LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 8 maggio 2022, IV Domenica di Pasqua - Anno C
Il Padre e Gesù custodiscono il greggeAtti 13, 14.43-52 . Salmo 99 . Apocalisse 7, 9.14b-17 . Giovanni 10, 27-30
LetturaNella quarta domenica di pasqua tradizionalmente campeggia la figura di Gesù Cristo pastore buono delle pecore. Nel vangelo di Giovanni l'immagine ricorre due volte nello stesso capitolo, però con contesti diversi. In Gv 10, 1-21 Gesù, dopo aver partecipato a Gerusalemme alla festa dei Tabernacoli, dialogando con i suoi avversari, si presenta ovile e pastore delle pecore. L'icona di Gesù pastore buono ritorna anche in Gv 10, 26-30. Qui Gesù è a Gerusalemme nel Tempio, in occasione della festa annuale della dedicazione. La festa, chiamata in ebraico hanukkàh, ricorre in inverno e ricorda la vittoria dei Maccabei e la riconsacrazione dell'altare e del Tempio che erano stati profanati dai dominatori stranieri. In quella occasione, mentre Gesù passeggiava sotto il portico di Salomone, sorse un dibattito con i giudei che volevano da lui una chiarificazione sulla sua identità: "se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente". Nella risposta data egli riprende la figura del pastore, precedentemente illustrata, e che ora approfondiremo nel suo contenuto.
Gv 10, 27-3022Ricorreva allora a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. 23Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. 24Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: "Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente". 25Gesù rispose loro: "Ve l'ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. 26Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. 27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola".CommentoAbbiamo riportato il passo evangelico dal v. 22, mentre il testo liturgico inizia dal v. 27. Occorre sottolineare il v.26 che risulta di notevole importanza per cogliere le ragioni delle parole di Gesù ed il loro significato: "ma voi non credete, perché non fate parte delle mie pecore". Gesù sottolinea che i suoi interlocutori non hanno alcun rapporto con lui e quindi la fede è assente in loro. Essi infatti non avevano riconosciuto in lui il pastore, con tutte le implicanze messianiche che ciò comportava, per questo non ascoltavano la sua voce. Le pecore vere invece ascoltano la voce di Gesù, costruiscono con lui una relazione interpersonale di conoscenza significativa e seguono decisamente il pastore. È evidente che qui il gregge sta per la comunità di Gesù, la comunità dei suoi discepoli che dopo la sua morte e resurrezione si sviluppò nella prima comunità cristiana. Per i componenti della comunità, Gesù ha dato la sua vita e con tale dono li rende partecipi della vita eterna, della vita trinitaria, fin dall'ora presente. Poiché egli è il pastore buono e non un mercenario, vigilerà affinché le pecore non vadano perdute e nessuno possa strapparle dalla sua mano. A questo punto il discorso di Gesù si collega al Padre. Egli "è più grande di tutti", quindi anche di Gesù stesso, ed è stato lui a consegnare al Figlio il gregge. Nessuno quindi potrà rapire le pecore dalla mano del Padre, perché il suo amore copre i credenti come scudo di protezione. Il ministero di Gesù diventa espressione dell'interesse e dell'amore del Padre verso la comunità cristiana. Il brano si chiude con l'affermazione solenne: "Io e il Padre siamo una cosa sola".
Le parole di Gesù chiariscono che la fede del cristiano consiste nel creare un intenso rapporto interpersonale con lui, ascoltando le sue parole e seguendolo decisamente. Egli delinea anche il suo rapporto col Padre. La profonda unità esistente tra il Padre e Gesù è all'origine del suo ministero, è la fonte della vita trinitaria concessa ai credenti ed è la forza che impedisce di essere strappati al Padre a al Figlio.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREIl tema che percorre le tre letture è la pastoralità che scaturisce dalla risurrezione del Signore. Esso assume due aspetti. Il primo è la figura del pastore. Negli Atti Paolo e Barnaba sono gli annunciatori posti come luce delle genti, per portare la salvezza agli estremi confini del mondo. Nell'Apocalisse l'Agnello pastore è capace di guidare alle fonti dell'acqua della vita, perché è stato immolato. Gesù, nel vangelo, è presentato buon pastore perché custodisce le pecore che il Padre gli ha dato. Il secondo aspetto è la vita eterna come frutto di ogni pastoralità compiuta. Gesù dona la vita eterna alle pecore che ascoltano la sua voce e lo seguono, perché già donate a lui dal Padre. Destinati alla vita eterna, dice Atti, sono coloro che attraverso il ministero degli evangelizzatori, si aprono alla parola di Dio e abbracciano la fede. La vita eterna, nella sua dimensione escatologica, è già vissuta concretamente nella storia attraverso il passaggio faticoso per la grande tribolazione, lavando le vesti nel sangue dell'Agnello. Questa fedeltà del credente permette di essere inserito nel dialogo tra le persone divine.
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 1 maggio 2022, III Domenica di Pasqua - Anno C
L'amore obbediente feconda la missioneAtti 5, 27b-32.40b-41 . Salmo 29 . Apocalisse 5, 11-14 . Giovanni 21, 1-19
LetturaIl capitolo ventunesimo di Giovanni è sempre stato particolarmente studiato dagli esegeti a causa delle anomalie presentate, rispetto a tutta la narrazione nel suo insieme. Dopo la conclusione di Gv 20,30-31, il racconto riprende nuovamente. Le prime apparizioni del Risorto si ebbero a Gerusalemme (Gv 20) mentre Gv 21 presenta delle vicende che portano in Galilea, sulla riva del lago. Quando i discepoli tornarono lì? Perché vi giunsero? Molti problemi restano aperti al riguardo. Al termine del capitolo ritorna una nuova chiusura generale dell'opera. Gv 21 si suddivide in due parti principali con una conclusione (21,24-25). Nella prima parte (21,1-14) è descritta una apparizione di Gesù collegata ad una pesca miracolosa. Nella seconda parte (21,15-23) abbiamo delle parole di Gesù riguardanti Pietro e Giovanni. La liturgia propone la prima parte e della seconda il passo riferito a Pietro.
Gv 21, 1-191Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: 2si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. 3Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: "Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. 4Quando già era l'alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. 5Gesù disse loro: "Figlioli, non avete nulla da mangiare?". Gli risposero: "No". 6Allora egli disse loro: "Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. 7Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: "È il Signore!". Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. 8Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. 9Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. 10Disse loro Gesù: "Portate un po' del pesce che avete preso ora". 11Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. 12Gesù disse loro: "Venite a mangiare". E nessuno dei discepoli osava domandargli: "Chi sei?", perché sapevano bene che era il Signore. 13Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. 14Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. 15Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: "Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?". Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene". Gli disse: "Pasci i miei agnelli". 16Gli disse di nuovo, per la seconda volta: "Simone, figlio di Giovanni, mi ami?". Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene". Gli disse: "Pascola le mie pecore". 17Gli disse per la terza volta: "Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?". Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: "Mi vuoi bene?", e gli disse: "Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene". Gli rispose Gesù: "Pasci le mie pecore. 18In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi". 19Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: "Seguimi".CommentoIl racconto inizia presentando Gesù che sul lago di Tiberiade si manifestò ad alcuni discepoli. Costoro uscirono a pescare con Pietro, "ma in quella notte non presero nulla". Essi vissero un'esperienza poco incisiva e per nulla feconda: le reti infatti vennero recuperate vuote. All'alba si presentò Gesù sulla riva, ma non fu riconosciuto dai discepoli. Allora prese lui l'iniziativa di dialogare con loro, chiedendo qualcosa da mangiare. La risposta di Pietro e dei suoi compagni fu negativa; non avevano nulla da offrirgli. Forse in quel momento essi non solo avevano le reti vuote, ma erano anche senza speranza in quanto tutti i loro interessi erano soffocati dai piccoli problemi esistenziali. Furono ancora una volta le parole di Gesù a cambiare radicalmente la loro situazione. Anche se avevano concluso con un insuccesso la pesca, Gesù li invitò a gettare nuovamente le reti. Questa volta la pesca fu sovrabbondante al punto da non riuscire a tirar su la rete "per la grande quantità di pesci". La vita, il proprio servizio sociale ed ecclesiale diventano fecondi quando si realizzano non secondo i propri progetti ma in obbedienza fedele ai comandi del Signore. Solo dentro a questa logica si riesce a cogliere l'amore che Gesù ha per ogni discepolo e l'esperienza vissuta da Giovanni diventa di tutti coloro che lo seguono. La percezione dell'amore di Gesù per noi e l'esperienza che di esso si fa, portano inevitabilmente a comunicarlo agli altri, perché anch'essi incontrino il Signore: "il discepolo che Gesù amava disse a Pietro: È il Signore" e lui andò subito dal maestro. Scesi dalla barca, i discepoli vissero un'esperienza insolita: furono invitati da Gesù a consumare un pasto a base di pane e pesce arrostito. Con questo gesto Gesù insegna ai suoi che egli continua a donarsi nel segno dell'eucarestia e attraverso di essa la sua missione si prolunga nella storia. Alla missione di Gesù anche i discepoli partecipano nella misura in cui vivono seguendo le sue parole e portano a lui i risultati positivi delle loro fatiche apostoliche ottenuti nel suo nome: "Portate un po' del pesce che avete preso ora". Infine Pietro fu coinvolto profondamente da Gesù con una domanda fondamentale: "Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?". Egli rispose affermativamente, ma la domanda idealmente vuole raggiungere ogni cristiano. Dalla risposta data dipende la missione per il regno del discepolo la quale va associata sempre alla croce da portare ogni giorno. Dopo la resurrezione la relazione tra Gesù ed i suoi, si gioca in un rapporto d'amore autentico. Questo si pone alla base della chiamata e della risposta generosa da dare al Signore, ma diventa anche la condizione indispensabile per incontrare il Risorto nei segni che lui ha lasciato per noi.
La missione della Chiesa, fondata unicamente su progetti umani, resta inesorabilmente infeconda. Solo l'obbedienza fedele agli insegnamenti del risorto, garantisce frutti abbondanti. Questi però, quando ci sono, vengono dal Signore e a lui vanno riconsegnati con umiltà. La missione del discepolo e di tutta la Chiesa risulta impostata correttamente nella misura in cui è fondata in una relazione di autentico amore con Gesù Cristo.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTURELa forza del Risorto che agisce ancora, può diventare l'elemento che unisce le letture. In Atti gli apostoli, interrogati dal sommo sacerdote, trovano nella potenza della risurrezione del Signore la forza di "obbedire a Dio piuttosto che agli uomini". Tale fedeltà li porta ad accettare con letizia "di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù" e ad essere testimoni per mezzo del dono dello Spirito Santo. L'Apocalisse suggerisce di non dimenticare la forza che viene dalla celebrazione cristiana del Risorto. È qui dove si incontra realmente "l'Agnello che fu immolato" e da lui si riceve la luce e la sapienza che aiutano a leggere positivamente la storia e a camminare con speranza in essa. Il vangelo indica che la missione della Chiesa produrrà frutti se essa procederà saldamente radicata nella parola del Risorto ed in un amore autentico nei suoi confronti.
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Goito 24 aprile 2022, II Domenica di Pasqua - Anno C
Mandati dal Risorto!Atti 5, 12-16 . Salmo 117 . Apocalisse 1, 9-11a.12-13.17-19 . Giovanni 20, 19-31
LetturaIl brano del vangelo di san Giovanni della seconda domenica di pasqua, si colloca dopo il rinvenimento del sepolcro vuoto da parte di Maria Maddalena, di Pietro e di Giovanni e segue la prima apparizione del Risorto a Maria, che lo scambia per il giardiniere.
Gv 20, 19-3119La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi!". 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi". 22Detto questo, soffiò e disse loro: "Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati".24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore!". Ma egli disse loro: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo".26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: "Pace a voi!". 27Poi disse a Tommaso: "Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!". 28Gli rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!". 29Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!".30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.CommentoIl testo presenta due manifestazioni di Gesù risorto nel cenacolo. Nella prima, avvenuta il giorno stesso di Pasqua (vv.19-23), egli entra a porte chiuse nel "luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei giudei" e li saluta donando loro la pace. Questa, unita alla visione dei segni della passione sulle mani e sul costato, genera gioia nei discepoli che vedono il Signore. Gesù poi invia i suoi e li manda a prolungare l'opera che il Padre aveva a lui affidato: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". A sostegno della loro missione, il Risorto dona lo Spirito Santo e ad essi conferisce il compito di rimettere i peccati: "A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati...". Al centro del brano abbiamo la presentazione di Tommaso che, non essendo stato presente "quando venne Gesù", manifesta scetticismo ed incredulità sull'accaduto (vv.24-25). La seconda manifestazione di Gesù avviene "otto giorni dopo", quando "i discepoli erano di nuovo in casa e c'era anche Tommaso" (vv.26-31). Il Risorto, oltre ad offrire nuovamente a tutti il dono della pace, indica personalmente a Tommaso i segni della passione presenti sul suo corpo e lo invita a "non essere più incredulo, ma credente!". A questo punto Tommaso riconosce Gesù e professa la sua fede: "Mio Signore e mio Dio!". Le parole di Gesù si chiudono preannunziando la beatitudine di coloro che crederanno in lui senza vederlo di persona.
Solo con la resurrezione di Gesù, il discepolo, per mezzo della fede, può ottenere da lui la pienezza della pace e della gioia. Queste sono rese stabili dal dono dello Spirito e dalla remissione dei peccati. Anche chi è scettico o dubbioso, incontrandosi con lui, approda ad una fede vera. I doni concessi dal Signore risorto sono per tutti i discepoli che hanno fede in lui, anche per coloro che nel corso dei secoli non avrebbero incontrato direttamente il Risorto.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTURENelle letture odierne si intersecano il tema della fede e la necessità della sua testimonianza da parte del discepolo. Tommaso è l'esempio di chi ha difficoltà nel credere. Egli vuole vedere con i suoi occhi e non si fida della testimonianza di coloro che già hanno incontrato il Risorto (è una certa sfiducia nei confronti della Chiesa). Coloro che vedono i segni compiuti da Gesù Cristo e credono in lui, "pur non avendo visto" direttamente, avranno "la vita nel suo nome", cioè parteciperanno della vita eterna e della sua missione. É quanto sperimenta Pietro nella vicenda presentata dal racconto di Atti. L'apostolo, superata la crisi dei giorni della passione e morte del maestro, avendolo incontrato risorto e credendo fermamente in lui, porta anch'egli la salvezza a coloro che lo avvicinano: "perché quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro". Anche Giovanni viveva un rapporto intenso col Risorto, fino ad essere esiliato "a causa della parola di Dio". Egli nell'esperienza del "Giorno del Signore" non solo ritrova una relazione più immediata con Cristo, ma riceve anche da lui una nuova missione a sostegno delle Chiese.
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- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
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Goito 17 aprile 2022, Pasqua di risurrezione - Anno C
Pasqua: ricordare le parole di GesùAtti, 10, 34.37-43 . Salmo 117 . Colossesi 3, 1-4 . Luca 24, 1-12
LetturaLe donne non sono figure nuove nella narrazione lucana. Erano presenti accanto a Gesù già durante il ministero in Galilea. Anche alla passione e alla morte erano con lui: hanno pianto su Gesù e guardavano da lontano quanto avveniva sul Calvario. Con Giuseppe d'Arimatea sono andate al sepolcro e hanno visto dove veniva sepolto Gesù. Mentre aspettavano che trascorresse il sabato, hanno preparato gli aromi e gli oli profumati per onorare, con un gesto affettuoso, l'amico ed il maestro giustiziato.
Lc 24, 1-121Il primo giorno della settimana, al mattino presto esse si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. 2Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro 3e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. 4Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. 5Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: "Perché cercate tra i morti colui che è vivo? 6Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea 7e diceva: "Bisogna che il Figlio dell'uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno"". 8Ed esse si ricordarono delle sue parole 9e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. 10Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli. 11Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse. 12Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l'accaduto.CommentoIl racconto inizia con la notizia delle donne che "al mattino presto si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato". Tutto era secondo la norma ed in continuità con quanto prima era accaduto; non traspariva nulla di significativo. Anche "la pietra rimossa" ed il sepolcro vuoto sembravano non suscitare reazioni particolari nelle donne. Infatti il ritrovamento della tomba vuota e l'assenza del corpo di Gesù, non erano ancora elementi capaci di suscitare la fede. Quanto le donne avevano fatto fino a quel punto, faceva parte della dimensione umana, tutti si comportavano così con i morti illustri e non emergeva la fede. A questo punto la narrazione segna una svolta decisiva: "ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante". Costoro rivolsero alle donne una domanda di rimprovero, perché esse stavano cercando tra i morti colui che era vivo. A testa bassa e piene di paura, in quanto percepivano di essere a contatto col divino, le donne si rendevano conto che qualcosa di grande stava accadendo. Infatti gli angeli comunicarono ad esse che Gesù era vivo ed era risuscitato; tale avvenimento poteva essere compreso soltanto se si ricordavano le parole insegnate da lui durante il suo ministero: "ricordatevi come vi parlò". Ricordare significa far emergere nella vita quanto è stato sperimentato nel passato e richiamare alla memoria, approfondendolo, ciò che fu assimilato non adeguatamente. Questo modo di ricordare non è archeologia, ma attività che produce profondità e fecondità di vita perché pone in comunione col Signore. "Ed esse si ricordarono delle sue parole", cioè si innestarono con fede negli insegnamenti di Gesù, lasciandosi coinvolgere completamente. Solo così poterono ricevere l'impulso nuovo dell'evangelizzazione: "annunciarono tutto questo agli undici e a tutti gli altri". Si diventa evangelizzatori coraggiosi credendo alla parola di Gesù. Le parole delle donne non furono accolte pacificamente al punto che "parvero come un vaneggiamento". Allora Pietro corse al sepolcro e, trovatolo vuoto, restò pieno di stupore. Soltanto la memoria credente delle parole di Gesù suscita fede, da vita nuova e porta ad incontrare realmente il risorto.
Luca, scrivendo questo testo, come tutto il suo vangelo, ha presente i credenti che aderirono alla fede dopo la generazione apostolica. La fragilità della loro fede e lo smarrimento del loro pensiero possono essere superati se ricordano le parole di Gesù, cioè se poggiano la loro vita sull'insegnamento ricevuto e che è stato tramandato fino ad oggi. Anche noi siamo tanti "Teofilo" chiamati ad accogliere l'annuncio di salvezza, portato dai ministri della parola, affinché ci si renda conto della solidità degli insegnamenti ricevuti, si ravvivi l'incontro con il Risorto e si diventi degli autentici evangelizzatori.
COLLEGAMENTO TRA LE LETTURELa risurrezione di Gesù dà unità alle letture odierne. La risurrezione è l'evento decisivo di tutta la vita cristiana ed è il punto cruciale su cui la fede è messa a dura prova. Non ci sono prove e non ci sono segni su cui ancorare la fede. Resta soltanto la forza del ricordo delle parole dette da Gesù, che sono state tramandate e sono giunte fino a noi. Su questa roccia siamo chiamati anche oggi a fondare la nostra fede. È l'esperienza fatta dai primi discepoli. Essi riscaldati dalle Scritture spiegate lo hanno visto ed incontrato. Da tale esperienza trae origine l'autorevolezza dell'annuncio di Pietro, come leggiamo nella prima lettura. La lettera ai Colossesi presenta la risurrezione di Cristo mistero centrale della vita cristiana: "se siete risorti con Cristo... Voi siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio". Questo significa che il cristiano, che crede nella risurrezione di Gesù, non può soccombere sotto i suoi limiti o le sue povertà. Egli è invitato a conservare la speranza e a credere che le parole di Paolo diventeranno evento per tutti.
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Goito 10 aprile 2022, Domenica delle Palme - Anno C
Chiamati tutti ad essere in paradisoIsaia 50, 4-7 . Salmo 21 . Filippesi 2, 6-11 . Luca 22, 14-23,56
LetturaLa narrazione della passione e morte di Gesù secondo Luca, pur articolandosi seguendo lo schema caratteristico di Marco e Matteo, presenta aspetti e particolari propri. Si richiede quindi un'attenta lettura per cogliere le novità lucane. La passione costituisce l'ultima tappa del cammino di Gesù fino a Gerusalemme Qui però l'itinerario non si ferma perché, nella città santa, riprenderà il suo corso per mezzo dei discepoli che accolgono il Signore risorto. La Struttura del racconto della passione può essere cosi articolata: l'ultima cena 22, 1-38; l'agonia e l'arresto 22, 39-53, il processo giudaico 22, 54-71, il processo romano 23, 1-25; la crocefissione morte e sepoltura 23, 26-56. Ci soffermeremo soltanto sull'ultima parte, iniziando da quando Gesù viene abbandonato da Pilato alla volontà dei giudei ed è già stato crocefisso.
Lc 23, ... 33-5633Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra. 34Gesù diceva: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte.35Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: "Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto". 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell'aceto 37e dicevano: "Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso". 38Sopra di lui c'era anche una scritta: "Costui è il re dei Giudei".39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!". 40L'altro invece lo rimproverava dicendo: "Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male". 42E disse: "Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno". 43Gli rispose: "In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso".44Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, 45perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. 46Gesù, gridando a gran voce, disse: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". Detto questo, spirò.47Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: "Veramente quest'uomo era giusto". 48Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto. 49Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo.50Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, buono e giusto. 51Egli non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri. Era di Arimatea, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio. 52Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. 53Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto. 54Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del sabato. 55Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, 56poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo come era prescritto.CommentoIl passo da noi considerato si apre con una prima scena che presenta Gesù in viaggio verso il Calvario. Nel suo cammino è circondato da personaggi che, nella narrazione lucana, diventano emblematici e ne creano il telaio portante. Dapprima incontriamo Simone di Cirene, "che veniva dalla campagna e gli mettono addosso la croce da portare dietro a Gesù". Poiché l'evangelista, rispetto agli altri sinottici, toglie la menzione della flagellazione e la scena dei maltrattamenti, il compito di Simone non è più soltanto di aiutare un condannato ridotto ormai ad una debolezza fisica estrema. Se poi si considera la sottolineatura di dover portare la croce "dietro a Gesù", sembra che Luca suggerisca al lettore di vedere in Simone l'immagine del discepolo, che porta la croce ogni giorno dietro al maestro, come lui si era espresso in Lc 9,23. Abbiamo poi "una grande folla di popolo e di donne che si battono il petto e fanno lamenti su di lui". Mentre in Marco Gesù va solo verso il suo morire, Luca lo circonda di personaggi che sono interessati a lui. Spiccano tra gli altri le donne, che col pianto manifestano Gesù Messia sofferente e sono occasione per lui di pronunciare una profezia su Gerusalemme, che lo aveva rifiutato. Infine anche due malfattori sono "condotti insieme con lui per essere giustiziati".
La seconda scena si colloca sul Calvario e lì si staglia nitidamente la figura di Gesù Cristo che, solidale con l'umanità fino al punto di essere crocefisso tra "due malfattori", offre da quella posizione il perdono a tutti ed in particolare ai nemici: "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno". Il comportamento di Gesù è coerente fino all'ultimo con l'insegnamento da lui impartito ai suoi discepoli (cfr. Lc 6). Luca presenta la reazione di cinque categorie di persone davanti a Gesù crocefisso. "Il popolo sta a vedere", indifferente per ora, ma rispettoso. I capi lo deridono, ironizzando sulla sua pretesa messianica: "Ha salvato gli altri, salvi se stesso se è il Cristo di Dio, il suo eletto". "Anche i soldati lo scherniscono", riferendosi alla sua presunta regalità. Da ultimo è insultato da uno dei malfattori, il quale chiede a Gesù di manifestare la sua messianicità salvando tutti dal patibolo della croce. La reazione del secondo malfattore è completamente diversa da quella del primo. Dapprima egli invita il socio ad avere timore di Dio, che lì in Gesù è condannato alla loro stessa pena, e poi dichiara la loro colpevolezza e l'innocenza di Gesù: "non ha fatto nulla di male". È a questo punto che il malfattore, rivolgendosi direttamente a Gesù, invoca da lui la salvezza: "ricordati di me quando entrerai nel tuo regno". La risposta di Gesù va al di là di ogni aspettativa: "oggi sarai con me nel paradiso". Qui abbiamo un punto decisivo dell'opera di Luca e nel malfattore detto "buono" si intravede ogni discepolo. Infatti chi giunge ad incontrare Gesù, da qualsiasi storia provenga, e a lui si affida, creando una relazione interpersonale significativa e decisiva, ottiene subito la salvezza. Questa diventa definitiva per chi muore con Cristo e come lui.
La terza scena presenta la morte di Gesù che è preceduta da due segni: l'oscuramento per tre ore del sole e la scissura del velo del tempio. I segni indicano fatti straordinari che richiamano l'eccezionalità dell'avvenimento che si sta realizzando sul Calvario. Al centro sono collocate le sue ultime parole prima di spirare: "Padre nelle tue mani consegno il mio spirito". Citando il salmo 31, una preghiera di fiducia, la morte di Gesù, presentata da Luca, diventa un sereno abbandono nelle braccia del Padre. Così egli è esempio per il discepolo: di come ci si deve affidare nelle mani di Dio e di come si deve andare incontro alla morte. Davanti a Gesù morto, l'evangelista riporta nuovamente delle reazioni di persone che interagiscono con lui. Il centurione romano proclama l'innocenza del condannato, le folle tornano a casa pentite battendosi il petto, i suoi con le donne assistono da lontano e guardano gli avvenimenti. La morte in croce di Gesù produce sicuri risultati positivi in chi ha costruito una relazione interpersonale con lui. Restano esclusi per ora da questo quadro, ma non definitivamente, i capi ed il primo malfattore perché non hanno avuto l'umiltà ed il coraggio di dialogare costruttivamente con Gesù. La croce è sempre efficace per la conversione e richiede almeno un minimo di coinvolgimento personale. La su potenza è talmente grande da trasformare gli schernitori (i soldati rappresentati dal centurione) in proclamatori dell'innocenza di Gesù, la folla indifferente in un popolo consapevole dei suoi sbagli e quindi penitente ed i discepoli che, se anche hanno visto da lontano, diventeranno capaci di testimoniare il Signore.
Chi cammina con Gesù, portando ogni giorno la croce dietro a lui e perdonando come lui, entra sicuramente in paradiso. La sua morte è per i cristiani, insegnamento di come si fa ad accogliere la volontà di Dio e di come si deve morire. Per ora resta a noi discepoli il compito di entrare in profonda comunione con lui per testimoniare nella storia.
COLLEGAMENTO TRA LE LETTUREIl tema centrale della domenica, detta delle "Palme", è costituito dal dono della salvezza offerta ai discepoli che interagiscono con Gesù Cristo. L'inno cristologico della Lettera ai Filippesi delinea con chiarezza il dramma d'umiliazione ed esaltazione di Cristo Gesù, che pur essendo di natura divina, spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo per il bene di tutta l'umanità. Cristo in croce, racconta Luca, è una provocazione forte davanti alla quale non si può restare indifferenti. O ci si schiera contro oppure ci si affida a lui, come ha fatto il brigante crocifisso con lui. Chi sceglie di stare con Gesù deve essere consapevole che dovrà condividere col maestro due esperienze: portare la croce e perdonare anche i nemici. Camminando così si sperimenta già oggi il "paradiso". Tutto quanto è espresso nel racconto evangelico e nella Lettera ai Filippesi è anticipato profeticamente nel passo di Isaia. Il sevo del Signore, chiamato ad indirizzare allo sfiduciato una parola di conforto e speranza, svolge il suo ministero in ascolto fedele della Parola di Dio, affrontando con coraggio le difficoltà che s'incontrano. La contemplazione di questi misteri diventa stimolo per la vita cristiana.
La vita(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
Ogni settimana si accosteranno le diverse parti del sacramento per avere maggior consapevolezza, in questo tempo liturgico, del sacramento della Penitenza.
PremessaDurante il suo ministero pubblico, Gesù ha invitato la gente a convertirsi e a credere che Dio è misericordioso e che nessun peccato è più grande della sua misericordia. Ha accolto i peccatori e ha partecipato a conviti festosi con loro, per riconciliarli con Dio (Mc 2,1-12).
Dopo la sua morte e risurrezione, il Signore ha affidato alla Chiesa il potere di perdonare i peccati nella potenza dello Spirito, come parte fondamentale della salvezza realizzata nel mistero pasquale: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi perdonerete i peccati saranno perdonati» (Gv 20,22-23).
Questa missione viene svolta innanzitutto con la predicazione del vangelo, che chiama alla fede e alla conversione, e poi con il battesimo, che cancella ogni genere di peccato. Ma, pur essendo riconciliati, i battezzati non sono immuni per sempre dal peccato; possono ancora cadervi. Ai battezzati ricaduti nella schiavitù del peccato, il Signore offre una nuova possibilità di salvezza attraverso il sacramento della Riconciliazione, quasi un secondo Battesimo o meglio "la sorella del Battesimo" (cfr. CEI, Catechismo degli adulti, 338).
Peccatori in cammino per una vita nuovaLa celebrazione del sacramento della Riconciliazione inizia quando si prende coscienza di essere peccatori. Questo avviene attraverso l'incontro con Gesù Cristo che si avvicina a noi o attraverso il vangelo, o la testimonianza di un cristiano, o con un'esperienza di vita forte. Vengono smascherati i nostri peccati e sorge in noi il disgusto per ciò che abbiamo commesso. Qui inizia a sorgere il dolore dei peccati commessi, la sofferenza per aver offeso Dio e i fratelli. Gradualmente dentro di noi nasce l'esigenza e l'inizio di una vita nuova, guidata dal Signore e non più dai peccati.
Dopo essere diventati consapevoli dei peccati e rattristati per essi, si decide di confessarli alla Chiesa attraverso il sacramento. È questo il dolore vero dei peccati che spinge a confessare al più presto i peccati commessi. Questa è la parte del sacramento che propriamente si chiama "confessione dei peccati". La confessione prevede che prima di tutto che si ringrazi il Signore per tutti i benefici e le cose belle che ha concesso a noi nel percorso della vita dall'ultima celebrazione del sacramento. Poi mediante la confessione dei peccati il penitente manifesta, con umiltà e sincerità, davanti al sacerdote confessore tutti i peccati gravi o mortali di cui si ricorda e che non ha già confessato in altra occasione. Il perdono dato da Dio con il sacramento della Riconciliazione è un perdono vero che non va richiesto continuamente per gli stessi peccati. È bene anche dire i peccati veniali che mettono in crisi la nostra vita spirituale. Tutto questo prevede l'esame di coscienza, che consiste nel confrontare la nostra vita col vangelo per vedere quanto è in sintonia con esso oppure è lontano dagli insegnamenti di Gesù.
Dopo essere diventati consapevoli dei peccati e rattristati per essi, averli confessati alla Chiesa attraverso il sacramento, avviene l'assoluzione dei peccati impartita dal sacerdote confessore. A questo punto inizia il percorso di penitenza o soddisfazione o riparazione. Il penitente è tenuto per giustizia a riparare gli eventuali danni, morali e materiali, causati al prossimo o alla società dai peccati commessi. Con questo percorso penitenziale si recupera gradualmente la piena guarigione spirituale dopo i peccati e viene restaurato il disordine che è stato causato. L'impegno penitenziale, proposto dal sacerdote e accettato dal penitente, consiste in una concreta esperienza che porta a colmare la scelta sbagliata vissuta col peccato. Se uno ha rubato restituire il maltolto. Se si sono rotte le relazioni personali, cercare la riconciliazione. Se si è danneggiato qualcuno, il creato, la società scegliere di colmare il danno procurato. A secondo dei peccati commessi si trova sempre una penitenza corrispondente. Solo a questo punto il sacramento è stato celebrato completamente e il perdono di Dio produce nel penitente adeguati frutti di grazia.
Come vivere il colloquio penitenziale? Esso si può descrivere secondo tre momenti fondamentali:
1 Il primo momento lo chiamo
"CONFESSIO LAUDIS", cioè CONFESSIONE DI LODE. Invece di cominciare la confessione dicendo "ho peccato così e così", si può dire "Signore ti ringrazio", ed esprimere davanti a Dio i fatti, ciò per cui gli sono grato.
2 Segue la
"CONFESSIO VITAE", CONFESSIONE DI VITA. Non è semplicemente un elenco dei miei peccati (ci potrà anche essere), ma la domanda fondamentale dovrebbe essere questa: "Che cosa dall'ultima Riconciliazione, nella mia vita in genere, vorrei che non ci fosse stato, che cosa vorrei non aver fatto, che cosa mi dà disagio, che cosa mi pesa?".
3 Il terzo momento: la
"CONFESSIO FIDEI", CONFESSIONE DELLA FEDE. Cioè il nostro sforzo e il proposito è unito a un profondo atto di fede nella potenza risanatrice e purificatrice dello Spirito. È deporre il nostro cuore nel Cuore di Cristo, perché lo cambi con la sua potenza. Quindi la "confessio fidei" è dire al Signore: "Signore, so che sono fragile, so che sono debole, so che posso continuamente cadere, ma Tu per la tua misericordia cura la mia fragilità, custodisci la mia debolezza, dammi di vedere quali sono i propositi che debbo fare per sostenere la mia buona volontà di piacerti". (cfr Martini)
LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 3 aprile 2022, V Quaresima - Anno C
Il Signore è misericordioso!Isaia 43, 16-21 . Salmo 125 . Filippesi 3, 4-14 . Giovanni 8, 1-11
LetturaGesù è a Gerusalemme. Ha partecipato alla festa delle Capanne (cfr. Gv 7), anche se vi andò di nascosto. Giunto però nella città santa, non poté passare inosservato. La sua presenza alla festa diventa quindi occasione di insegnamenti rivolti ai suoi ascoltatori ed anche di scontri con gli avversari, fino al punto che alcuni vogliono arrestarlo. A Gerusalemme, al termine della festa, si colloca la vicenda narrata nel passo odierno.
Gv 8, 1-111Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4gli dissero: "Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?". 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7Tuttavia, poiché insistevano nell'interrogarlo, si alzò e disse loro: "Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei". 8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?". 11Ed ella rispose: "Nessuno, Signore". E Gesù disse: "Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più".CommentoGesù, dopo aver trascorso la notte sul "monte degli ulivi", prima di tornarsene a casa dopo la festa, all'alba si reca di nuovo nel tempio e lì ammaestra il popolo che numeroso andava da lui. Mentre svolge la sua attività di evangelizzatore, "gli scribi ed i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio", per avere un suo parere e subdolamente "per metterlo alla prova e per avere di accusarlo". Non c'è alcun dubbio sulla colpevolezza della donna e la questione sta in che cosa voglia fare Gesù di fronte ad un peccato certo. Gesù dapprima reagisce scrivendo col dito per terra. Che cosa scrisse? È impossibile ricostruire quel messaggio, anche se si può intuire il contenuto. Sicuramente era una risposta alla domanda postagli: "Mosé ... ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?". Probabilmente gli interlocutori di Gesù non percepirono la sua posizione, oppure la considerarono inadeguata o incompleta, visto che continuavano ad insistere nell'interrogarlo. A questo punto egli pronunzia la sentenza perentoria: "chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei" e poi continua a scrivere per terra. Con questo principio Gesù non vuole affermare che ogni giudice, per pronunciare una sentenza, debba essere senza peccato. Egli invece sottolinea che, partendo dalla parola di Dio e dalla dimensione religiosa, è sempre necessario nei confronti dei peccatori, avere chiaro l'obiettivo a cui si vuole arrivare ("non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori") e tener realmente conto della situazione personale del singolo peccatore. Tutto questo non interessava agli accusatori della donna, perché il loro vero obiettivo non era la verità, ma tendere un tranello a Gesù. Per questo, dopo aver ascoltato le sue parole, "se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani". La parte finale della narrazione presenta il dialogo di Gesù con la donna peccatrice. Nessuno l'aveva condannata. Ella con umiltà e pentimento attendeva il giudizio di colui che riconosceva "Signore". Nemmeno Gesù la condanna e la invita accoratamente a non peccare più.
Attraverso la vicenda dell'adultera il testo evangelico presenta la giustizia di Gesù, che è quella di Dio. Egli condanna il peccato, ma è misericordioso col peccatore. Gesù ha anche la capacità di smascherare tutto ciò che non è orientato verso una vera giustizia, anche se coperto da motivazioni di carattere religioso. Chi riconosce in lui il Signore e si rimette al suo giudizio, incontra sicuramente misericordia e perdono.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREL'asse portante delle tre letture è dato dall'intervento di Dio, che viene a mutare la situazione e la prospettiva futura del suo interlocutore. Il popolo degli israeliti a Babilonia, deve spostare il baricentro della sua fede dalla vicenda dell'esodo antico al suo ritorno da Babilonia: "Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa". Il cambiamento di prospettiva comporta un impegno anche per il futuro: "Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi". Il fariseo Paolo riceve la manifestazione della vera giustizia "che viene da Dio, basata sulla fede" e si apre alla "sublimità della conoscenza di Cristo Gesù". La gioia di questo sbocco comporta l'impegnativa partenza per una corsa verso la perfetta assunzione della potenza della resurrezione di Cristo, con tappa obbligatoria alla conformazione alla sua morte. L'allontanarsi dei lapidatori della donna, nel racconto evangelico, affiancato al perdono ricevuto da Gesù, diventa il dono di una vita che può ricominciare. La scena comporta una decisione seria: "va e d'ora in poi non peccare più". È importante quindi impegnarsi a maturare contesti in cui la magnanimità aiuti a rendere possibili il perdono e la conversione. La conversine richiede sempre anche la disponibilità a tornare a rischiare nella vita, sostenuti dalla fiducia che dà il Signore.
La vita(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
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Diamo un primo sguardo al dipinto. In quel padre e in quel figlio facilmente cogliamo la scena centrale della parabola del figlio prodigo, raccontata da Gesù. È il padre che abbraccia il figlio più giovane, tornato a casa. Individuiamo anche gli altri quattro personaggi della scena: il fratello maggiore, uno spettatore seduto e due donne in piedi, meno percettibili. Ora ti invito a rileggere il racconto integrale della parabola, riportata nel vangelo secondo Luca (capitolo 15, versetti 11-32). Lo rileggo anch'io, adagio e cercando di penetrare le parole, le frasi, i gesti, gli atteggiamenti dei personaggi. Mi immagino anche i luoghi e le scene. Poi guardo ancora il quadro, sostando anche sui particolari. Il pittore vuole anzitutto esprimere la propria esperienza interiore, ma vuole anche comunicarmi un messaggio. In questa lettura vorrei essere il tuo compagno di cammino più che la tua guida. Insieme lasciamo che la luce emanante dal volto del padre illumini anche il nostro sguardo. Insieme chiediamo a Dio, «il Padre della luce» (Gc 1,17), di darci occhi puri per elevarci fino a Lui. Sarà la nostra gioia: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8). Insieme ritorniamo alla casa del padre e lasciamoci abbracciare dal suo amore.
La storia di un celebre dipintoSe vai al museo di San Pietroburgo (Leningrado al tempo dell'Unione Sovietica), vedrai ogni giorno una lunga fila di visitatori, che attende il turno per entrare. Più di tutto vogliono ammirare la tela ad olio del celebre pittore olandese H. Rembrandt (1606-1669), conosciuta come Il ritorno del figlio prodigo. Già le misure sono grandiose: 343,84 cm di altezza per 182,88 cm di larghezza. Ma la vera grandiosità è offerta dalle espressioni dei personaggi della scena. Le figure che accentrano subito lo sguardo sono quelle del padre e del figlio minore, che costituiscono un gruppo inscindibile nel loro abbraccio e che sono indubbiamente il centro focale della scena. Poi l'occhio si estende ai personaggi di contorno: il fratello maggiore ritto in piedi, un uomo seduto che contempla pensoso la scena, una donna in piedi che col suo sorriso completa l'intima gioia del momento, un'altra donna sullo sfondo quasi nascosta nel buio. Un gioco intenso di luce e di oscurità, un contrasto tra il rosso e il nero nelle loro varie gradazioni guidano lo sguardo dello spettatore a ritornare sempre al centro. Questo centro invisibile e nascosto, ma onnipresente, è il cuore del padre: da lì tutto parte, là tutto arriva.
Rembrandt ha dipinto questo quadro verso la fine della sua vita. Con tutta probabilità è stato uno dei suoi ultimi lavori. Conoscendo la sua vita travagliata, non è difficile vedervi il simbolo del suo ritorno alla vera casa, alla casa del Padre. Da giovane pittore, aveva conosciuto la fama e il denaro, ma anche una vita orgogliosa, arrogante e dissoluta. Alcuni suoi primi quadri lo mostrano come un giovane vagabondo, dedito ai piaceri e alla baldoria. Poteva dipingersi come quel figlio minore che, «raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto» (Lc 15,13). Ma col passare degli anni anch'egli «venne a trovarsi nel bisogno» (15,14): sfortune e dispiaceri familiari, sofferenze, separazioni e morti di cari, strettezze economiche e debiti, solitudine e abbandono. Il pianto, il dolore, la quiete, il rimorso, riconducono i passi dell'artista alla casa rimasta sempre aperta, alle braccia rimaste sempre tese, alla luce mai spenta, al cuore sempre amante. Alla sua morte, non aveva più niente: aveva perso tutto, ma aveva trovato tutto. Aveva ritrovato il suo Dio, il suo caro Abbà, il suo amato Papà.
Il suo dipinto continuerà a testimoniare e a comunicare la sua esperienza. Acquistato nel 1776 da Caterina la Grande per il Museo (chiamato Ermitage) di San Pietroburgo, ancora oggi vi è custodito. Ma la riproduzione ha fatto il giro del mondo, con copie nelle chiese, nelle sale ecumeniche, nelle case, nelle collezioni private. In questo terzo e ultimo anno di preparazione al Grande Giubileo del Duemila, il 1999 anno di Dio Padre, la figura del Ritorno del figlio prodigo di Rembrandt conosce un successo editoriale: la si trova sovente in riviste, viene riprodotta e commentata in pubblicazioni, viene esposta nelle chiese, viene usata nei ritiri spirituali.
Non meraviglia se essa è stata oggetto di studi e anche di tesi di laurea non solo in campo artistico, ma anche in campo teologico. Il celebre dipinto ha suscitato anche libri di profondo commento spirituale, facendo la funzione di una vera icona che porta verso il Cielo.
IL QUADRO NEI SUOI DETTAGLIIl figlio più giovaneLa sua figura dà il nome a tutto il quadro: i critici d'arte lo chiamano infatti Il ritorno del figlio prodigo. L'artista ha voluto raffigurare il suo passaggio dalla vita antica alla vita nuova. Egli è inginocchiato davanti al padre e affonda il viso nel suo petto. Effonde nel cuore del padre tutto il suo dispiacere, il suo pentimento, la sua stanchezza della vita. Trova in lui pace, sicurezza, accoglienza, perdono, amore. Il suo aspetto esterno è simile a quello di un servo e di un mendicante: indumenti mezzo stracciati e impolverati, calzari consumati, corda posticcia, borsa vuota. Le uniche parti visibili del suo corpo sono il capo e un piede. La testa è nuda e rasata, come di uno che ha perso la sua fierezza e la sua indipendenza. Il piede sinistro è sfilato dal sandalo e coperto di cicatrici. Solo una piccola spada, che gli pende al fianco e che nessuno gli ha mai sottratto, richiama la sua antica nobiltà. Ma la sua dignità di figlio, mai perduta, traspare soprattutto dai lineamenti del volto: gli occhi chiusi indicano il dolore e il bisogno di tenerezza, la bocca silenziosa esprime la sincera confessione del suo cuore. Mani e capo appoggiano filialmente sul petto e sul grembo del padre, come un movimento di ritorno alla condizione filiale della nascita e al grembo proteggente del genitore. La prostrazione in ginocchio mostra la sottomissione filiale e la confidenza totale, unita al riconoscimento del proprio tradimento e della propria indegnità.
È un figlio che aveva tutto, che poi ha perso tutto e che ora ritrova tutto. Ha voluto sperimentare la sua libertà ed esercitare il suo potere. Ha deciso di costruirsi una vita da solo, lontano dal padre, dalla famiglia, dalla casa, dalla comunità.
Si è appoggiato solo sul potere illusorio del denaro e sulle false amicizie. Ora qui vedo un uomo umiliato, sconfitto, calpestato, debole, affamato, solo. Ha perso i suoi beni più preziosi: la salute, la buona reputazione, l'onore, la fiducia in se stesso, il coraggio di lottare, l'amicizia, la pace interiore, la dignità di figlio, il focolare domestico. Ma sente che gli è rimasto il bene più grande, che comprende tutti gli altri beni: suo padre. Il suo amore lo scuote: «Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te, non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre» (Lc 15,1920).
Il cammino del ritorno comincia da lontano: dalla coscienza del suo peccato. Ma comincia anche da vicino: dal profondo del suo cuore. La voce del padre risuona in lui e la ascolta di nuovo, come se gli ripetesse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato» (Sal 2,7). Ancor oggi mio padre mi ama, oggi voglio ritornare a lui. Ma lungo il viaggio avanzano i dubbi e le tentazioni: «Cosa gli dirò? Come mi accoglierà? Sarò degno di lui? E mio fratello e mia mamma, quale saranno le loro reazioni? Sono un povero disgraziato: non merito di essere uno della famiglia, non merito di essere figlio. È giusto che sia punito. Accetto di essere almeno un operaio al servizio della casa». Arriva finalmente a casa. Non riesce a terminare la sceneggiatura che si era preparato, perché il padre lo precede col suo amore preveniente.
Il padreIl padre è dipinto come un uomo anziano mezzo cieco, con baffi e con barba bipartita, con una lunga tunica ricamata in oro e con un mantello rosso scuro. Egli è unito al figlio e il figlio è unito a lui. Non si possono disgiungere: il figlio si appoggia sul padre e il padre sostiene il figlio. Nella sua composta immobilità infonde movimento a tutta la scena. Con i suoi occhi chiusi getta luce su tutti i personaggi. Con le sue braccia tese e le sue mani abbraccianti conquista tutti con il suo amore. Con la sua vita avanzata infonde nuova vita a chi sta per morire di stenti. Tutto parte da lui e tutto converge a lui. La luce del suo volto illumina i volti degli altri personaggi con diverse gradazioni.
Questa luce si fa viva e splendente soprattutto nelle sue mani. Le sue mani stesse diventano una fonte di luce e di calore. Tutto il corpo del figlio inginocchiato, ma specialmente il suo petto sede del cuore, sono invasi e penetrati dalle luce che emana da esse. Sono mani di fuoco che bruciano ogni male e infondono nuova vita. Sono mani che toccano e guariscono, donando speranza, fiducia, conforto. Queste mani attirano gli sguardi di tutti gli ammiratori della tela di Rembrandt. I visitatori della tela originale e gli ammiratori delle sue riproduzioni ben presto concentrano su di esse la loro attenzione. Sono insieme simili e dissimili. La mano sinistra è forte e muscolosa. Le sue dita sono aperte e coprono gran parte della spalla destra del figlio prodigo. È una mano che stringe e sorregge. Ha i tipici lineamenti di una mano maschile. La mano destra invece è delicata, soave e molto tenera. Le dita sono ravvicinate e presentano un aspetto elegante. Essa è posata dolcemente sulla spalla. Non calca, ma piuttosto accarezza, protegge, consola, calma. È la mano di una madre. Due mani diverse per un unico amore: è insieme amore paterno e materno.
Tutto nel padre parla di amore: il volto assorto, le vesti che proteggono, il corpo che accoglie, le mani che abbracciano e benedicono. Il suo corpo si fa grembo accogliente e le sue mani trattengono, stringono e accarezzano il figlio ritrovato. Il suo amore assume tutte le tonalità e le espressioni: è accoglienza, perdono, pianto, tenerezza, dono, condivisione, benedizione, augurio, gioia, festa, vita, eredità. La sua generosità lascia stupiti tutti quelli che sono presenti alla scena: ognuno reagisce a suo modo, ma tutti rimangono meravigliati. Il grande mantello rosso avvolge il figlio: è come la casa ospitale, è come la tenda che invita al riposo e alla mensa.
Più ancora assomiglia alle ali di un'aquila o di una chioccia: il piccolo vi trova rifugio, forza, sicurezza. Il padre anziano si abbassa verso il figlio, facendo una cosa sola con lui. Lo accoglie su una piccola elevazione: sia essa una pedana, sia essa la soglia di casa, è comunque simbolo della dignità e dell'onore ritrovati e della grandezza della condizione filiale.
La figura del padre è talmente centrale che giustamente il quadro si può anche chiamare
L'accoglienza del padre misericordioso. Qualcuno chiama la parabola, rovesciando i termini,
Il Padre prodigo, nel senso positivo di padre generosissimo e sovrabbondante nei suoi doni.
Il dipinto non evidenzia tutti questi doni oltre misura: vestito più bello, anello-sigillo, calzature di lusso, vitello grasso, banchetto sontuoso, orchestra musicale. Ma il pittore pone tutti questi doni nel cuore del padre: ivi è la sorgente di ogni bene. Il vangelo stesso pone al centro della parabola e come culmine del racconto l'atteggiamento del padre: «Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò» (Lc 14,20). Il verbo centrale è: «si commosse», che letteralmente significa: si sentì rimuovere nelle viscere, cioè si sentì toccare nel profondo del suo cuore.
Il figlio maggioreL'uomo che sta in piedi alla destra della pedana è il figlio maggiore. C'è una distanza tra lui e il padre che abbraccia il figlio. Si percepisce non solo una distanza fisica, ma anche un distacco spirituale, una separazione dall'atteggiamento del padre e una ripulsa di fronte al fratello ribelle. Si sofferma meravigliato a guardare la scena di benvenuto. Ha uno sguardo enigmatico, tra il duro e l'incredulo, tra lo smarrito e l'indeciso. Guarda il padre, ma non esprime gioia o consenso. Si protende in avanti, non vuole sentirsi coinvolto. Vuole giudicare, ma in qualche modo si sente anche lui giudicato. Ha l'aria di chi è risentito, sdegnato, offeso, ma il suo volto sembra anche pensoso. Interroga, ma sente di essere interrogato. Perché non leggere nel suo sguardo anche alcuni interrogativi che possono emergere nel suo cuore? Come questi: «Eccolo tornato il figlio ribelle! Ma perché papà lo accoglie così? E allora chi sono io che sempre gli sono stato fedele? Perché sento gelosia verso mio fratello e sento disaccordo verso mio padre? Ma allora chi sa amare veramente il padre, io o mio fratello? Solo lui ha abbandonato la casa o forse anch'io?». Ma le voci dell'orgoglio e dell'onore sembrano avere il sopravvento: «Non sono io il figlio primogenito? Non sono stato sempre fedele a mio padre, servendolo in tutto? E perché ora mi fa questo affronto, preferendo quel suo figlio dissoluto?».
Eppure già al primo sguardo, si nota subito che questo figlio maggiore assomiglia più al padre che al fratello. Come il padre, anch'egli sta ritto sui suoi piedi, porta la barba, indossa un ampio mantello rosso sulle spalle, ha il capo coperto da un bel turbante, ha il volto illuminato. Ma d'altra parte uno sguardo più attento mostra anche quanto sia dissimile dal padre. Leggermente inchinato l'anziano genitore, superbamente ritto il figlio maggiore. Gli occhi del padre sono chiusi, quelli del figlio sono aperti. Ma è il primo che vede bene, mentre il secondo «pur vedendo, non vede» (Mt 13,13). Il mantello del padre è ampio e accogliente, quello del figlio è rigido e aderente al corpo, quasi possesso egoistico. Le mani del vecchio sono aperte e appoggiate sulle spalle del figlio perduto e ritrovato. Le mani del figlio rimasto a casa sono strette e quasi legate, appoggiate sul proprio petto, mentre reggono un bastone (bastone del viaggio, del lavoro, del comando?). La luce sul volto del figlio maggiore rimane circoscritta e non si diffonde, mentre la luce del volto del padre si riverbera sul figlio e gli comunica luminosità e calore.
Tutte queste considerazioni possono condurci a dare un terzo titolo al quadro di Rembrandt, oltre ai due già suggeriti. Potrebbe giustamente essere anche chiamato La parabola dei due figli perduti. Con quei sentimenti di astio e di risentimento, anche il figlio maggiore era perduto. La parabola raccontata da Gesù ci dice che il più giovane è stato ritrovato, ma non dice nulla sull'esito finale del figlio maggiore. È una parabola aperta, senza apparente conclusione. Anche il pittore olandese lascia aperta ogni via. Ogni ascoltatore della parabola e ogni ammiratore del dipinto è invitato a lasciarsi coinvolgere, a immedesimarsi in uno dei personaggi e a dare liberamente la sua risposta.
Gli altri personaggiGli altri personaggi del quadro sono figure minori che completano la scena. Essi mostrano la reazione personale a quello sta accadendo, che può esser di maggior o minor partecipazione o persino di critica e di distacco. Accanto al figlio maggiore sta un uomo seduto, con una gamba accavallata sull'altra e una mano al petto. È ben vestito, ha il volto leggermente illuminato, gli occhi aperti e la bocca chiusa. Non guarda direttamente la scena dell'abbraccio, ma guarda fisso nel vuoto. Riflette, sogna, critica, approva, è incerto, si fa tante domande. Questo personaggio può ben rappresentare le persone che criticavano il comportamento di Gesù. Infatti le tre parabole della misericordia (pecorella smarrita, dramma perduta e figlio prodigo) sono state narrate da Gesù, perché «i farisei e gli scribi mormoravano: Costui riceve i peccatori e mangia con loro» (Lc 15,2).
Dietro all'uomo seduto, leggermente scostato, si vede una donna appoggiata ad un'arcata dell'abitazione. Sta in piedi tra l'uomo seduto e il padre, situandosi quasi al centro geometrico della scena. Solo il suo capo è illuminato, risaltando nella penombra. Il suo volto esprime gioia contenuta, incredulità, meraviglia, coinvolgimento. Il personaggio corrisponde alla parabola di Gesù, che parla di festa, allegria, musica e danze (cf Lc 15,25). Infine sullo sfondo buio si intravede appena un'altra donna, visibile solo nel volto e di profilo. Nel suo atteggiamento si può cogliere una fuggevole occhiata alla scena ed è difficile cogliere i suoi sentimenti: curiosità, nascondimento, compassione, meraviglia, paura o desiderio di coinvolgimento?
Una nota comune a tutti questi personaggi minori è l'atteggiamento enigmatico, che dà adito a diverse letture. Ciò significa che il dipinto, così come del resto il racconto stesso del vangelo, pone anche una nota restrittiva. Esso non è aperto spontaneamente a una soluzione rapida e facile della questione. Non si intravede subito una riconciliazione universale, un racconto a lieto fine per tutti. Permane la domanda sull'esito del dialogo del padre col figlio maggiore e la domanda sul senso della presenza dell'uomo seduto e delle due donne.
Ogni riconciliazione implica infatti una lotta interiore e una libera decisione nella direzione dell'amore.
LE RAPPRESENTAZIONIIl dipinto di Rembrandt raffigura la scena centrale della parabola raccontata da Gesù. I suoi personaggi riproducono fedelmente i personaggi ricordati nella parabola. Ma quel Gesù che parla volentieri in parabole vuole annunciare un vangelo di salvezza: è la bella notizia che Dio ci ama sempre, perché è veramente Padre. I personaggi del racconto assumono allora contorni nuovi e dimensioni universali. E anche chi è attento alla sua parola (letta, ascoltata, dipinta) è chiamato ad esser coinvolto. Chi rimane estraneo, chi non coglie il messaggio, perde un'occasione di lasciarsi toccare da Dio.
Il Padre
È Dio, Dio Padre, il personaggio centrale di questa parabola. «Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione» (2 Cor 1,34). Questa esperienza personale di Paolo è stata anche l'esperienza di Rembrandt ed è l'esperienza di ognuno di noi. Dio ci ama sempre per primo (cf 1 Gv 4,19) e ci ama per ultimo. Non siamo noi a scegliere lui, ma è lui a scegliere noi. Lui ci cerca prima ancora che noi lo cerchiamo. Ci ama donandoci il suo stesso Figlio e in lui ci dona ogni bene (cf 1 Gv 4,810; Ef 1,35). Ascoltiamo ancora Paolo: «Egli non ha risparmiato il suo Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa con lui?» (Rm 8,32). L'unica potenza che rivendica per sé è la potenza dell'amore. Non costringe né il figlio minore né il figlio maggiore: lascia che provino la loro libertà. Vuole che i figli siano veramente figli, cioè liberi di amare, liberi di scegliere. Sa che questo può comportare per loro distacco, abbandono, offese, vie tortuose, insoddisfazione, infelicità. Sa che tutto questo si riflette nel suo cuore di padre: è la sua sofferenza e la sua compassione. Nel suo profondo dolore per il peccato dei suoi figli, il Padre soffre per loro. Stende sempre le sue mani per guarire e le sue braccia per accogliere chi ritorna alla sua casa. Egli concede perdono, riconciliazione, guarigione, quiete, sicurezza, forza. Non si stanca di ripetere al figlio ritrovato, guardando il suo Figlio crocifisso: «[Anche] tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto» (Mc 1,11).
Questo amore è espresso nel quadro di Rembrandt mediante il volto, ma anche mediante le mani. Quelle mani di padre e di madre, una forte e una delicata, sono cariche di un vivo messaggio. Esse richiamano tante parole e tanti gesti del Dio della Bibbia, particolarmente come è stato rivelato in pienezza da Gesù. Esse dicono che Dio ama gli uomini come un padre e come una madre. Dice il Signore: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,15). Gesù stesso, rivelatore e portatore dell'amore del Padre per gli uomini, usa l'immagine materna della chioccia per esprimere il suo amore verso il popolo eletto, amore non corrisposto: «Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina raccoglie i pulcini sotto le sue ali, e voi non avete voluto» (Mt 23,37). È la storia vissuta del figlio che abbandona la casa paterna, è la storia di ognuno di noi. Ma Dio è sempre accogliente: il suo curvarsi sul figlio e sulla figlia che ritorna rappresenta il grembo della vita. Il «seno del Padre» (Gv 1,18) è la sorgente della vita e della nuova vita. Il Padre ama tutti e non fa preferenze di persone: abbraccia il figlio minore e dialoga con amore anche con il figlio maggiore. Va incontro anche a lui, ma non forza la sua libertà. È felice di dirgli: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo» (Lc 15,31). La festa per il figlio ritrovato non è piena se anche il figlio maggiore non partecipa. Il padre non fa confronti tra i due figli, li ama ambedue nella loro rispettiva libertà. Per Dio, tutti i suoi figli sono prediletti, tutti sono amati di un amore speciale, unico, personale. È lo stesso insegnamento che ci viene proposto con la parabola degli operai delle diverse ore (Mt 20,1-15). Chi mai può dirsi insoddisfatto della propria ricompensa, solo perché il padrone si mostra buono e generoso verso tutti? Quando noi facciamo paragoni, o reclamiamo distinzioni e preferenze, o vantiamo meriti, o ci lamentiamo del successo dei nostri amici o rivali, dobbiamo ascoltare bene quello che dice il Signore: «Tu sei invidioso, perché io sono buono?» (Mt 20,15).
Il padre della parabola organizza una grande festa per il figlio tornato a casa. Non manca proprio nulla: vestiti, anello, calzari, banchetto, musica, danze. Egli stesso si veste a festa, fa adornare la sua casa, prepara il palco per il figlio. Supera le resistenze e le rimostranze del figlio maggiore: «Bisognava far festa e rallegrarsi» (Lc 15,32). È un imperativo: un imperativo dell'amore. L'amore non conosce limiti; l'amore esplode in gioia e in festa. E la gioia non è vera gioia se non è partecipata da tutti i presenti. Un solo emarginato turba il clima della festa.
Dio ci ama e vuole la nostra gioia. Organizza un banchetto per tutti i suoi figli per festeggiare le nozze di suo Figlio (cf Mt 22,1-14, Lc 14,16-24). Tutti sono invitati, nessuno è escluso: «Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze» (Mt 22,9). Il Dio cristiano è un Dio di gioia. Non solo la parabola del figlio prodigo, ma anche le altre due parabole della misericordia terminano con un messaggio di gioia. Esprimono la gioia stessa di Dio, sorgente di ogni gioia umana. La gioia del pastore per la pecora ritrovata è il simbolo della gioia di Dio per il figlio ritornato: «Ci sarà più gioia nel cielo per un solo peccatore convertito che per novantanove giusti» (Lc 15,7). La gioia della casalinga per la monetina ritrovata è la gioia degli angeli di Dio (cf Lc 15,10). La gioia di Dio contagia tutta la casa di Dio: angeli, santi, uomini, cielo, terra. È gioia anche per uno solo su cento, per uno solo su mille e su milioni. Sì, perché ogni uomo è figlio di Dio, ogni uomo è un valore infinito, ogni singolo uomo vale tutti i mondi. Nessuno è un numero davanti a Dio, nessuno è un modello di una serie. Tutti sono originali, tutti sono figli unici e prediletti. Non è possibile? «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio» (Mc 10,27).
Questo impossibile che è possibile spiega anche perché in Dio, e nei figli di Dio, possono coesistere gioia e sofferenza. Il Figlio di Dio è il re glorioso e il servo sofferente, è lo sposo gioioso e l'uomo dei dolori. Soffre nel vedere che l'amore del Padre non è accolto, è rifiutato. Si può essere felici se manca un fratello a tavola o se tiene rancore contro il fratello? Il Signore gioisce quando un malato nel corpo e nello spirito gli grida: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me» (Lc 18,38). Gioisce quando una donna peccatrice gli si getta ai piedi in lacrime, per implorare il perdono di Dio (cf Lc 6,36-38). La gioia del Padre è che «tutti gli uomini siano salvi» (1 Tm 2,4).
Il Figlio
È troppo ardito vedere Gesù nel figlio prodigo? Come si può infatti vedere il santo nel peccatore pur pentito? Eppure sappiamo che Gesù si è caricato dei peccati di tutti noi (cf Is 53,12) e che «portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce» (1 Pt 2,24). Paolo spiega con parole drammatiche la condizione del Figlio innocente e sofferente: «Colui che non aveva peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio» (2 Cor 5,21). Per questo il Figlio eterno diventa compagno di cammino degli uomini sulla terra, si assume i loro peccati e diventa figlio prodigo. Lascia la casa del Padre in cielo, viene in un paese straniero e pone la sua tenda tra gli uomini (cf Gv 1,4). Dona tutto quello che ha, è abbandonato, disprezzato, e alla fine, per la via della croce, torna alla casa del Padre. Veramente «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9). Si è fatto figlio prodigo, perché noi diventassimo figli prediletti. Al suo ritorno al Padre porta con sé una moltitudine di fratelli: «Ascendendo in cielo ha portato con sé i prigionieri» (Ef 4,7), conduce con sé tutti i figli prodighi, perduti e ritrovati.
E il figlio maggiore? In qualche modo Gesù si fa simile anche a lui, porta anche il suo peccato, perché vuole salvare anche lui. C'è una corrispondenza che colpisce tra le parole del padre al figlio maggiore e le parole di Gesù che parla del Padre suo. Il padre della parabola dice: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo» (Lc 15,21). E Gesù parla così del Padre: «Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite» (Gv 5,19). E a conclusione del dialogo di Gesù con Nicodemo leggiamo: «Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa» (Gv 3,35). Gesù, inviato dall'amore del Padre, entra in dialogo con quel figlio maggiore, perché lo vuole aiutare ad uscire dal suo egoismo e dal suo risentimento, a decidersi nella sua libertà e ad entrare in comunione con l'altro fratello, con tutti i fratelli e con il padre. Tutti sono chiamati ad entrare nella casa del Padre e a sedere alla sua mensa (cf Mt 8,11).
E io?
Continuo a contemplare il dipinto di Rembrandt, alla luce del racconto di Gesù. Capisco che è anche la mia storia, la storia che Dio vuole raccontarmi, la storia che io voglio raccontare a Dio, la storia che io voglio annunciare ai miei fratelli e sorelle. È la storia di Rembrandt, la storia del popolo di Dio, la storia degli uomini. È la storia di Dio! Nasce un dialogo tra me e Dio. Sento che peccato e perdono si abbracciano, che morte e vita si toccano: il peccato è bruciato dall'amore. Vedo che il cielo e la terra, il tempo e l'eterno, l'umano e il divino si congiungono e diventano una cosa sola. Non posso rimanere estraneo, devo entrare anch'io nella scena. Quale parte scelgo?
Spontaneamente scelgo la parte del figlio prodigo: mi è congeniale. Quante volte ho abbandonato la casa del Padre, in cerca di avventure e di esperienze nuove! Le attrazioni sono più o meno sempre le stesse: denaro, potere, piacere, concupiscenza, autonomia, orgoglio, soddisfazione. Sono le tentazioni che ha provato anche Gesù (cf Mt 4,1-11; Lc 4,1-13). Giovanni le riassume come «concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita» (1 Gv 2,16). Ogni volta che cerco l'amore fuori della casa del padre infliggo una ferita al suo cuore. Piccole o grandi evasioni da casa sono sempre un'offesa alla sua paternità e al suo amore. Ma quante volte ho provato la gioia dell'abbraccio misericordioso e benedicente del Padre! Quante volte mi sono sentito fallito, abbandonato, incompreso, non amato. Quale grande gioia nel sentirsi consolato da Dio, amato, perdonato, aiutato. Gesù è l'amore di Dio fatto uomo per noi, per me, e io posso dire con Paolo: «Mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20).
Quanto al fratello maggiore... non mi piace il suo comportamento. Pur riconoscendo la sua fedeltà alla casa e la sua laboriosità, lo trovo egoista, invidioso, pronto a giudicare, sicuro di sé e della sua giustizia. Non è vero che anche lui si è spiritualmente allontanato da suo padre? Ma se mi guardo bene, io che lo critico mi comporto esattamente come lui e peggio di lui. Mi accorgo che la mia parte nella scena è più vicina alla sua che a quella del figlio più giovane. Sono pronto a brontolare, a giudicare, a condannare gli altri. Non cedo nei miei punti di vista, non ammetto indulgenze verso chi ha sbagliato, non condivido la gioia degli altri. Temo di essere sottovalutato, mi spiace se qualcuno mi viene preferito, sono geloso, mi risento se qualcuno non riconosce la mia personalità. Forse è più difficile guarire dalla malattia del figlio maggiore che dalla malattia del figlio minore. Questo soffriva di una malattia legata ai sensi, quello di una malattia legata allo spirito. Tutti e due sono figli perduti. Tutti e due hanno bisogno di redenzione. Io sono a volte l'uno, a volte l'altro, a volte insieme.
Quanto poi al padre non mi viene neanche in mente che io potrei fare la sua parte. II padre è sublime, è al di sopra di tutto, illumina tutto, è il centro di tutto: sembra inimitabile. Eppure quando ascolto Gesù che mi dice: «Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro» (Lc 6,36), mi prende una forza speciale. Le sue parole sono rivolte a uomini, non ad angeli; sono rivolte ad uomini deboli e peccatori come me, non a profeti e a santi. Allora capisco che Gesù mi chiama a imitare il padre. La mia vocazione è di diventare padre, padre misericordioso come lui. Sono sempre figlio, ma chiamato a condividere la tenerezza del padre. Gesù è l'immagine perfetta della tenerezza del Padre. Dio, unico Padre (cf Mt 23,9), mi chiama a rappresentarlo come padre, a vivere nell'amore per la forza del suo Spirito. Proprio perché da lui «proviene ogni paternità in cielo e sulla terra» (Ef 3,15), egli mi invita a essere partecipe e testimone della sua paternità. Solo vivendo come padre che ama, posso manifestare una piccola luce dell'amore infinito di Dio.
In un'epoca in cui la figura del padre in Occidente sta perdendo rilevanza e credibilità, in un'epoca in cui il ruolo del padre in Oriente conserva una forma autoritaria, in «una società senza padri» (come qualcuno ha detto) è importante e necessario testimoniare il vero ruolo del padre secondo il vangelo. La parabola dei due figli perduti e del loro padre amoroso deve suscitare in me una doppia domanda: «Come posso diventare figlio? Come posso diventare padre?». L'esperienza vissuta di Paolo lo fa esclamare: «Lo Spirito stesso attesta al nostro Spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare alla sua gloria» (Rm 8,16-17). Siamo figli e siamo eredi: ci vengono partecipati i doni di casa, sono nostri. Come è bello quanto Paolo dice ai cristiani di Corinto e a tutti noi: «Tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro. Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (l Cor 3,21-22). Vivere col Padre, tornare alla sua casa è un perenne invito ad essere pieni di amore e di tenerezza come Lui. Siamo chiamati a trasformarci a sua immagine. Siamo chiamati a rivestirci di Cristo, il figlio prediletto. Lui ha vissuto in modo perfetto la beatitudine che ha proclamato sul monte: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7). Beati quelli che sanno amare, perché sono amati da Dio.
LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 27 marzo 2022, IV Quaresima - Anno C
L'Amore che converte e dà la vitaGiosué 5, 9a.10-12 . Salmo 33 . 2 Corinti 5, 17-21 . Luca 15, 1-3.11-32
LetturaSiamo al centro della sezione che presenta il viaggio di Gesù verso Gerusalemme. Qualcuno definisce il capitolo quindici: "cuore del terzo vangelo". Qui, come precedentemente, la scena del pasto che viene consumato da Gesù, fa da sfondo. Ora però i commensali non sono più gli scribi ed i farisei ma i peccatori. In questo quadro si collocano le tre parabole dette della "misericordia": la pecora smarrita (15, 3-7), la moneta d'argento perduta (15, 8-10) e la parabola del padre con i suoi due figli (15, 11-32). La liturgia quaresimale propone soltanto la terza.
Lc 15, 1-3.11-321 Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: "Costui accoglie i peccatori e mangia con loro". 3Ed egli disse loro questa parabola:11Disse ancora: "Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: "Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta". Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: "Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati". 20Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: "Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio". 22Ma il padre disse ai servi: "Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". E cominciarono a far festa. 25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: "Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo". 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: "Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso". 31Gli rispose il padre: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato"".CommentoIl brano si apre con una introduzione (vv. 1-3) che presenta i pubblicani ed i peccatori particolarmente vicini a Gesù, "per ascoltarlo". I farisei e gli scribi invece mormorano a causa del comportamento poco ortodosso tenuto da Gesù. Infatti gli ebrei osservanti devono assolutamente evitare di avere rapporti di qualsiasi genere con i peccatori. Segue la parabola (vv. 11-32) organizzata in due scene, che sono delineate dal comportamento dei figli e collegate tra loro dalla figura e dagli atteggiamenti del padre. L'itinerario del figlio più giovane è descritto molto dettagliatamente: allontanamento dal padre, decadimento morale, inizio della conversione e tappe successive, ritorno al padre. Ogni peccatore può identificarsi in questo figlio e vede la propria esperienza di lontananza da Dio. È il padre poi che prende l'iniziativa e va incontro al figlio ("il padre lo vide, ebbe compassione e gli corse incontro"). La riconciliazione, carica di doni paterni, è concessa a chi è figlio e tale si riconosce: "non sono più degno d'essere chiamato tuo figlio". Il figlio maggiore, che da tanti anni serve il padre e non ha mai trasgredito un suo comando, si indigna per il comportamento assunto dal padre verso il fratello ritornato. Il padre esce a pregarlo, cercando di fargli capire il posto che egli occupa nel suo cuore, ma nello stesso tempo ribadisce la necessità di far festa per il fratello che "era perduto ed è stato ritrovato". I giusti, ebrei o cristiani, si possono ritrovare in questo secondo figlio. Anch'essi, che ricevono tutto dal padre e quindi da Dio, non possono creare classi o steccati tra di loro. Gesù stesso, attraverso la parabola, si presenta come colui che viene incontro a chi si crede giusto per manifestare l'amore smisurato di Dio verso tutti. Il racconto non dice come si comporterà il figlio maggiore dopo l'incontro col padre, forse perché resta sempre problematica la conversione di coloro che si ritengono giusti, o forse perché la narrazione aperta lascia spazio a diversi e possibili comportamenti.
Gesù rivela con i suoi insegnamenti e col suo atteggiamento l'amore sovrabbondante di Dio per tutti gli uomini. Tra questi hanno un posto prediletto i peccatori, perché egli vuole salvare tutti. Di conseguenza il giusto, che vive particolarmente in comunione con Dio, è invitato a non creare una casta di privilegio, ma, sull'esempio di Gesù, ad operare perché tutti gli uomini incontrino l'amore di Dio e quindi la salvezza. Per vivere così è necessaria una vera e radicale conversione.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREUn tema che collega le tre letture potrebbe essere la categoria paolina di riconciliazione: "Dio che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione". L'immagine di Dio che si riconcilia con l'umanità è espressa nella figura e nell'atteggiamento del padre della parabola evangelica. Il quadro si delinea molto meglio e stimola un approfondimento ulteriore, mettendo a confronto i reali sentimenti del padre con quanto invece i due figli erroneamente immaginano di lui. Il cuore di Dio viene manifestato anche nella prima lettura, quando Israele arriva nella terra promessa: il dono del Padre celeste.
Infine si è invitati a considerare che tipo di immagine si ha di Dio e quale poi si diffonde. È nostra responsabilità conoscere Dio come Gesù lo ha rivelato e diffondere la sua giusta immagine. In questo campo false idee possono vanificare la possibilità di autentici cammini di conversione ed escludere, se non dalla salvezza, certamente dalla gioia della comunione accolta.
La vita(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
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Goito 20 marzo 2022, III Quaresima - Anno C
Gesù è il vignaiolo compassionevoleEsodo 3, 1-8a.13-15 . Salmo 102 . 1 Corinzi 10, 1-6.10-12 . Luca 13, 1-9
LetturaAlla fine del nono capitolo, Luca presenta Gesù che si dirige risolutamente verso Gerusalemme. Durante il cammino egli, con le parole e gli atteggiamenti, rivela il senso di quanto accadrà nella città santa. Così facendo invita gradualmente i discepoli ed il lettore a camminare con lui, per partecipare della sua salvezza che là si compirà.
Lc 13,1-91In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2Prendendo la parola, Gesù disse loro: "Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo".6Diceva anche questa parabola: "Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7Allora disse al vignaiolo: "Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest'albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?". 8Ma quello gli rispose: "Padrone, lascialo ancora quest'anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9Vedremo se porterà frutti per l'avvenire; se no, lo taglierai"".CommentoIl brano si divide in due parti. Nella prima (vv. 1-5) abbiamo le parole di Gesù relative a due fatti accaduti in quei tempi. Alcuni, forse per metterlo in difficoltà, gli riferiscono dei galilei uccisi da Pilato nel tempio mentre stavano compiendo i loro sacrifici. La Galilea infatti era diventata un focolaio di movimenti rivoluzionari. Qui si rifugiavano gli zeloti, un gruppo terroristico che colpiva i romani per costringerli a lasciare la Palestina. Molto probabilmente Pilato soppresse alcuni di questi esponenti che erano diventati scomodi per Roma. Gesù di sua iniziativa aggiunge poi un altro fatto: la morte di diciotto persone sotto il crollo della torre di Siloe. I due episodi servono a Gesù per comunicare alcuni insegnamenti importanti. Innanzitutto egli dichiara che le disgrazie o le malattie non sono da pensare una punizione divina per i peccati personali commessi: "credete che quei galilei fossero più peccatori di tutti?" o "credete che fossero più colpevoli di tutti?". Gesù afferma anche che tutti sono peccatori e quindi bisognosi di conversione: "se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo". Il peccato è la causa di ogni male e porta alla distruzione dei singoli e dei gruppi, se non si convertono. Infine si ricava pure che gli eventi, la natura e la storia personale manifestano sempre un messaggio di Dio per gli uomini. Nella seconda parte (vv. 6-9), attraverso una parabola, vengono approfonditi gli insegnamenti precedenti. Il fico senza frutti rimanda alla situazione di colpevolezza in cui tutti si trovano: Israele, la Chiesa, l'umanità. Il giudizio di Dio sarà inesorabile al riguardo. Egli però dà un'ultima possibilità per mezzo di Gesù Cristo, il vignaiolo compassionevole, perché si portino frutti di conversione. Allora il tempo presente è di salvezza, se si segue Gesù Cristo e ci si converte, o di giudizio dio condanna, se lo si ignora, non portando frutti adeguati.
Dio parla continuamente anche attraverso tutto quello che capita attorno agli uomini! Costoro sono per lui tutti uguali ed evidenziano un unico bisogno impellente: la conversione. Solo questa può sottrarre dal giudizio tremendo di Dio. Per attuare una vera conversione occorre lasciarsi "curare" da Gesù Cristo, vignaiolo compassionevole. Con i suoi insegnamenti e col dono della sua stessa vita porta ciascuno a produrre frutti maturi.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREIl significato complessivo delle tre letture di questa domenica può essere individuato nell'appello ad accogliere con giusta premura il lavoro fatto da Dio, perché si portino frutti. L'idea è già chiara nella parabola di Gesù: è necessario che il lavoro del vignaiolo trovi corrispondenza nella fecondità del fico. Essa risulta anche dalla lettura del testo dell'Esodo: Dio ha osservato la miseria del suo popolo e si è deciso per l'intervento; adesso, però, tocca a Mosè "fare la sua parte". Il riconoscimento dell'incontro avuto con il Signore, deve prolungarsi nell'impegno, faticoso e rischioso, di farsi carico della vicenda complessiva del popolo. D'altra parte il servizio fedele di Mosè al popolo diventa rivelatore di colui che lo ha mandato: Dio. Paolo interpreta, nella seconda lettura, le disavventure antiche capitate al popolo come segno della loro infedeltà e sterilità. Da qui l'invito a cogliere l'insegnamento contenuto nella storia e a non cadere.
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Goito 13 marzo 2022, II Quaresima - Anno C
Trasfigurati dalla preghiera e dalla croceGenesi 15, 5-12.17-18 . Salmo 26 . Filemone 3, 17-4,1 . Luca 9, 28-36
LetturaGesù sta svolgendo il suo ministero in Galilea. Egli predica e guarisce, chiama i discepoli a seguirlo e sorgono i primi contrasti con gli avversari. Dopo aver scelto i dodici tra i discepoli, li manda in missione. A loro un giorno chiede di dire un parere su cosa le folle pensano di lui; anch'essi sono invitati ad esprimersi al riguardo. Pietro, a nome di tutti, dichiara la loro fede; questa però è subito messa in difficoltà dal primo annuncio della passione e dalla dichiarazione sulla necessità per il discepolo di portare la croce dietro a Gesù. Qui si colloca la pericope della Trasfigurazione.
Lc 9, 28-3628Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia". Egli non sapeva quello che diceva. 34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All'entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: "Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!". 36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.CommentoIl racconto inizia presentando Gesù che, prendendo "con sé Pietro, Giovanni e Giacomo", sale "sul monte a pregare". Occorre sottolineare il riferimento al monte, come luogo della manifestazione di Dio e della comunione con Lui attraverso la preghiera. Mentre Gesù prega il suo volto si trasforma, "la sua veste divenne candida e sfolgorante", in quanto simbolo della persona divina. L'evangelista Luca è particolarmente interessato al colloquio tra Gesù ed i due uomini, identificati poi con Mosé ed Elia. Essi parlano con Gesù "della suo esodo", della sua dipartita, della fine della vita "che stava per compiersi a Gerusalemme". È chiaro che qui Gesù prende coscienza del suo dover soffrire. A questa scena così intensa, in quanto manifestazione della gloria di Cristo ed anticipazione della sua sofferenza, fa da contrasto la non comprensione dei discepoli, che assistono al fatto. Essi, "oppressi dal sonno", non si rendono conto di quanto accade, oppure, come Pietro, fanno proposte inadeguate al momento. Infatti egli voleva arrivare alla "gloria" senza passare attraverso la croce. Quanto i discepoli non riescono a raggiungere con le proprie forze il progetto di Dio, è possibile sperarlo dall'intervento di Dio e dalla sua rivelazione. La presenza di Dio sul monte e la sua parola, spingono i discepoli a fidarsi di Gesù Cristo e a credere ai suoi insegnamenti: "Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo".
La trasfigurazione di Gesù è anticipazione della sua pasqua di morte e resurrezione. È un'esperienza che avviene nella preghiera; aiuta Gesù a mettersi decisamente sulla strada della passione e stimola i discepoli a superare la loro distanza che li separa dal mistero di Dio. Dio che si rivela è realmente accolto da essi quando diventano capaci di ascoltare e recepire fino in fondo il discorso della croce. Chi nella preghiera crede e ascolta, facendo della croce la regola della vita, cammina con Cristo verso la gloria della Pasqua eterna.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTURELa "trasfigurazione" è l'esperienza che fa percepire il senso più profondo della realtà. Essa non può mai significare il suo abbandono in vista di un altro mondo più appetibile. Le parole di Mosè e di Elia rivelano la trasfigurazione di Gesù come il momento in cui egli viene definitivamente orientato e sostenuto nella sua partenza per Gerusalemme. Anche per Pietro ed i suoi compagni, la partecipazione a quel momento li spinge a una responsabilità impegnativa nel presente, segnata dalla croce. Essi non sono invitati a stare sul Tabor, ma a scendere e ad andare. Per Abramo, nella prima lettura, la visione del cielo e delle stelle con le parole divine sono l'immissione impegnativa nella promessa e negli sviluppi futuri della storia di Dio con lui e col suo popolo. Lo sguardo alla "patria nei cieli" e la certezza della "trasfigurazione del corpo mortale", presentati dalla seconda lettura, non sono da intendere come consolazione o come distrazione dal presente. Essi sono riferimenti, che aiutano il cristiano ad essere consapevole delle dimensioni più profonde della sua realtà, lo rendono capace di stare rivolto da amico alla croce di Cristo e di evitare l'eccessivo interesse per le cose della terra.
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Goito 6 marzo 2022, I Quaresima - Anno C
Lo Spirito e la Parola vincono il DiavoloDeuteronomio 26, 4-10 . Salmo 90 . Romani 10, 8-13 . Luca 4, 1-13
LetturaIl brano evangelico della prima domenica di quaresima, riporta ai testi iniziali dell'opera attraverso i quali l'evangelista presenta i segni che identificano Gesù. Dopo la manifestazione di Gesù come Figlio di Dio al battesimo (3, 21-22), si ha la genealogia, che qualifica il Figlio di Dio come figlio del primo uomo Adamo (3, 23-38). Infine incontriamo il testo odierno.
Lc 4, 1-131Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, 2per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. 3Allora il diavolo gli disse: "Se tu sei Figlio di Dio, di' a questa pietra che diventi pane". 4Gesù gli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo".5Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra 6e gli disse: "Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. 7Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo". 8Gesù gli rispose: "Sta scritto: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto".9Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: "Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; 10sta scritto infatti:Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardoaffinché essi ti custodiscano;11e anche:Essi ti porteranno sulle loro maniperché il tuo piede non inciampi in una pietra".12Gesù gli rispose: "È stato detto: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo".13Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.CommentoIl racconto inizia presentando Gesù, "pieno di Spirito Santo", che lascia il Giordano e, guidato dallo Spirito, va nel deserto. La sottolineatura di Luca sul ruolo dello Spirito, si ricollega al racconto della sua discesa su Gesù mentre prega dopo il battesimo ed anticipa tutte le altre volte che l'evangelista indicherà il forte rapporto esistente tra Gesù e lo Spirito Santo. I quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto, assistito dallo Spirito, sono stati da lui in obbedienza alla volontà di Dio. La tentazione, sperimentata in quel contesto, diventa così una tappa necessaria, inscritta in un cammino positivo di crescita. Luca aggiunge anche che Gesù, "in quei giorni", "non mangiò nulla". In questo modo l'attenzione del lettore si porta su Gesù, il quale è tanto concentrato nella lotta contro la tentazione da non pensare nemmeno a mangiare. Terminati i quaranta giorni, egli ebbe fame; con questa annotazione si introducono le tre tentazioni emblematiche narrate nel testo. La prima tentazione del diavolo consiste nel chiedere a Gesù di trasformare in pane una pietra. Gesù risponde citando il Deuteronomio ("sta scritto: "non di solo pane vivrà l'uomo") ed invita ad andare all'essenziale della vita. La seconda spinge Gesù ad essere condizionato dalla potenza e dalla gloria mondane. Secondo l'evangelista è il diavolo che insinua negli uomini questa tentazione subdola e sottile. Gesù risponde citando la Scrittura nella quale si proclama che solo a Dio occorre prostrarsi. La terza, immaginata avvenuta sul pinnacolo del tempio di Gerusalemme, consiste nel chiedere a Gesù che faccia valere la sua identità di "Figlio di Dio" e quindi pretendere soccorso nelle situazioni di grave difficoltà. Si tratta della tentazione per le soluzioni miracolistiche e magiche dei problemi della vita. Ancora Gesù risponde citando le Scritture ed invita a confidare pienamente in Dio. Il racconto si chiude dicendo che "dopo aver esaurito ogni specie di tentazione il diavolo si allontanò da lui". La battaglia però non è finita; si ha ora una tregua fino "al tempo fissato", quando il diavolo tornerà. Questo tempo è quello della passione ed in particolare il momento in cui satana spinge Giuda al tradimento del Maestro.
Le tentazioni con cui inizia il cammino del Figlio di Dio, guidato dallo Spirito Santo, evidenziano una realtà costitutiva della vita. Esse, che si insinuano in tutte le dimensioni del vissuto umano, vanno riconosciute e superate attraverso un riferimento forte e costante alle Scritture ed una confidenza filiale in Dio.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREIl testo guida è il racconto che presenta Gesù nel deserto per quaranta giorni, dove subisce tentazioni. Si tratta, infatti, del brano caratteristico della prima domenica di quaresima. La difficoltà della tentazione consiste nel non riuscire a procedere nella vita di fede, da parte dell'uomo che ha ricevuto il dono dello Spirito. Questo dono non è un possesso pacifico, ma è sempre esposto all'asprezza della lotta con il diavolo. In questo senso diventa emblematico il comportamento di Gesù, il quale è capace di mantenersi fedele a causa di un efficace orientamento a quello che il Signore richiede ed è manifestato nella Scrittura. La situazione dell'israelita, descritta nella prima lettura, che deve accogliere i frutti della terra e del suo lavoro come un dono di Dio, porta ad un sempre rinnovato riconoscimento del Signore. Nel testo di Paolo è presentato il cristiano che, dopo aver creduto con il cuore ed ottenuto la giustificazione per la fede, cammina ulteriormente verso la salvezza con la confessione della bocca: "Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo".
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Goito 27 febbraio 2022, VIII domenica TO - Anno C
Per dare buoni fruttiSiracide 27, 4-7 . Salmo 91 . 1 Corinzi 15, 54-58 . Luca 6, 39-45
LetturaIl brano odierno fa parte del discorso detto della pianura: Lc 6,20 – 49. Rispetto a Matteo, l'evangelista Luca fa una proposta molto concisa ed incisiva. Siamo nella parte parabolica del discorso e la liturgia in questa domenica ne propone la prima parte.
Lc 6, 39-4539Disse loro anche una parabola: "Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? 40Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.41Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? 42Come puoi dire al tuo fratello: "Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio", mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.43Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d'altronde albero cattivo che produca un frutto buono. 44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. 45L'uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.CommentoIl testo di Luca raccoglie alcune sentenze pronunciate da Gesù per i discepoli e forse in polemica con gli avversari, in un contesto generale di carattere parabolico. L'inizio infatti rimanda a tale sfondo: "Gesù disse ai suoi discepoli una parabola".
Seguono poi le cinque sentenze. La prima (v. 39) è un invito rivolto ai discepoli a non essere ciechi: "Può forse un cieco guidare un altro cieco?". Ciechi sono coloro che non seguono gli insegnamenti di Gesù e di conseguenza la volontà di Dio. Nella comunità di Gesù tutti ricevono compiti educativi alla fede e responsabilità di guidare altri nel cammino cristiano (figli, amici, parenti, ecc.). Ognuno deve assumersi le proprie responsabilità nella fedeltà prima di tutto e nel non delegare ad altri il compito di guida. La seconda sentenza riguarda il discepolo ed il maestro. Essa completa la riflessione iniziata nella prima. Il discepolo deve essere consapevole di dipendere sempre dall'unico maestro Gesù Cristo. Ogni attività svolta dal discepolo è sempre nel nome di Cristo Signore. Questo però non autorizza nessuno a sentirsi indegno o impreparato, perché chi segue il maestro e mette in pratica quanto lui insegna, continua a svolgere la sua stessa missione: "un discepolo non è più del maestro; ma ognuno che sia ben preparato sarà come il suo maestro". Il terzo detto parabolico è sulla scheggia e sulla trave nell'occhio: "perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo?". Anche in questo caso, probabilmente in polemica col comportamento dei suoi avversari connazionali, invita i discepoli a non giudicare le persone secondo le categorie umane, ma a rifarsi continuamente alla misericordia di Dio. La correzione fraterna è utile ed importante, ma solo se esprime la misericordia di Dio e porta ad incontrare il suo amore. Segue il paragone dell'albero buono e di quello cattivo. Essi sono dichiarati tali a secondo dei loro frutti: "Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né albero cattivo che produca frutto buono". Nell'ultima sentenza l'immagine dell'albero è applicata all'uomo. Anche l'uomo buono produce risultati buoni ed il cattivo frutti di malvagità. La bontà o la malvagità della persona si rivela nei suoi comportamenti esteriori, che dipendono dalla interiorità, cioè dai valori fondamentali che una persona ha posto a base della sua esistenza. Questa è la roccia sulla quale i discepoli sono invitati a costruire la casa della loro vita a cui fa riferimento la parabola finale non riportata nel testo liturgico (Lc 6,47– 49).
Il discepolo, che segue Gesù Cristo, non può accettare di omologarsi sui comportamenti e sugli insegnamenti frutto della saggezza umana. Egli è invitato a modellare la propria vita sulle parole dette da Gesù, per essere guida autorevole, per essere segno dell'amore misericordioso di Dio e per dare frutti buoni. In quanto radicato profondamente sugli insegnamenti del Maestro, il discepolo è l'uomo saggio ben radicato sulla roccia.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTURELa coerenza tra scelta di fede e comportamento pratico del credente è il tema che unisce le letture. Il libro del Siracide afferma con autorevolezza che la modalità con cui l'uomo parla è la sua prova di vita. "La parola rivela il sentimenti del cuore", dice la prima lettura, in quanto attraverso la parola la persona rivela quello che è ed i valori che possiede. Anche il testo del Vangelo è in questa linea: "l'uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda". Di fronte a questo impegno il cristiano può scoraggiarsi perché riflettendo gli appaiono i suoi difetti e si rende conto delle proprie incoerenze. A questo punto diventa forte e carico di speranze il messaggio di Paolo ai Corinzi: "La morte è stata inghiottita dalla vittoria. Dov'è o morte la tua vittoria? Dov'è o morte il tuo pungiglione?". Gesù Cristo, vincendo la morte, vince anche i nostri limiti, le nostre incoerenze ed i nostri difetti. Veramente è da credere che prima o poi la coerenza tra fede e vita si realizzerà in noi e nella comunità per la potenza del Signore morto e risorto. A noi resta nel frattempo da prendere sul serio il monito paolino: "rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più
nell'pera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore""
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Goito 20 febbraio 2022, VII domenica TO - Anno C
Amare senza misura1 Samuele 26, 2.7-9.12-13.22-23 . Salmo 102 . 1 Corinti 15, 45-49 . Luca 6, 27-38
LetturaIl così detto discorso della pianura, riportato dall'evangelista s. Luca, è strutturato in tre parti. All'inizio si ha l'annuncio profetico (vv. 20-26), costituito dalle beatitudini e dai "guai". Segue la parte parenetica (il passo odierno: vv. 27-38) ed infine quella parabolica (vv. 39-49).
Lc 6, 27-3827Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, 28benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. 29A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l'altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. 30Da' a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.31E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. 32Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. 33E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. 34E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. 35Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell'Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.36Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.37Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. 38Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio".CommentoIl brano inizia presentando Gesù che si rivolge a tutti i suoi uditori: "a voi che ascoltate, io dico ...". Costoro sono i discepoli, la folla che lo circonda è idealmente chiunque si trovi ad ascoltare le sue parole. A tutti Gesù insegna: "Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano ...". L'amore al nemico è il messaggio etico specifico portato da Gesù e la novità assoluta da lui predicata e vissuta. Che cosa significa amare i nemici? Lo spiega Gesù stesso: fare del bene, benedire e pregare per coloro che vi odiano, maledicono e maltrattano. Egli precisa poi che si giunge ad amare il nemico soltanto se si fa propria la regola d'oro, presente nelle civiltà antiche: "come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro". Gesù non dice di evitare agli altri quello che non desideriamo, ma spinge a farsi carico positivamente e creativamente di quanto immaginiamo che gli altri desiderano da noi. Vivendo così si giunge fino ad amare i nemici, cioè al vero amore cristiano. Il contenuto dell'insegnamento di Gesù è ulteriormente specificato attraverso tre interrogative retoriche nei vv. 32-34. Queste mostrano come l'amore per coloro che ci amano, la beneficenza a chi ci ha fatto del bene, il prestito concesso a chi è in grado di contraccambiare, non contrassegnano la realtà cristiana, ma sono comuni a tutti gli uomini, peccatori compresi. Gesù desidera che il comportamento dei suoi discepoli si qualifichi per l'amore verso i nemici, nel fare il bene e nel prestare "senza sperarne nulla". Solo vivendo così, egli dice, "sarete figli dell'Altissimo" e diventerete misericordiosi come il Padre vostro. La parte finale del testo presenta le conseguenze pratiche di chi è misericordioso. Gli atteggiamenti assunti nella vita, in sintonia con le parole di Gesù, determineranno l'atteggiamento escatologico di Dio nei nostri confronti e la consistenza del premio eterno.
Chi ascolta le parole di Gesù necessariamente deve incarnarle nella vita attraverso un comportamento etico conseguente. Il cristiano è lanciato da Gesù verso l'obiettivo specifico dell'amore da lui insegnato che porta a fare agli altri quello che essi desiderano da noi. Questa prospettiva deve completarsi necessariamente con l'amore al nemico. Solo così si è veri discepoli di Cristo e figli di Dio in camminano verso il premio eterno.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREDavide è nell'accampamento di Saul e tutta la truppa del re dorme profondamente. Egli ha la possibilità di eliminare il suo nemico, ma non vuole uccidere Saul e dice: "chi mai ha messo la mano sul consacrato del Signore ed è rimasto impunito?". Per questo la lancia del re e "la brocca d'acqua, che era dalla parte del capo di Saul" diventano il segno che Davide ha risparmiato il "consacrato del Signore" e che "il Signore renderà a ciascuno secondo giustizia". Il comportamento di Davide descritto nella prima lettura è l'anticipazione dell'insegnamento evangelico di Gesù, che vuole i suoi discepoli capaci di amore concreto verso tutti fino ad amare i nemici. Questa prospettiva di vita non è sicuramente possibile all'uomo fatto soltanto di terra, come dice s. Paolo nella seconda lettura. Per entrare in tale dinamica evangelica è necessario portare sempre più "l'immagine dell'uomo celeste", che completa "l'immagine dell'uomo di terra", e rende sempre più "figli dell'Altissimo".
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Goito 13 febbraio 2022, VI domenica TO - Anno C
É beato chi dà il cuore a CristoGeremia 17, 5-8 . Salmo 1 . 1 Corinti 15, 12.16-20 . Luca 6, 17.20-26
LetturaGesù continua a svolgere il ministero in Galilea. Il suo insegnamento e le sue opere suscitano la reazione negativa degli scribi e dei farisei. Nel frattempo egli costituisce i dodici apostoli scegliendoli tra i discepoli, dopo aver trascorso tutta la notte sul monte a pregare (Lc 6, 13-16).
Lc 6,17.20-2617Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, [18che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. 19Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.]20Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:"Beati voi, poveri,perché vostro è il regno di Dio.21Beati voi, che ora avete fame,perché sarete saziati.Beati voi, che ora piangete,perché riderete.22Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell'uomo. 23Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.24Ma guai a voi, ricchi,perché avete già ricevuto la vostra consolazione.25Guai a voi, che ora siete sazi,perché avrete fame.Guai a voi, che ora ridete,perché sarete nel dolore e piangerete.26Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.CommentoIl brano si apre presentando Gesù che, sceso dal monte dell'orazione con i dodici apostoli, viene circondato dai discepoli e da grande moltitudine di gente proveniente "da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone"; questa regione era abitata dai pagani. La gente cerca Gesù per ascoltarlo, per essere guariti e liberati dagli spiriti impuri. L'evangelista ha così presentato i destinatari ultimi del discorso di Gesù. Occorre però osservare che le parole del maestro, pronunciate "in un luogo pianeggiante", sono immediatamente dirette ai discepoli: "alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva". La prima beatitudine ("beati voi poveri, perché vostro é il regno di Dio"), riferita ai discepoli, dichiara beata non la povertà ma la persona che ha creato con Gesù una intensa relazione non condizionata da nulla di materiale. A chi è così, viene dato il regno di Dio. Per contrasto non sono beati ("guai a voi ricchi") coloro che pongono le loro sicurezze ed il loro cuore nei beni materiali. Questi costituiscono per la persona una barriera insormontabile che ostacola l'incontro con Gesù Cristo. I discepoli sono poi beati perché ora hanno fame, cioè il loro rapporto con Gesù Cristo esige l'accettazione di limitazioni e rinunce anche nei bisogni fondamentali della vita. Costoro parteciperanno al banchetto escatologico, preparato alla fine dei tempi, dove ogni limite e carenza umana sperimentati saranno compensati dalla condivisione del regno di Dio. Ma guai invece a chi cerca affannosamente di saziare i propri bisogni, escludendo Gesù Cristo dalla propria vita. Chi si comporta così resterà fuori per sempre dal regno. Sono infine beati quei discepoli che, seguendo "il Figlio dell'uomo", a causa sua ora piangono e sono odiati, insultati, esclusi e calunniati. Anche per questi il regno di Dio, a cui parteciperanno, sarà una ricompensa inimmaginabile. Invece chi cerca la felicità ad ogni costo e con ogni mezzo e narcisisticamente pretende di essere al centro dell'attenzione, desiderando d'essere superiore a tutti, costui è escluso dalla beatitudine e ha la sorte dei falsi profeti.
Per il discepolo la vera beatitudine consiste nell'aver creato un rapporto intenso con Cristo al punto da considerare tutto il resto secondario e marginale: ricchezze, necessità primarie, sofferenza e giudizio degli altri. Sono invece esclusi dalla beatitudine coloro che pongono nelle cose e nelle esperienze umane il loro cuore.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTURE"Maledetto l'uomo che confida nell'uomo, che pone nella carne il suo sostegno e allontanando il suo cuore dal Signore", così inizia la prima lettura tratta dal profeta Geremia. L'uomo che vive confidando esclusivamente sulle relazioni da lui create, gestite e controllate progetta un'esistenza piena di sventure, perché chiusa su se stessa. Egli, dice il profeta, è "come un tamerisco nella steppa", non vede il bene che lo circonda, è come se dimorasse nel deserto o "in una terra di salsedine" dove non cresce nulla. Invece è benedetto "l'uomo che confida nel Signore". Abbiamo incontrato lo stesso insegnamento anche nel brano evangelico. Per Gesù sono beati i discepoli poveri, affamati, piangenti e rifiutati per il vangelo. Costoro sono persone che fondano la loro esistenza nel rapporto col Signore e non si chiudono nel cerchio mortale del loro egoismo. S. Paolo, nella seconda lettura, completa l'insegnamento odierno. La fede in Cristo morto e risorto è la garanzia della beatitudine presente e futura.
La vita(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 6 febbraio 2022, V domenica TO - Anno C – Giornata della vita
La parola di Cristo educa e sconfigge la pauraIsaia, 6,1-2a.3-8 . Salmo 137 . 1Corinti 15,1-11 . Luca 5,1-11
LetturaLasciata Nazaret, Gesù scende a Cafarnao, città della Galilea collocata sulle rive del lago di Genezaret. In quella località continua il suo ministero nella duplice dimensione di annunzio profetico, esercitato con autorità nella sinagoga, e di azione taumaturgica.
Lc 5,1-111Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, 2vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. 3Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.4Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: "Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca". 5Simone rispose: "Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti". 6Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. 7Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. 8Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: "Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore". 9Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; 10così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: "Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini". 11E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.CommentoIl nuovo capitolo si apre presentando Gesù sulla riva del lago mentre insegna "la parola di Dio" alla folla che lo circonda. Il gruppo degli ascoltatori è consistente; per sottrarsi alla ressa e per essere visto e ascoltato da tutti decide di ammaestrarli stando su di una barca, scostato un po' da terra (vv. 1-3). Della prima scena è utile sottolineare la presentazione di Gesù come autorevole maestro inserito nella scia degli inviati da Dio. Segue la narrazione della pesca straordinaria (vv. 4-7). Gesù, terminato l'insegnamento, si rivolge a Simone e gli dice: "prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca". La prima reazione dell'esperto pescatore è di disappunto alla richiesta formulata da Gesù: "Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla". Di giorno quindi il risultato non sarebbe stato sicuramente migliore. Mentre Simone parla, il suo atteggiamento nei confronti di Gesù però si modifica e subito aggiunge: "ma sulla tua parola getterò le reti". La grandiosità della pesca è espressa con un crescendo di immagini. "Presero una quantità enorme di pesci"; poi si presentano le reti che quasi si rompono a causa del tanto pesce; infine le due barche sono appena sufficienti a contenere l'abbondanza dei pesci. Qui Gesù è indicato come un maestro diverso dagli altri. Egli ha una parola efficace che produce risultati inimmaginabili in chi la segue con fede. Infine viene delineata la reazione conseguente di Simone e lo stupore che "aveva invaso lui e tutti gli altri che erano con lui" (vv. 8-10a). La straordinarietà della pesca, che rivela la novità portata dal maestro, spinge Simone (che già a Cafarnao aveva sperimentato questo: cfr. 4,38-41) a buttarsi alle ginocchia di Gesù dicendo: "Signore, allontanati da me perché sono un peccatore". Gesù, che è il Signore, attraverso la sua opera non solo porta l'uomo ad incontrare il mistero di Dio, ma lo aiuta ad avere una percezione realistica delle proprie miserie. Il racconto si chiude con le parole di Gesù rivolte a Simone: "Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini". Egli rassicura Simone e lo incoraggia annunciandogli che avrà la missione di portare gli uomini ad incontrarsi con lui. Simone ed i suoi soci con radicalità e generosità seguono decisamente Gesù, facendolo diventare la guida della loro vita. Occorre da ultimo annotare che nel racconto vi è un particolare interesse per la figura di Simone, già evidenziato anche nel capitolo precedente nella vicenda di Cafarnao.
L'insegnamento autorevole di Gesù trascina le folle. Chi ascolta le sue parole e si fida di lui, come ha fatto Simone, vive esperienze umanamente imprevedibili ed inspiegabili, sempre comunque caratterizzate dall'abbondanza del dono. Tutto questo oggi continua a realizzarsi nella comunità radunata attorno a Simon Pietro e da lui presieduta, nella quale è presente il Signore.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREChi segue con fede le parole di Gesù incontra il mistero "fascinoso e tremendo" di Dio. Anche il profeta Isaia, come si legge nella prima lettura, vede "il Signore seduto su di un trono alto ed elevato". Tale esperienza lo porta a percepire la sua miseria e a proclamare: "Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono...". Vive la stessa dimensione anche Simone che dopo la pesca straordinaria afferma in ginocchio: "Signore, allontanati da me che sono un peccatore". I limiti dell'uomo non ostacolano e non bloccano l'opera di Dio. Egli, come fa Gesù, viene incontro ad ogni individuo, lo incoraggia ("non temere"), toglie da lui ogni peccato ed iniquità con la forza bruciante del suo amore (cfr. prima lettura) e gli affida un compito in ordine alla diffusione della salvezza tra gli uomini. Pure Paolo, che non si ritiene degno "d'essere chiamato apostolo, perché ha perseguitato la Chiesa di Dio", per opera della grazia di Dio è quello che è e trasmette a tutti l'annuncio della Pasqua di salvezza. La Parola accolta con fede apre sempre prospettive di speranza, di bene e di felicità.
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 30 gennaio 2022, IV domenica TO - Anno C
Accogliere Cristo senza ripensamenti e con fiduciaGeremia 1,4-5.17-19 . Salmo 70 . 1Corinti 12,31-13,13 . Luca 4,21-30
LetturaLa liturgia odierna propone la continuazione della pericope lucana incontrata domenica scorsa. Gesù, all'inizio del suo ministero, si reca nella città dove era cresciuto e di sabato entra nella sinagoga. Qui, attraverso una citazione presa dal profeta Isaia, presenta il suo programma che realizzerà poi guidato dallo Spirito Santo.
Lc 4,21-3021Allora cominciò a dire loro: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato".22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: "Non è costui il figlio di Giuseppe?". 23Ma egli rispose loro: "Certamente voi mi citerete questo proverbio: "Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!"". 24Poi aggiunse: "In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro".28All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.CommentoNel brano evangelico troviamo altre parole di Gesù, pronunciate in sinagoga (vv.23-27) le quali sono racchiuse tra due reazioni degli uditori di segno opposto. La prima risulta complessivamente positiva (v.22), mentre la seconda è chiaramente ostile (vv.28-29). Dopo aver udito le prime parole di Gesù, pronunciate a commento del testo isaiano da lui proclamato: "Oggi si è compiuta questa scrittura che voi avete ascoltato", le persone presenti in sinagoga hanno una risposta difficile da delineare nel suo significato. Dapprima si dice che "tutti gli davano testimonianza", poi che "erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca" ed infine, nella domanda: "non è costui il figlio di Giuseppe", si evidenzia un dubbio nascente negli uditori. A questo punto Gesù reagisce pronunciando altre parole. Egli, prevenendo un'obiezione possibile, che diventava richiesta nei suoi riguardi, dice: "Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria". E presentandosi in un primo momento come medico o taumaturgo, attraverso un detto proverbiale da tutti conosciuto ("medico cura te stesso"), evidenzia che questo livello del suo ministero ha molto più successo tra la gente rispetto all'evangelizzazione, scopo per cui egli è venuto. Infatti subito dopo, servendosi ancora di un detto popolare, descrive se stesso attraverso la figura biblica del profeta. Collegandosi poi con le grandi figure storiche di Elia ed Eliseo, sottolinea la costitutiva difficoltà per un profeta di essere "ben accetto nella sua patria", perché egli richiama continuamente e con fortezza il progetto di Dio, dal quale i suoi uditori si sono allontanati. Con i due episodi veterotestamentari (1Re 17 e 2Re 5) dichiara anche che altri accoglieranno il dono di Dio, così come avvenne con la vedova pagana e con Naaman il siro. A questo punto si comprende la reazione ostile finale dei suoi concittadini. Costoro, sentendosi criticati dalle parole di Gesù e comprendendo di essere esclusi dal progetto di Dio manifestato da Gesù, invece di convertirsi, "pieni di sdegno" lo cacciano dalla sinagoga e dal paese tentando di ucciderlo. Misteriosamente Gesù riesce a sottrarsi alla morte e, "passando in mezzo a loro", continua altrove il suo ministero.
Le parole di Gesù e la loro attuazione nella sua persona, suscitano inevitabilmente delle reazioni in chi lo incontra. Chi si avvicina a lui con dei pregiudizi o con delle attese predeterminate rischia di non incontrare la salvezza che viene per mezzo suo. La novità del vangelo, che egli è venuto a portare, se non viene accolta dai destinatari privilegiati, perché essi invece si aspettano quanto a loro fa comodo, troverà sicuramente in altri un cuore capace di far spazio all'annuncio di salvezza.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREIl vangelo evidenzia un'esperienza vissuta da Gesù: l'incomprensione e la persecuzione a causa dell'annuncio attuato. Questo filo percorre tutta la sua vita ed ha sul Calvario la manifestazione più acuta. Nella prima lettura vediamo che anche Geremia è chiamato dalla parola del Signore a dire al popolo ciò che lui gli avrebbe ordinato. Ed anche per il profeta la proclamazione della volontà di Dio comporta la paura da parte sua e l'incomprensione dei destinatari del messaggio. Allora il Signore lo rassicura e dice: "oggi io faccio di te come una fortezza, come un muro di bronzo contro tutto il paese". Infine a Geremia viene anche detto che gli muoveranno guerra, ma non lo vinceranno, perché il Signore sarà sempre con lui. Paolo nella seconda lettura presenta la carità come la "via migliore di tutte". Se da un lato essa chiede al cristiano una lotta difficile, per realizzare e sviluppare le sue dimensioni complesse, dall'altro diventa l'atteggiamento indispensabile per poter sempre evangelizzare. Non esiste evangelizzazione senza carità! In questo senso la carità, proprio perché "non avrà mai fine", diventa per il cristiano la chiamata che fa condividere la croce di Gesù e nello stesso tempo è l'atteggiamento che orienta alla santificazione.
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 23 gennaio 2022, III domenica TO - Anno C – Della Parola di Dio
Evangelizzare a partire dalle ScrittureNeemia 8,2-4a.5-6.8-10 . Salmo 18 . 1Corinti 12,12-31° . Luca 1,1-4; 4,14-21
LetturaIl brano odierno rimanda a due punti diversi del vangelo di Luca. All'inizio leggiamo il prologo (1,1-4), che serve da presentazione generale del vangelo e di tutta l'opera lucana. Poi incontriamo l'inizio della narrazione del ministero pubblico di Gesù e la prima parte della sua presenza a Nazaret (4,14-21).
Lc 1,1-4; 4,14-211Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, 2come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, 3così anch'io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, 4in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.3, 14Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. 15Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.16Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. 17Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:18 Lo Spirito del Signore è sopra di me;per questo mi ha consacrato con l'unzionee mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,a proclamare ai prigionieri la liberazionee ai ciechi la vista;a rimettere in libertà gli oppressi,19 a proclamare l'anno di grazia del Signore.20Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. 21Allora cominciò a dire loro: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato".CommentoIl prologo dà i criteri di lettura del vangelo di Luca. In esso infatti troviamo indicato il metodo usato dall'evangelista nella compilazione dell'opera ("anch'io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza"), il risultato ottenuto ("un resoconto ordinato") e la finalità desiderata (in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto). Chi si accosta al vangelo deve sapere che esso non è una pia lettura, ma serve ad approfondire la scelta di fede effettuata e a dare maggior spessore alla formazione ricevuta. Per questo allora occorre continuamente scrutare e cercare di capire quale sia l'insegnamento che soggiace all'armoniosa e fluida narrazione lucana.
L'inizio del ministero di Gesù è focalizzato da Luca sulla sua presenza in sinagoga a Nazaret e sulle parole da lui pronunciate. La lettura di Isaia, estremamente importante, si colloca nel contesto solenne del rito sinagogale sabbatico. Essa infatti è preceduta da gesti introduttivi ("si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo, ... trovò il passo") ed è seguita da azioni conclusive ("arrotolò il volume, lo consegnò all'inserviente e sedette"). Tutti nella sinagoga lo guardano perché attendono da lui qualcosa di significativo. Le parole di Gesù proclamano infatti subito dopo, che è giunto il tempo del compimento delle Scritture: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato". I dati fondamentali di tale compimento sono indicati nel dono dello Spirito, che consacra Gesù, e nell'evangelizzazione dei poveri, conseguente alla sua missione. Da tale evangelizzazione dipende il destino dei poveri e di tutte le genti, perché in essa si manifesta l'"anno di grazia del Signore".
Ascoltando o leggendo il vangelo di Luca occorre andare in profondità per incontrare Gesù Cristo compimento delle Scritture. Queste, affidate alla chiesa, devono incessantemente essere proclamate nel nome di Gesù e sotto l'azione dello Spirito. Infatti ogni evangelizzazione concreta ed efficace parte sempre dalle Scritture e da esse, accolte con disponibilità, dipende la reale salvezza dei soggetti e delle vicende umane.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTURELa proclamazione delle Scritture, offerta da Esdra al suo popolo e fatta da Gesù a Nazaret, collega la prima lettura col vangelo. La lettura del "libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntar della luce fino a mezzogiorno ..." rende quel giorno "consacrato al Signore", cioè santo e festoso. Il libro di Isaia proclamato da Gesù, trova in lui il pieno compimento e attraverso di lui in tutti coloro che ascoltano le Scritture e le mettono in pratica. Qui si innesta la seconda lettura. É la Parola accolta con docilità che rende le mote membra "un corpo solo"; è la Parola che porta ad essere "battezzati in un solo Spirito"; è ancora la Parola che compiendosi in noi spinge ad "aspirare ai carismi più grandi".
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