ha dato agli uomini, perché vi si affatichino. 14Ho visto tutte le opere che si fanno sotto il sole, ed ecco: tutto è vanità e un correre dietro al vento.
15Ciò che è storto non si può raddrizzare
e quel che manca non si può contare.

16Pensavo e dicevo fra me: "Ecco, io sono cresciuto e avanzato in sapienza più di quanti regnarono prima di me a Gerusalemme. La mia mente ha curato molto la sapienza e la scienza". 17Ho deciso allora di conoscere la sapienza e la scienza, come anche la stoltezza e la follia, e ho capito che anche questo è un correre dietro al vento. 18Infatti:
molta sapienza, molto affanno;
chi accresce il sapere aumenta il dolore.

v. 12 Qoelet, che si definisce re d'Israele (è stato e lo è ancora?) e la tradizione lo ha identificato con Salomone, parla con la saggezza che gli deriva dall'aver già percorso il cammino dell'esperienza, senza la quale, per lui, non c'è alcuna conoscenza. "Fui re" nel senso non dopo la vita, ma dopo l'esperienza fatta.

v. 13 Qoelet insiste che egli ha indagato sul reale in modo personale con la sapienza-saggezza. Questo atteggiamento di Qoelet rivela il legame dell'autore con la mentalità greca di ricerca e di studio della realtà. Che cosa è la sapienza? È una facoltà umana attraverso la quale si compie un'indagine, una ricerca di qualsiasi tipo. Essa sembra anche indicare tutte le facoltà umane intellettive che corrispondono alla nostra "ragione", ma con un'area semantica più grande perché include anche la capacità di destreggiarsi nella vita e fare le scelte giuste (discernimento?). Egli quindi si è interessato di tutto ciò che avviene sotto il cielo. "Ciò che è stato fatto" rimanda a Dio creatore.
"E' una occupazione gravosa (brutta)" ricercare perché (cfr. v.17) la presa di coscienza del reale non serve ad aumentare la gioia, ma il dolore. La facoltà di conoscere è attribuita a Dio. Quindi Dio ha creato l'uomo e la donna "per conoscere", ma questo non è una gioia ma un dolore. Qui emerge subito un primo elemento dell'idea di Dio di Qoelet: è il creatore. Egli dona la sapienza perché le persone se ne occupino (gravosa?) con la ricerca. Tutta l'opera dell'uomo si esercita su ciò che Dio ha creato, perché l'uomo deve curarsene per tutta la vita. L'opera dell'uomo si esercita sull'opera di Dio e la presuppone. Dio e l'uomo sono all'opera nel mondo. La loro attività si incrociano, si incontrano e si scontrano. Spesso Qoelet ritorna su questo tema.

v. 14 La ricerca di Qoelet e la sua esperienza lo portano a concludere che tutto è vanità e tutto è un lavoro senza senso.

v. 15 Vengono ora elencati degli elementi che in natura si trovano storti e che l'uomo non può raddrizzare o delle carenze che non si possono colmare. Le leggi della natura sono immodificabili anche se per l'uomo sono gravi da sopportare. "Non si può contare" nel senso che non tutto ciò che esiste può essere sperimentato e conosciuto. Di conseguenza la possibilità di sperimentare ha un limite e quindi anche la conoscenza è limitata.

v. 16-18 L'autore esterna delle sue riflessioni elaborate. Inizia constatando che il suo impegno l'ha reso superiore ai suoi predecessori e la sua mente ha guadagnato in sapienza e scienza. Era l'obiettivo del saggio conoscere tutti gli aspetti della realtà. Questa era la sapienza tradizionale che includeva anche la scienza cioè ricercare l'opera di Dio nella creazione per raggiungere la sapienza. Egli però vuole andare oltre e sperimentare ed indagare anche ciò che era considerato pericoloso e cioè stolto e folle. Che cosa era stolto e folle? Acquistare case, vigne, ville, giardini, servi e serve, tutto ciò che era desiderabile e non rinunciare a nulla. Infatti "chi è veloce a diventare ricco non sarà senza colpa" dice Proverbi 28,20. Tutto questo esercizio è molto stressante e al limite delle capacità umane. Il saggio cerca di mettere distanza dalla sapienza e dalla stoltezza ma anche questo è vanità. La tensione degli opposti tenuti insieme, senza rifiutare l'uno o l'altro è un lavoro pesante e inutile. La conclusione però sembra amara in quanto il risultato della sua ricerca l'ha portato a concludere che sperimentare e ricercare è una occupazione assurda. Infatti "dove c'è molta sapienza c'è molta tristezza (affanno) e aumentando la scienza si aumenta il dolore". Il pensiero comune ritiene che aumentando l'impegno e lo sforzo di conoscere ci sia un guadagno. Invece diminuisce la gioia anche spiritualmente e questo è assurdo. Qui resta non chiarito in che cosa consista il dolore. Esso probabilmente è da identificarsi nella conseguenza immediata della presa di coscienza del reale che si rivela assurdo e vano: tanto più l'uomo è sapiente, e più sa che il mondo è cosa vana, senza nessuna utilità o guadagno possibile per l'uomo. È la sofferenza che deriva dal tenere insieme le cose, dal fallimento di questa operazione e dalla inutilità di tutto questo.

- Ritorna l'affermazione che la conoscenza vera arriva dopo l'esperienza
- Tutto ciò che esiste rimanda a Dio e l'uomo deve scoprire le sue leggi
- Il lavoro è impegnativo, stressante e a volte senza risultati
- Non si raggiunge nessun obiettivo senza impegno e dolore

La vita
Cerchiamo ora di interagire col testo biblico e chiediamoci:
- Quale parte del vangelo letto e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con l'insegnamento di Gesù?
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è qualcosa di urgente a cui io posso contribuire per un miglioramento evangelico della realtà?

Lectio divina sul Libro di Qoelet - 3

3 Qoelet (qhlt) – Ecclesiaste

Questo brano presenta una serie di esperienze di vita fatte da Qoelet per ercare di raggiungere un "guadagno".

2, 1Io dicevo fra me: "Vieni, dunque, voglio metterti alla prova con la gioia. Gusta il piacere!". Ma ecco, anche questo è vanità. 2Del riso ho detto: "Follia!" e della gioia: "A che giova?".
3Ho voluto fare un'esperienza: allietare il mio corpo con il vino e così afferrare la follia, pur dedicandomi con la mente alla sapienza. Volevo scoprire se c'è qualche bene per gli uomini che essi possano realizzare sotto il cielo durante i pochi giorni della loro vita. 4Ho intrapreso grandi opere, mi sono fabbricato case, mi sono piantato vigneti. 5Mi sono fatto parchi e giardini e vi ho piantato alberi da frutto d'ogni specie; 6mi sono fatto vasche per irrigare con l'acqua quelle piantagioni in crescita. 7Ho acquistato schiavi e schiave e altri ne ho avuti nati in casa; ho posseduto anche armenti e greggi in gran numero, più di tutti i miei predecessori a Gerusalemme. 8Ho accumulato per me anche argento e oro, ricchezze di re e di province. Mi sono procurato cantori e cantatrici, insieme con molte donne, delizie degli uomini. 9Sono divenuto più ricco e più potente di tutti i miei predecessori a Gerusalemme, pur conservando la mia sapienza. 10Non ho negato ai miei occhi nulla di ciò che bramavano, né ho rifiutato alcuna soddisfazione al mio cuore, che godeva d'ogni mia fatica: questa è stata la parte che ho ricavato da tutte le mie fatiche. 11Ho considerato tutte le opere fatte dalle mie mani e tutta la fatica che avevo affrontato per realizzarle. Ed ecco: tutto è vanità e un correre dietro al vento. Non c'è alcun guadagno sotto il sole.
12Ho considerato che cos'è la sapienza, la stoltezza e la follia: "Che cosa farà il successore del re? Quello che hanno fatto prima di lui".

v. 1 Qoelet, siccome la sapienza non produce vantaggio all'uomo anzi dolore, decide di darsi alla vita spensierata percorrendo diverse esperienze che dovrebbero produrre gioia, allegria e piaceri. Già nel primo versetto l'autore conclude che anche questo percorso è vanità.

v. 2 Ora vengono analizzate alcune esperienze che dovrebbero portare gioia e piacere. Si parte considerando (il "ridere") il "piacere", che di per sé è conseguenza di un'altra azione che qui non è descritta. Il piacere sembra per Qoelet stolto e quindi privo intrinsecamente di valore, perché la stoltezza vale meno della sapienza come la tenebra vale meno della luce. Nessuna utilità nemmeno nell'allegria e nel riso. Forse l'autore intende con "allegria" un significato negativo e con "gioia" un significato positivo. Quindi "riso=allegria" indica spensieratezza stolta e non porta valore. Ma anche la gioia forse non serve a nulla.

v. 3 Questo secondo tipo di scelta è sulla stessa linea della precedente e va ancora più a fondo su ciò che è da dimenticare e folle. Qui l'autore mette insieme esperienze al limite del lecito e la ricerca della sapienza (che in questo caso sarebbe meglio tradurre con felicità). La ricerca della felicità è opposta alla ricerca della sapienza. Però egli vuole provare anche questa esperienza in quanto è tutto così assurdo in questo mondo che si può provare anche questo percorso.

v. 4-5 Inizia qui la descrizione di una nuova esperienza, un'attività creativa. Egli racconta tutto ciò che ha fatto di grande e di importante.

v. 7 Un'altra esperienza viene descritta che consiste nel possedere persone al proprio servizio, e tutti i piaceri che questo può portare. Una ricchezza veramente sovrabbondante che si manifesta negli armenti e nei greggi. Pensa che con tutto questo egli possa allietare la vita. Il riferimento qui è a Salomone che fu grande e lui lo è di più di tutti i suoi predecessori.

v. 8 Egli ammassa ricchezze di ogni genere di preziosi e di territori con tesosi di re vinti in guerra. Si procura cantori e cantore e tante donne (principesse).

v. 9 egli si autoincensa e sottolinea la sua ricchezza e potenza. L'acquisto dei beni e della potenza non era fine a se stesso, ma tutto serviva per trovare il bene per sé, per l'uomo e per il popolo? In tutto questo sperimentare la sapienza lo accompagnava sempre ed era in funzione della sapienza che egli realizzava tutto questo.

v. 10 Qoelet ripete che ha voluto provare tutto ciò che l'animo umano può desiderare. Egli ha riscontrato qualche guadagno e qualche felicità nel suo lavoro. Nella vita esiste qualcosa che vale e cioè la soddisfazione di fare e di provare se stesso nelle varie attività e nelle varie esperienze. Da queste attività dice Qoelet devono essere escluse riso e allegria che non recano alcun giovamento. L'agire con successo produce soddisfazione e considera positivo le esperienze creative e di possesso con tutti i tipi di piacere che producono.

v. 11 Dopo aver detto che c'è un guadagno per l'uomo, afferma che l'agire umano è senza senso e che tutto è vano. La soddisfazione del successo esiste, ma questa ha valore? La risposta è negativa e poi spiega ne versetto seguente il perché.

v. 12 Qoelet deve risolvere il valore della soddisfazione. Per risolverlo si domanda che cosa farà il suo successore. Per rispondere allarga lo sguardo e considera gli uomini che agiscono. E la dolorosa conclusione è che anche in futuro, come è avvenuto in passato, gli uomini faranno come si è comportato lui. L'uomo nelle esperienze non riesce a fare un salto di qualità. Il fatto che tutti si comportano allo stesso modo toglie importanza alla sua soddisfazione perché tutti fanno così anche i posteri. Quindi la sua soddisfazione non ha più senso.

- Qoelet e la sapienza greca, la filosofia greca che non possiamo ignorare.

- Il piacere e la gioia possono essere realtà effimere che non lasciano nulla. Pensiamo alla nostra cultura nella quale noi siamo completamente immersi.

- È bene fare tante esperienze ma occorre avere un fine un obiettivo da raggiungere.

- Essere in mezzo agli altri ci fa perdere la nostra identità e diventiamo gregge.

Lectio Divina XXXII Domenica T.O.- A

LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 12 novembre 2023 – XXII Domenica del Tempo Ordinario A

L'olio che illumina

Sapienza 6, 12-16 . Salmo 62 . 1 Tessalonicesi 4, 13-18 . Matteo 25, 1-13

Lettura
Dopo il conflitto sostenuto con i capi religiosi, acutizzatosi nel capitolo ventitreesimo con la severa denuncia di Gesù contro i farisei, Matteo riporta il discorso finale del maestro rivolto ai discepoli e alle folle. Esso si articola nei capitoli ventiquattro e venticinque del vangelo. In un primo momento Gesù annuncia la venuta del Figlio dell'uomo e con la parabola dei due servi, il fedele e l'infedele, presenta il primo atteggiamento con cui bisogna predisporsi alla sua venuta. Abbiamo poi la parabola proposta dalla liturgia odierna.

Mt 25, 1-13
1Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. 2Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; 3le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l'olio; 4le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l'olio in piccoli vasi. 5Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. 6A mezzanotte si alzò un grido: "Ecco lo sposo! Andategli incontro!". 7Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. 8Le stolte dissero alle sagge: "Dateci un po' del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono". 9Le sagge risposero: "No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene". 10Ora, mentre quelle andavano a comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. 11Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: "Signore, signore, aprici!". 12Ma egli rispose: "In verità io vi dico: non vi conosco". 13Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora.

Commento
Il racconto inizia paragonando il regno dei cieli all'esperienza vissuta da dieci ragazze che partecipano ad una festa di nozze. È la festa della venuta definitiva del Figlio di Dio e partecipare ad essa è veramente una gioia grande. Il racconto continua sviluppandosi in tre momenti: la preparazione delle lampade e l'attesa dello sposo (25, 3-5), l'arrivo dello sposo (25, 6-9), l'inizio della festa di nozze (25, 10-12). La conclusione invita a vegliare perché non si conosce né il giorno né l'ora in cui arriva lo sposo. Questa esortazione finale produce effetto se si collega al secondo versetto, dove si dice che le ragazze si dividono in due gruppi: "cinque di esse erano stolte e cinque sagge". La saggezza o la stoltezza delle ragazze è determinata dall'avere o no con sé olio sufficiente fino alla venuta dello sposo. La negligenza delle ragazze stolte è anche fonte di discussione all'interno del gruppo ("dateci del vostro olio..., no, che non abbia a mancare per noi e per voi") e determina la loro esclusione definitiva dalla festa di nozze ("più tardi arrivarono anche le altre vergini e cominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco"). Vegliare, allora, significa avere con sé l'olio che permette alla lampada di restare sempre accesa e quindi poter accogliere prontamente lo sposo quando arriva.

L'incontro definitivo con Gesù Cristo, che realizza pienamente il regno dei cieli, è una festa. Tale avvenimento non va solo atteso o ricercato, ma è necessario prepararlo con assiduità. Chi non si prepara, non può rimediare all'ultimo momento alla sua negligenza. Ci si prepara adeguatamente all'incontro col Signore, vivendo con fedeltà la volontà del Padre che Gesù ci ha fatto conoscere. La volontà del Padre riusciamo a conoscerla e a viverla se quotidianamente ci alimentiamo alla mensa della Parola. Solo così l'olio non verrà mai a mancare nella vita del cristiano. La sua lampada risplenderà sempre davanti agli uomini; essi vedranno le opere buone e daranno gloria al Padre, e l'incontro definitivo con lui sarà così veramente una festa.

COLLEGAMENTO FRA LE LETTURE
Il tema dell'attesa della venuta del Signore collega le letture di questa domenica. L'evangelista Matteo, con la parabola delle dieci vergini, che partecipano alla festa di nozze, invita i sui lettori a prepararsi adeguatamente ad accogliere il Signore, tenendo sempre abbondante nella propria vita l'olio della volontà del Padre, accolta e vissuta. Questa necessità è indicata anche nella prima lettura col tema della "sapienza". Essa può essere identificata con la volontà del Padre, rivelata a noi per mezzo di Gesù Cristo. Chi di buon mattino si leva per ricercarla "non faticherà, la troverà seduta alla sua porta". Il testo dice anche "che essa medesima va in cerca di quanti sono degni di lei, appare loro ben disposta per le strade, va loro incontro con ogni benevolenza". La Lettera di Paolo ai tessalonicesi invita i cristiani di quella comunità a non rattristarsi per la morte di alcuni fratelli. Egli afferma con autorevolezza: "noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù Cristo insieme con lui". La morte non deve far paura, perché i credenti vivono nell'attesa della venuta del Signore. La speranza di incontrare il Signore e di partecipare dei sui doni dovrebbe azzerare tutta la negatività della morte e dovrebbe essere fonte di conforto e di consolazione.

La vita
(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)

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