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Lectio Divina XXIII Domenica T.O.- A

LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 10 settembre 2024 – XXIII Domenica del Tempo Ordinario A

Chiesa riconciliata e orante
Ezechiele 33,7-9 . Salmo 94 . Romani 13,8-10 . Matteo 18,15-20

Lettura
Il capitolo diciottesimo contiene le regole date da Gesù per la vita interna della comunità. Egli affronta alcune questioni nodali: chi sono "i più grandi" nella comunità, quale comportamento si deve avere nei confronti dei piccoli di età e di stato sociale, come vivere la pratica del perdono. Il nostro testo è costituito da una serie di sentenze sulla riconciliazione fraterna; esso segue immediatamente la parabola del pastore che cerca la pecora smarrita.

Mt 18, 15-20
15Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. 18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d'accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro.

Commento
Il brano si divide in due parti. In 18,15-17 abbiamo una regola disciplinare, seguita dalle sue motivazioni teologiche presentate in 18,18-20. La regola di comportamento nei confronti del fratello che pecca prevede tre istanze successive e progressive. Dapprima la questione va risolta a livello personale: "va e ammoniscilo fra te e lui solo". Se il primo intervento non produce affetti di riconciliazione, è necessario avvicinare chi pecca con "una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni". Infine, se la persona persevera nel suo errore, sia coinvolta tutta la comunità la quale deve mettere in atto tutte le strategie necessarie per recuperare il fratello peccatore. Se ciò non si realizza, il componente della comunità, che da essa si è separato col peccato, è da considerarsi non escluso o emarginato, ma ancora come un pagano, il quale ha bisogno di intraprendere nuovamente un cammino di conversione. Per quale peccato è necessario attuare questa procedura? È difficile identificare concretamente la tipologia di peccato in questione. Dal contesto del capitolo si può però sicuramente ricavare che si tratta di un comportamento a danno della comunità o di un suo componente. Chi è chiamato a mettere in atto questa procedura nei confronti del peccatore? Ogni discepolo è invitato da Gesù a svolgere con autorità nella comunità questo ministero di riconciliazione, sull'esempio del Padre celeste che ricerca e recupera tutti i fratelli persi. Egli deve servirsi del dialogo fraterno per ricostruire i rapporti con i fratelli separatisi dalla comunità col peccato. Infine nella comunità alcuni fratelli, tramite un ministero specifico ad essi conferito, hanno il compito di riconoscere la conversione avvenuta e di riammettere il peccatore a pieno titolo nella comunità. Il v. 19 può essere letto allora in due modi. Prima di tutto al Padre va chiesto continuamente e soprattutto l'accordo fraterno nella comunità. Tale richiesta è sicuramente concessa dal Padre. Occorre poi chiedere di vigilare perché al Padre non può essere innalzata una preghiera significativa ed efficace se non si è uniti e se persistono fratture nella fraternità. La ragione profonda dell'unità nella comunità è data dall'ultimo versetto. I fratelli riuniti nel nome del Signore Gesù costituiscono la Chiesa, luogo dove Cristo è presente e si realizza l'incontro salvifico col Padre: "dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro".

La comunità radunata insieme è il luogo dove è presente il Signore e dove lo si incontra risorto. Non è comunità autentica se in essa vi sono persone compromesse col peccato, cioè che si sono allontanate dalla volontà del Padre o che hanno rotto i rapporti fraterni di amore reciproco. Per questo ognuno è chiamato a vigilare per non cadere nel peccato e ad attivarsi per ricondurre a riconciliazione chi si è allontanato dal progetto di Dio rivelatoci da Gesù Cristo.

COLLEGAMENTO FRA LE LETTURE
I temi della presenza del Signore nella sua comunità e della responsabilità dei discepoli nel portare a conversione chi sbaglia intersecano le letture odierne. Nella prima lettura il profeta Ezechiele é posto in mezzo al popolo di Dio per trasmettere la sua parola e per essere "sentinella per gli israeliti". La sentinella deve prestare attenzione a quanto gli dice il Signore e nello stesso tempo deve vigilare sulla comunità degli israeliti perché non si allontanino dal loro Dio, che vive con loro. Questo compito Gesù lo affida nel vangelo ad ogni discepolo. Tutti i cristiani sono invitati ad attivarsi, perché chi ha sbagliato possa ritornare nella comunità oppure ricostruire la comunione con essa. Solo così la preghiera dell'assemblea, radunata nel nome del Signore, avrà significato ed efficacia. Nella lettera ai Romani Paolo traccia in sintesi quale deve essere la scelta e l'atteggiamento di fondo che impediscono di cadere nel peccato e quindi nella separazione dalla comunità: "Amerai il prossimo tuo come te stesso. L'amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l'amore".

La vita
(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)

Lectio Divina XXIV Domenica T.O.- A

LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 17 settembre 2023 – XXIV Domenica del Tempo Ordinario A

Perdonare col cuore del Padre
Siracide 27, 33-28,9 . Salmo 102 . Romani 14, 7-9 . Matteo 18, 21-35

Lettura
La liturgia propone oggi un altro passo del capitolo diciottesimo del vangelo di san Matteo. Dopo aver presentato chi è il più grande nella comunità, la correzione fraterna e la preghiera in comune, ora Gesù affronta la questione del perdono.

Mt 18, 21-35
21Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: "Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?". 22E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. 23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa". 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. 28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: "Restituisci quello che devi!". 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò". 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. 31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: "Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?". 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello".

Commento
Il brano si apre con un quesito posto da Pietro: Signore quante volte dovrò perdonare a mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?. Egli pensa, probabilmente, di ricevere l'approvazione di Gesù per le parole dette in quanto, ponendo il limite del perdono a sette volte, indica una misura che supera grandemente quella prevista dalla prassi raccomandata dai rabbini. Costoro invitano, infatti, a dare il perdono per tre volte. La risposta di Gesù si pone completamente su di un altro livello e dice: "non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette". Egli insegna così a perdonare sempre, secondo lo stile di Dio. Il lungo racconto parabolico che segue allarga la risposta data a Pietro e serve ad illustrare meglio la prospettiva del perdono insegnata da Gesù. La parabola inizia con una frase d'apertura che presenta la ragione da cui si sviluppa poi tutta la vicenda: "un re che volle fare i conti con i suoi servi". La scena si sviluppa in tre momenti. Dapprima si ha la presentazione del padrone che incontra il primo servo (18, 24-27). Costui, che gli è debitore di "diecimila talenti" (un talento corrispondeva circa a 300.000 euro), dopo aver supplicato il padrone, ottiene il condono del debito. Poi è descritto l'incontro del servo condonato con un suo collega che gli deve "cento denari" (18, 28-30) (un denaro corrispondeva circa a 50 euro). Anche costui implora il collega per ottenere comprensione e per poter rimandare la scadenza fissata per pagare il debito. Egli però non viene esaudito. È arrestato e messo in carcere fino a quando non ha pagato il debito. L'ultimo momento (18, 31-34) presenta il padrone che, informato dagli altri servi sull'accaduto, chiama l'uomo a cui aveva condonato il debito. Rimprovera severamente il servo perché non ha avuto pietà del collega, ritira il condono concesso e lo condanna alla stessa sorte da lui inflitta al suo collega. La conclusione (18, 35) si collega alla domanda di Pietro e suggella l'insegnamento dato da Gesù: "Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore ciascuno al proprio fratello".

Il perdono è un'altra caratteristica che qualifica la vita della comunità cristiana. Gesù infatti insegna ai suoi il perdono fraterno senza misura. Il perdono tra i cristiani nasce dal perdono gratuito ed insperato ricevuto da Dio Padre e fattoci conoscere da Gesù Cristo. Occorre vigilare perché nel giudizio ultimo la prassi della misericordia, esercitata nella forma del perdono fraterno, occuperà un posto decisivo.

COLLEGAMENTO FRA LE LETTURE
Il tema che collega le letture odierne è il perdono di Dio, fonte e criterio del perdono tra gli esseri umani. Nella prima lettura, il testo del Siracide vuole inculcare nei giovani la fedeltà alla religione dei padri e l'arte di vivere bene. Per questo inizia presentando il tema: "Il rancore e l'ira sono un abominio, il peccatore li possiede". È il peccatore o lo stolto colui che cede sotto l'impulso dell'ira e del rancore, che portano poi alla vendetta. Inoltre il peccatore, che si vendica dei torti ricevuti non può chiedere ed ottenere il perdono dei suoi peccati davanti a Dio. Anche la preghiera e la guarigione sono esperienze significative davanti a Dio per il credente se sono supportate dalla misericordia e dal perdono verso i suoi simili. Il passo del vangelo riporta le parole di Gesù, che rivela il perdono del Padre. Infatti egli, in obbedienza al Padre, insegna ai sui amici a perdonare sempre, perché il Padre si comporta così. Paolo nella Lettera ai Romani presenta la motivazione del perdono: "nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso... sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore". Per questo allora nella comunità nessuno può considerarsi padrone di un altro, erigendosi a giudice del suo modo di vivere e agire.

La vita
(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
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Lectio Divina XXV Domenica T.O.- A

LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 24 settembre 2023 – XXV Domenica del Tempo Ordinario A

Gli ultimi saranno primi
Isaia 55, 6-9 . Salmo 144 . Filippesi 1, 20c-27 . Matteo 20, 1-16

Lettura
Dopo il discorso sulla vita interna della comunità, san Matteo inserisce diversi brani sul vero discepolo. Costui, per essere veramente tale, come un bambino è chiamato a rifiutare qualsiasi accomodamento o compromesso e ad essere coerente fino in fondo. Non è possibile vantarsi di aver sempre osservato i comandamenti e poi essere attaccati alle proprie ricchezze, da non saperci rinunciare per amore di Gesù Cristo.

Mt 20, 1-16
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: "Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò". Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: "Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?". Gli risposero: "Perché nessuno ci ha presi a giornata". Ed egli disse loro: "Andate anche voi nella vigna".
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: "Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi". Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: "Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo".
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: "Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?". Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Commento
Il racconto parabolico di questa domenica si struttura in due momenti successivi: Il padrone della vigna assume operai (20, 1-7) e la paga data ad essi dall'amministratore con una discussione chiarificatrice (20, 8-15). La vicenda si sviluppa attorno ad un viticoltore che per l'intera giornata assume operai a lavorare nella sua vigna. La simbologia della vigna ritorna frequentemente nella tradizione ebraica per denunciare la storia delle infedeltà di Israele, la vite-vigna, che ha tradito gli impegni di fedeltà all'alleanza col suo Dio. Colpisce nel racconto il fatto che tutti sono chiamati a lavorare nella vigna, anche quelli incontrati all'ultima ora e che nessuno aveva preso a giornata. La seconda parte della parabola tratta della paga consegnata agli operai. Soltanto con i primi il padrone ha stipulato un contratto chiaro e preciso (un denaro è la paga giornaliera di un operaio e corrispondeva a 50 euro odierni), agli altri invece promette di dare a tutti il giusto. Sorprende notevolmente il comportamento del fattore che, eseguendo le indicazioni ricevute dal padrone, consegna a tutti gli operai un denaro come ricompensa della giornata. È sicuramente grande la gioia e lo stupore degli ultimi arrivati per la retribuzione ricevuta, mentre i primi, che hanno lavorato tutto il giorno, restano profondamente delusi. Essi, che si aspettano molto di più, in base a quanto dato agli ultimi e in rapporto alle loro ore di lavoro, mormorano contro il padrone. La risposta del padrone risolve la questione. Egli, con i primi assunti, ha rispettato il patto stipulato e con gli altri ha usato del suo denaro per compiere un gesto di magnanimità e di generosità. Dal racconto emerge con chiarezza un modo diverso di intendere la giustizia da parte degli uomini e da parte di Dio. La sentenza finale chiude il racconto e collega agli ascoltatori la parabola: "gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi".

È facile per tutti, nella comunità cristiana, pensare di avere dei diritti o dei privilegi, perché da tempo si cerca di seguire il Signore. A noi piace anche creare graduatorie e gruppi di merito proprio nella stessa comunità. Gesù insegna invece uno stile diverso di comportamento, che nasce da Dio stesso e che ha nell'amore gratuito e generoso, che dona e fa credito anche a chi non ha diritti, il suo principio ispiratore. Gli ultimi arrivati possono prendere il posto dei primi; quelli considerati ultimi, i piccoli tra i fratelli, nella prospettiva di Dio saranno i primi.

La vita
(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
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- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
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Lectio Divina XXII Domenica T.O.- A

LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 3 settembre 2023 – XXIII Domenica del Tempo Ordinario

Discepoli di Cristo morto e risorto
Geremia 20, 7-9 Salmo 62 Romani 12, 1-2 Matteo 16, 21-27

Lettura
Continua il dialogo tra Gesù ed i discepoli. Tra questi emerge la figura di Pietro come loro rappresentante e portavoce, come abbiamo visto domenica scorsa. Nel brano odierno si intensifica la rivelazione di Gesù ai discepoli e troviamo anche reazioni impensate da parte loro.

Mt 16, 21-27
21Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. 22Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: "Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai". 23Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: "Va' dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!".
24Allora Gesù disse ai suoi discepoli: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 27Perché il Figlio dell'uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni.

Commento
Gesù comunica ai discepoli il suo destino di sofferenza e di morte che lo attende a Gerusalemme ad opera dei notabili, degli alti funzionari del tempio e degli scribi. Egli annuncia anche che, dopo la morte, risorgerà "il terzo giorno". Abbiamo poi la reazione immediata e profondamente umana di Pietro alle parole di Gesù. Egli, che aveva intravisto in Gesù l'opera potente dell'Inviato di Dio, non può accettare che tutto finisca in una bolla di sapone, per questo, dopo aver protestato con rimproveri dice: "Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai". Alla reazione unilaterale di Pietro, che non tiene conto dell'annuncio della resurrezione, fa seguito la risposta dura e severa di Gesù. Pietro, che poco prima è stato definito da Gesù "roccia" e fondamento della comunità, ora è respinto come pietra d'inciampo ("tu mi sei di scandalo"); lui che prima è stato beatificato da Gesù ora è considerato "satana" e avversario. Per questo non può dare alcun consiglio al maestro. La ragione della "caduta" di Pietro è indicata dallo stesso Gesù: "non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini". Col suo intervento Pietro si mostra estraneo ed ostile al progetto di Dio e alla sua volontà, che Gesù vuole realizzare. Infine abbiamo l'istruzione di Gesù ai discepoli sulla sequela. Costoro, se vogliono seguire il maestro, devono essere disposti a percorrere la sua stessa strada, che si caratterizza nel rinnegare sé stessi, nel prendere la croce e nel perdere la vita. "Rinnegare sé stessi" significa essere disposti a rinunciare ad una certa identità personale o sociale che gratifichi e permetta di "contare". "Prendere la croce" vuol dire essere disposti ad identificarsi col condannato alla morte più infame e degradante, riservata alle persone più pericolose. "Perdere la vita" significa mettere in conto, nella propria esistenza, anche la possibilità concreta della morte violenta. Tutto questo va accolto e vissuto per Gesù e per il vangelo. È la venuta gloriosa del Figlio dell'uomo che renderà giustizia ai discepoli e darà "a ciascuno secondo le sue azioni".

I discepoli non riescono a capire il destino doloroso e fallimentare del loro maestro. Essi infatti hanno sempre nostalgie trionfalistiche e di potenza temporale. La questione si complica ulteriormente quando Gesù coinvolge, in tutti gli aspetti della sua vita, anche i discepoli, che sono pure chiamati a portare la croce. Il discorso sfocia in una soluzione positiva se si cerca di affrontare l'esperienza del discepolato non alla maniera umana, come ha fatto Pietro, ma affidandosi alla volontà del Padre, rivelata da Gesù. Il discepolo, perseverante nelle prove che gli capitano nel cammino della vita, vive la solidarietà effettiva col maestro crocefisso ed attende con speranza la venuta "del Figlio dell'uomo nella gloria del Padre", per accedere con lui alla gloria eterna della resurrezione.

COLLEGAMENTO FRA LE LETTURE
La difficoltà di coniugare la chiamata di Dio e le realtà umane, in cui essa deve realizzarsi, sembra unificare le letture di questa domenica. La prima lettura, presa dalle "confessioni" di Geremia, presenta da un lato il rapporto appassionato e coinvolgente vissuto dal profeta col suo Dio ("mia hai sedotto, Signore, ed io mi sono lasciato sedurre") e dall'altro le difficoltà che tale esperienza genera nei confronti degli altri e di se stessi: "ognuno si fa beffe di me" e "non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome!". Ma l'esperienza vissuta con Dio non può essere dimenticata o abbandonata: "ma nel mio cuore c'era come un fuoco ardente...; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo". Anche il vangelo rivela la difficoltà dei discepoli di essere solidali col maestro nella sua esperienza della croce. Eppure "portare la croce" è la sintesi delle condizioni necessarie per seguire Gesù. La seconda lettura contiene alcune indicazioni per consolidare e mantenere stabile il rapporto con Dio: "non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente per poter discernere la volontà di Dio...". Paolo afferma anche che nella liturgia, celebrata dai credenti, si supera la distanza e l'apparente inconciliabilità che esiste tra il mistero di Dio ed il mistero dell'uomo.

La vita
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Lectio Divina XXI Domenica T.O.- A

LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 27 agosto 2023 – XXI Domenica del Tempo Ordinario A

Nel volere del Padre la gioia del servizio
Isaia 22, 19-23 . Salmo 137 . Romani 11, 33-36 . Matteo 16, 13-20

Lettura
Tra il discorso delle parabole, al capitolo tredicesimo, e quello successivo al capitolo diciottesimo, l'evangelista san Matteo ha raccolto una serie di episodi di conflitto e di rivelazione. Famosi sono il rifiuto degli abitanti di Nazaret, che non vogliono ascoltare Gesù, e le situazioni in cui egli prende un atteggiamento polemico nei confronti degli esponenti più significativi della religione giudaica, che fanno di essa un legalismo rituale più che un rapporto personale con Dio. Alcuni episodi attraverso i quali Gesù si fa conoscere sono la moltiplicazione dei pani, i miracoli di guarigione e la trasfigurazione. Nei quattro capitoli si delinea progressivamente il gruppo dei discepoli, tra i quali emerge sempre più la figura di Pietro. In questo contesto si colloca il brano odierno.

Mt 16, 13-20
13Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: "La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?". 14Risposero: "Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti". 15Disse loro: "Ma voi, chi dite che io sia?". 16Rispose Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". 17E Gesù gli disse: "Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli". 20Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

Commento
Il testo inizia con una nota di cornice che dà l'ambientazione geografica e presenta gli interlocutori: Gesù ed i discepoli a Cesarea di Filippo oggi Banias al nord della Galilea. Poi abbiamo la prima parte (Mt 16,13b-16) costituita dal dialogo tra Gesù ed i discepoli, stimolato da due sue domande. Alla prima ("la gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?") i discepoli rispondono coralmente, riportando i pareri popolari su Gesù: "alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti". Alla seconda domanda, rivolta a loro ("voi chi dite che io sia?") risponde a nome di tutti Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". Nella seconda parte del brano si incontrano le parole di Gesù rivolte a Pietro (Mt 16, 17-19). Dapprima Gesù proclama beato Pietro perché, attraverso la professione di fede espressa poco prima, manifesta di essere entrato nel rapporto privilegiato col Padre, che Gesù è venuto a realizzare per tutti i suoi discepoli. Poi Gesù delinea la missione futura di Pietro: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa...". Egli non solo è il primo ed il modello del discepolo, è anche il fondamento, la roccia sicura su cui nasce e si costruisce il nuovo popolo di Dio. Di esso fanno parte tutti coloro che, come Pietro, riconoscono Gesù come "Cristo, il Figlio del Dio vivente", che opera attivamente nella storia per la salvezza di tutti. Infine Gesù dà l'investitura solenne a Pietro: "a te darò le chiavi del regno dei cieli...". Il potere delle chiavi affidato a Pietro consiste nell'accogliere e vivere la volontà del Padre, rivelata da Gesù, affinché tutti gli uomini la possano conoscere e vivere a loro volta. L'ordine finale, dato da Gesù i discepoli, che chiude il brano, può sembrare in contrapposizione con quanto espresso fino a questo punto. Egli, infatti, invita i suoi a non dir nulla per ora. Soltanto dopo la sua Pasqua i discepoli riceveranno l'attrezzatura necessaria per realizzare quanto è avvenuto profeticamente a Cesarea di Filippo.

Si partecipa al regno dei cieli nella misura in cui si accoglie Cristo e la volontà del Padre, che lui è venuto a far conoscere. Non esistono altre possibilità, scorciatoie o raccomandazioni particolari. Chi si inoltra in questa "divina avventura" deve essere consapevole che per mezzo suo altri saranno chiamati a seguire Cristo e a conoscere la volontà del Padre. I frutti ci saranno se ciascuno sarà ben radicato nella comunità di Gesù Cristo, pur con tutti i limiti che essa può manifestare, perché solo lì c'è la certezza dell'opera potente di Cristo risorto.

COLLEGAMENTO FRA LE LETTURE
La liturgia della Parola di questa domenica inizia col testo di Isaia che, a nome di Dio, annuncia l'investitura di Eliakìm, al posto di Sebna, alla carica di sovrintendente del palazzo regale nel regno di Giuda, al tempo del re Ezechia. L'investitura di Eliakìm nel nuovo compito prevede nell'abbigliamento non solo la tunica e la sciarpa, che gli cinge la vita, ma anche che sulla spalla gli sia posta la chiave della casa di Davide. Questo segno gli conferisce l'autorità di aprire e chiudere, nella prospettiva della paternità, il rapporto con Dio per gli abitanti di Gerusalemme. Anche nel vangelo troviamo Gesù che con stile profetico annuncia a Pietro il suo nuovo compito nella chiesa e promette di dargli le chiavi del regno dei cieli. Queste diventano segno del sevizio scaturito dalla volontà del Padre, accolta e vissuta dal discepolo. La lettera ai Romani sottolinea il "mistero" cioè il segreto del progetto salvifico di Dio. Da un lato Dio è fedele alle sue promesse e dall'altro si assiste alle continue infedeltà dell'uomo. Per cui veramente occorre concludere dicendo: "O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!".

La vita
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