LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Mincio
Goito 29 marzo 2020 V domenica di Quaresima
LetturaLa liturgia quaresimale continua a proporre passi dal vangelo di Giovanni. Nel "Libro dei segni" troviamo narrati sette miracoli di Gesù a fronte dei ventinove presenti nei vangeli sinottici. La scelta di sette miracoli-segno evidenzia l'intenzione simbolica dell'autore. Sette è il numero che indica perfezione e compiutezza. I sette miracoli-segno sono sufficienti per Giovanni a comunicare ai credenti la pienezza di grazia e di verità che la Parola incarnata ha portato agli uomini. Vediamo ora l'ultimo miracolo narrato: Lazzaro richiamato in vita da Gesù.
Gv 11, 1-451Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. 2Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3Le sorelle mandarono dunque a dirgli: "Signore, ecco, colui che tu ami è malato".4All'udire questo, Gesù disse: "Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato". 5Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. 6Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. 7Poi disse ai discepoli: "Andiamo di nuovo in Giudea!". 8I discepoli gli dissero: "Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?". 9Gesù rispose: "Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui".11Disse queste cose e poi soggiunse loro: "Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo". 12Gli dissero allora i discepoli: "Signore, se si è addormentato, si salverà". 13Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. 14Allora Gesù disse loro apertamente: "Lazzaro è morto 15e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!". 16Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: "Andiamo anche noi a morire con lui!".17Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. 18Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri 19e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. 20Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21Marta disse a Gesù: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà". 23Gesù le disse: "Tuo fratello risorgerà". 24Gli rispose Marta: "So che risorgerà nella risurrezione dell'ultimo giorno". 25Gesù le disse: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?". 27Gli rispose: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo".28Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: "Il Maestro è qui e ti chiama". 29Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. 30Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.32Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!". 33Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, 34domandò: "Dove lo avete posto?". Gli dissero: "Signore, vieni a vedere!". 35Gesù scoppiò in pianto. 36Dissero allora i Giudei: "Guarda come lo amava!". 37Ma alcuni di loro dissero: "Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?".38Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. 39Disse Gesù: "Togliete la pietra!". Gli rispose Marta, la sorella del morto: "Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni". 40Le disse Gesù: "Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?". 41Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: "Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato". 43Detto questo, gridò a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori!". 44Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: "Liberàtelo e lasciàtelo andare".45Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. 46Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. 47Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: "Che cosa facciamo? Quest'uomo compie molti segni.CommentoIl racconto giovanneo inizia con alcuni versetti di ambientazione. Sono presentati i personaggi della scena (Gesù, Lazzaro, Marta e Maria) e la località dove si realizza la vicenda: Betania. Lazzaro è ammalato e quindi le sorelle si premurano di informare Gesù della situazione: "Signore, ecco, il tuo amico è malato". Qui Lazzaro è chiamato l'amico, colui che è amato da Gesù. Sicuramente Lazzaro è qui da considerare come il rappresentante di tutti quelli che Gesù ama: i cristiani. Subito dopo l'evangelista presenta lo scopo del miracolo-segno, che sta avvenendo per mezzo di Gesù: "questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato". La malattia di Lazzaro non finisce con la morte. Gesù ridà al suo amico diletto la vita fisica, segno di quella eterna. La vita ridata a Lazzaro è il motivo immediato che fa precipitare la vicenda e che porterà Gesù alla morte, come primo atto della sua glorificazione, nella quale si manifesta la gloria di Dio. I versetti che seguono (vv. 7-16), infatti, sottolineano l'andare a morire di Gesù: "i giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo? ... allora Tommaso disse: «andiamo anche noi a morire con lui»". É evidente l'intersecarsi di tre temi: la morte di Lazzaro, quella di Gesù e quella dei discepoli. Tutto il movimento descritto è finalizzato alla fede dei discepoli: "perché voi crediate". Nei vv. 17-33 troviamo presentato l'arrivo di Gesù a Betania ed il suo incontro con Marta e Maria, sorelle di Lazzaro. Il dialogo con le due donne permette a Gesù di far conoscere che lui non è un profeta come tutti gli altri. Egli può dare la vita, quella vera, a condizione che si creda in lui. Infine nei vv. 34-40 si presentano il dolore di Gesù per l'amico che amava ("si commosse profondamente... scoppiò in pianto") e l'obiezione di Marta circa l'opportunità di togliere la pietra, perché Lazzaro ormai era morto da quattro giorni. Gesù risponde ancora una volta chiedendo di aver fede: "se crederai vedrai la gloria di Dio". La fede di Marta non solo permetterà di vedere manifestata la grandezza di Dio nel miracolo che sta per realizzarsi, ma anche è condizione per contemplare direttamente Dio nella resurrezione finale. Il brano si chiude narrando brevemente il miracolo. È Dio Padre che ridà la vita fisica a Lazzaro per mezzo di Gesù. Il "grido a gran voce" di Gesù, può essere benissimo collegato col grido del Calvario, attraverso il quale tutti i discepoli, animati dalla fede, vengono tirati fuori dal buio del sepolcro e liberati dai legami della morte.
In conclusione, Dio Padre, attraverso l'azione di Gesù, ridà la vita fisica a Lazzaro. Il miracolo è un segno che richiama la vita eterna donata a tutti i credenti. Chi crede in Gesù e si fida di lui partecipa della redenzione da lui ottenuta per tutti i suoi amici, attraverso la morte e la resurrezione. Ai discepoli è chiesto di perseverare, perché così incontreranno definitivamente la vita vera.
La vitaCerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare,per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
Se avete possibilità, prendete foglio e matita e scrivete le vostre riflessioni. In questo modo si fissano meglio nel vostro cuore e avrete modo di rileggerle nella settimana.
Le Lectio delle domeniche precedenti vengono salvate nella sezione Calendario - Archivio.
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Unità Pastorale Mincio
Goito 22 marzo 2020 IV domenica di Quaresima
Lettura
Anche il testo del vangelo di questa domenica, detto del cieco nato,(Gv 9, 1-41)si colloca nel "Libro dei segni". L'evangelista presenta Gesù che si rivela al popolo come inviato del Padre. In questa parte del vangelo di Giovanni hanno un posto determinante le feste giudaiche. La guarigione del cieco dalla nascita avviene a Gerusalemme durante la festa autunnale delle capanne o dei tabernacoli, in cui si festeggia per i raccolti di fine estate, facendo memoria del permanere degli israeliti sotto le tende nel deserto per quarant'anni.
Gv 9, 1-41.
In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va' a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa "Inviato". Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: "Va' a Sìloe e làvati!". Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov'è costui?». Rispose: «Non lo so».Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c'era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l'età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l'età: chiedetelo a lui!».Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da' gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l'ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell'uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell'uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: "Noi vediamo", il vostro peccato rimane».Commento.
Nei primi cinque versetti l'evangelista presenta la vicenda che riguarda Gesù, un uomo ceco dalla nascita ed i discepoli. Partendo da una loro domanda, che sottolinea il problema del rapporto esistente tra peccato e malattia fisica, Gesù risponde affermando che la cecità non è conseguenza di qualche peccato commesso. Essa è una delle tante situazioni nelle quali si evidenzia il limite umano creaturale. Nel nostro caso, attraverso l'opera di Gesù, è messo in risalto l'azione benefica di Dio creatore. É così delineato il significato del segno che Gesù sta per compiere; è un esempio della luce che viene nelle tenebre: "finché sono nel mondo sono la luce del mondo". Nei vv. 6-7 troviamo la sobria narrazione del miracolo. Gesù, come un terapeuta, applica del fango sugli occhi del cieco, comunicando così al poveretto la certezza che la sua condizione è presa in seria considerazione. Poi lo invia a lavarsi nella piscina di Siloe, che si trova ai piedi della collina su cui sorge Gerusalemme, a sudovest di essa. Questo fatto si collega ad altre guarigioni famose narrate dalla Bibbia. Pensiamo per esempio a Naaman il siro, che è guarito dalla lebbra dopo essersi immerso nel Giordano, su consiglio del profeta Eliseo (cf 2 Re 5, 10-14). Così anche il nostro cieco, immersosi nella piscina, guarisce dalla cecità fisica attraverso l'opera di Gesù, l'inviato di Dio. Da questo momento inizia una serie di confronti- inchieste (vv. 8-34) tra alcuni gruppi di persone e l'uomo guarito. Dapprima è interrogato dai curiosi, che vogliono sapere e conoscere tutti i particolari dell'avvenimento per avere l'esclusiva della notizia. A costoro l'uomo sa dire soltanto che egli è guarito attraverso l'opera di un uomo di nome Gesù. Poi viene esaminato dai farisei, che contestano la guarigione avvenuta di sabato. In questo giorno, infatti, non è permesso alcun lavoro ed impastare del fango è proibito. Essi consultano anche i genitori dell'uomo guarito, per avere ulteriori spiegazioni. Di fronte all'insistenza dei farisei e alle loro contestazioni l'uomo afferma, partendo dall'esperienza fatta, che Gesù è Dio: "Da che mondo e mondo, non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non fosse Dio, non avrebbe potuto far nulla". Infine (vv. 35-41) Gesù incontra nuovamente il cieco guarito. A costui si rivela e si manifesta nella sua identità di "Figlio dell'uomo". L'uomo guarito è desideroso di credere in lui e afferma, prostrandosi: "Io credo, Signore". Ora la guarigione è completa. Ha ricevuto la vista fisica ed ora vede anche con la fede che Gesù è il Signore, il Figlio di Dio. Nello stesso tempo l'evangelista presenta i farisei che si fissano inesorabilmente nella loro cecità. Così diventano vere le parole dette da Gesù: "sono venuto... perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi".
Concludendo, di può dire che Dio Padre, per mezzo di Gesù, è sempre vicino a coloro che soffrono a causa dei limiti della natura umana. Chi incontra Gesù e si lascia curare da lui arriva sicuramente ad uscire dal buio fisico per raggiungere anche la luce della fede. In questo cammino si incontrano pure molte difficoltà che vengono dall'esterno: il giudizio degli altri, le tradizioni, i condizionamenti familiari o dei gruppi di appartenenza, le nostre attività. Se si persevera nello stare con Gesù Cristo, ascoltando la sua parola ed eseguendo le sue indicazioni, ogni difficoltà si ridimensiona e si procede nell'itinerario di fede.
La vita
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci:
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- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare,per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
Rubrica, curata da
don Alessandro, dove ogni giorno viene commentata brevemente la frase di un autore, non necessariamente cristiano. Per custodire, in questi tempi difficili, non solo la salute del corpo e della mente, ma anche quella dello spirito.
Domenica 29 marzo
Uno ama col cuore che ha(G. Sovernigo, prete e psicologo)
Nella Bibbia il cuore è la sede delle decisioni più profonde e importanti.
Il nostro cuore è un organo sensibile, che porta impressi i segni della propria storia, delle esperienze fatte, dell'affetto ricevuto ma anche di quello mancato, dei desideri più alti così come delle paure più profonde. Uno discerne, sceglie e decide in base a tutto questo e quando Dio ci chiede di amare Lui, noi stessi e il nostro prossimo, ci sta chiedendo non di scalare l'Everest, ma di amare a partire da ciò che siamo nella nostra concretezza, con tutti i nostri doni e i nostri limiti. Insomma, nella vita uno fa ciò che può, l'impossibile lasciamolo a Dio solo! Per questo un genitore educa i propri figli come può, come riesce. Ce la metterà tutta, e tuttavia ci sarà sempre uno scarto tra ciò che i figli si attendono e ciò che egli può dare loro. Accettare questo scarto, questa "ferita del cuore", significa riconciliarsi con la vita e con sé stessi. Un prete porta con sé tanti sogni (guai se non fosse così!), ma poi deve anche accogliersi per ciò che è, con tutti i suoi limiti, fisici e caratteriali, che non sono mai pochi.
Uno ama col cuore che ha, e questa non è una brutta cosa, poiché Dio ci ha dato un cuore e la capacità di scendere in fondo ad esso per scoprire tutti i tesori che vi ha posto. Scoprire questi tesori preziosi e metterli a frutto in modo buono, è l'avventura della vita.
Sabato 28 marzoUn vero viaggio di scoperta non è cercare nuove terre, ma avere nuovi occhi(M. Proust, scrittore)
Vi sono persone, o forse siamo tutti un po' così, che hanno vivo in loro il desiderio di viaggiare. Il viaggio è anelito alla conoscenza, è desiderio di esperienza, è anche espressione della propria interiorità. Ma c'è un viaggio che, prima che fuori di noi, si compie dentro di noi. È il percorso di maturazione, umana e spirituale, che porta a vedere il mondo in una nuova prospettiva, quella dello stupore. Per questo è possibile viaggare stando a casa! Anche la mia casa, il mio giardino, o quel fiore che vedo tutti i giorni, può apparirmi diverso, nuovo. È il cammino che, nella tradizione spirituale cristiana, si chiama "conversione", ossia la possibilità di guardare al mondo, alle persone, agli eventi della vita e a me stesso, con uno sguardo "più alto", dalla prospettiva di Dio, ove tutto è meraviglia. Questo cammino è allo stesso tempo una grazia che viene dal Signore e un percorso che possiamo compiere con disciplina, attraverso la preghiera, l'ascolto della Parola e la carità, che danno forma al cuore.
La Quaresima è tempo di conversione e lo è ancor di più in queste settimane di Coronavirus, in cui viviamo un digiuno degli spostamenti e dei viaggi. Tuttavia, possiamo compiere quel cammino interiore che ci permette di guardare alla nostra stanza, alla nostra casa, al nostro giardino e alle solite persone più in profondità, con occhi capaci di cogliere, con stupore, dettagli sempre nuovi.
Venerdì 27 marzoDormivo e sognavo che la vita era gioia; mi svegliai e vidi che la vita è servizio; servii e m'accorsi che il servizio è gioia.(R. Tagore, poeta)
Fare esperienza che il servizio è gioia, è una delle scoperte più importanti della vita.
Chi di noi ha mai provato questa sensazione, svolgendo un servizio in parrocchia con i bambini, i ragazzi o gli anziani, o facendo un po' di volontariato per i più bisognosi? Anche in questo tempo di Coronavirus, apprezziamo quelle persone che, attraverso il loro lavoro di medici, infermieri, o altro, contribuiscono a fare del bene e, nonostante il pericolo, li vediamo determinati nell'affrontarlo.
Gesù stesso, nella notte in cui istituì l'Eucaristia e fu tradito, si chinò e lavò i piedi ai suoi discepoli e "li amò sino alla fine" (Gv 13,1). Raggiunta una certa maturità umana e magari anche spirituale, capiamo che il servizio diventa una scelta e uno stile di vita: per chi è sposato servire la propria famiglia, per chi è diventato prete servire il Signore e la sua Chiesa nei volti concreti di una comunità, per qualcuno servire attraverso il proprio lavoro.
Il Signore ci ha messo questa gioia nel cuore come un segno e un dono mai scontati: quando ci facciamo servi del prossimo e ci chiniamo su di lui, siamo sulla buona strada della vita.
Non c'è, in un'intera vita, cosa più importante da fare che chinarsi perchè un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi.
Giovedì 26 marzoL'uomo è come un soffio, i suoi giorni come ombra che passa(dalla Bibbia)
Questo versetto del Salmo 144 mi pare interpretare bene il sentimento che c'è nel cuore di molti di noi in questi giorni. Basta un piccolissimo virus per fermare il mondo intero, chiudere la popolazione dentro le proprie case, fermare le attività e le relazioni sociali. L'uomo è davvero come un soffio, la sua vita può anche terminare in un istante, in un battito d'ali. Oggi ci sei, domani chissà. Nella nostra Unità Pastorale, durante le ultime tre settimane, abbiamo portato al cimitero e accompagnato nella preghiera di congedo una ventina di persone.
Eppure questa creatura, che si dimostra, oggi più che mai, piccola e fragile, porta dentro di sé il soffio, il respiro di Dio fin dalla creazione di Adamo.
"Che cosa è l'uomo perchè te ne ricordi, il figlio dell'uomo perchè te ne curi? Eppure lo hai fatto poco meno di un dio" (Sal 8).
In tutta la nostra fragilità, in tutte le nostre contraddizioni, portiamo tuttavia impressa in noi l'immagine di Dio.
Questa è la nostra grandezza, e Dio non lascerà soli i figli che ha plasmato con le sue mani.
No, non li lascerà soli!
Mercoledì 25 marzoLimitarsi a vivere non è abbastanza. C'è bisogno anche del sole, della libertà e di un piccolo fiore.(H. C. Andersen, scrittore)
Un giorno il condottiero Alessandro Magno si rivolse a Diogene, noto per la sua sobrietà e sapienza, il quale viveva in una botte di legno, e gli disse: "Chiedimi tutto ciò che vuoi, e io te lo darò". E Diogene, nella sua semplicità, rispose: "Spostati un poco, perchè mi stai togliendo la luce del sole".
Limitarsi a vivere, a respirare, a lavorare, a fare ciò che facciamo ogni giorno non è abbastanza: occorre gustare ciò che viviamo. Durante questi giorni in cui siamo costretti a casa dal Coronavirus, siamo obbligati a rallentare i nostri ritmi di vita, quasi ad annoiarci; in realtà possiamo godere, con maggior consapevolezza, delle cose più semplici che spesso diamo per scontate: fare una buona colazione in compagnia della mia famiglia, sorseggiare un buon caffè, rimanere a letto un po' più del solito, restare al telefono con un amico che non sento da tempo. Sono queste piccole cose che danno gusto alla vita e che spesso volano via senza accorgermene, per la velocità con cui le vivo.
Sì, c'è bisogno di sentire il calore del sole sul volto e il profumo di un fiore: di avvertire che ogni cosa è dono e che posso gustarla fino in fondo.
Martedì 24 marzoOgni volta che mi do il diritto di accogliere un mio limite, si apre un fiore(G. Sovernigo, prete e psicologo)
Una delle cose più difficili nella mia vita, è stata quella di accettare i miei limiti.
Prima di tutto quelli fisici, di salute, ma anche quelli caratteriali, legati alla mia storia e ai miei affetti più cari. La società, gli altri, ti dicono: devi essere al massimo! Finchè arrivi a crederci.
I limiti sono certamente un peso, una zavorra che rallenta il cammino e talora impedisce di compierlo in modo sereno. Il pericolo si fa acuto quando identifico il mio limite con me stesso: poiché ho questo difetto, sono io che non vado bene, che non sono a posto, che non son degno di vivere, ed è facile cadere nello scoraggiamento, talvolta anche nella depressione.
Ma quando riesco ad accogliermi così come sono, quando do ai miei limiti il diritto di esistere ed essere parte di me, allora la vita fiorisce da dentro e un senso di pace affiora.
Sono così, e allora?!
Quando Gesù fu battezzato nel fiume Giordano, si aprirono i cieli e la voce del Padre scese su di lui: "Tu sei il figlio mio, l'amato, in te ho posto il mio compiacimento" (Mc 1,11). Ti amo e mi piaci così come sei, come ti ho pensato da sempre, non perfetto, ma certamente amato.
Donami, Signore, la grazia di amare me stesso come tu mi ami.
Donami, Signore, la grazia di trasformare le mie ferite in feritoie attraverso le quali scorre la tua grazia e fiorisce la vita.
Lunedì 23 marzoNessuna cosa è bella da possedere, se non si hanno amici con cui condividerla(Seneca)
Ce ne stiamo accorgendo proprio in questi giorni, in cui al tempo del Coronavirus viviamo più isolati dagli altri. Ci manca la partita a carte al bar, il match a pallone, il ritrovo in oratorio, la cena a casa di amici.
Non ci mancano le cose, è che abbiamo nostalgia della condivisione di esse. Ci manca il grazie dell'amico, la sua pacca sulla spalla in un momento di sconforto; paradossalmente potrebbe mancarci anche la sfuriata del nostro capo ufficio...
Penso al fatto che Gesù visse proprio al tempo del filosofo Seneca. Attraverso Gesù, Dio ha voluto condividere ogni cosa con noi: la nascita, la morte e la risurrezione, il gioco e il lavoro, la crescita e la sofferenza, e ha fatto della condivisione della nostra esistenza il senso della sua stessa vita. Anche a noi Dio chiede la responsabilità della condivisione, soprattutto con i più poveri e gli ultimi: la telefonata ad un parente anziano che vive solo, un'offerta in denaro a qualche ospedale che è in frontiera, giocare finalmente coi miei figli che possono godere del mio tempo libero.
La condivisione non è solo responsabilità, porta in sé il gusto delle cose e la promessa di una gioia grande, che allarga lo sguardo e riempie il cuore.
Domenica 22 marzo
La vita è una cosa seria, ma non è grave!(Etty Hillesum)
Etty Hillesum è un'ebrea olandese che visse e morì in un campo di concentramento nazista.
La sua fede in Dio e la sua fiducia profonda nell'uomo, la portò a non abbattersi mai, anche nei momenti più drammatici della sua vita. Amava la vita, nonostante tutto.
È giusto prendere seriamente gli avvenimenti che accadono quotidianamente, se siamo persone responsabili; tra queste anche le presenti vicende del Coronavirus.
Ma prendere la vita seriamente non significa assumerla drammaticamente. Chi ha fiducia nella vita e in particolare chi è cristiano, non può non leggere la storia e le vicende quotidiane alla luce della Pasqua di risurrezione del Signore, che ha vinto la morte. Dentro questa forte convinzione, allora potremo essere stanchi, ma non abbattuti; tristi, ma non disperati, e avremo sempre nel cuore un pizzico di speranza e una sana leggerezza interiore.
Il Coronavirus, questo tempo particolare, la vita tutta, è una cosa seria, ma non è grave!
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Unità Pastorale Mincio
Goito 15 marzo 2020 III domenica di Quaresima
Lettura
Nella terza domenica di quaresima s'incontra il passo dell'evangelista Giovanni detto "della samaritana". Nel racconto troviamo però presentate anche altre scene, che capitano attorno al pozzo di Giacobbe. Il brano si trova nella grande sezione del vangelo, dopo il prologo (Gv 1, 1-18), indicata come "Il libro dei segni" (Gv 1, 19-12, 50). In questa parte l'evangelista presenta il ministero pubblico di Gesù attraverso il quale, con segni e parole, mostra se stesso al popolo come rivelazione del Padre. Tale manifestazione produce di conseguenza il rifiuto da parte della gente: "venne tra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto".
Gv 4, 4-42
4Gesù Doveva perciò attraversare la Samaria.
5Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c'era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7 Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: "Dammi da bere". 8 I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9Allora la donna samaritana gli dice: "Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?". I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10Gesù le risponde: "Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva". 11Gli dice la donna: "Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest'acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?". 13 Gesù le risponde: "Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; 14 ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna". 15 "Signore - gli dice la donna -, dammi quest'acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua". 16 Le dice: "Va' a chiamare tuo marito e ritorna qui". 17 Gli risponde la donna: "Io non ho marito". Le dice Gesù: "Hai detto bene: "Io non ho marito". 18Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero". 19Gli replica la donna: "Signore, vedo che tu sei un profeta! 20I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare". 21 Gesù le dice: "Credimi, donna, viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22 Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità". 25Gli rispose la donna: "So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa". 26 Le dice Gesù: "Sono io, che parlo con te".
27 In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: "Che cosa cerchi?", o: "Di che cosa parli con lei?". 28 La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: 29 "Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?". 30 Uscirono dalla città e andavano da lui.
31Intanto i discepoli lo pregavano: "Rabbì, mangia". 32 Ma egli rispose loro: "Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete". 33 E i discepoli si domandavano l'un l'altro: "Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?". 34Gesù disse loro: "Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35 Voi non dite forse: "Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura"? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 36 Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. 37 In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l'altro miete. 38 Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica".
39Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: "Mi ha detto tutto quello che ho fatto". 40 E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. 41Molti di più credettero per la sua parola 42e alla donna dicevano: "Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo".
Commento
Nei primi versetti (Gv 4, 4-6) l'introduzione inquadra il racconto dal punto di vista geografico e degli spostamenti di Gesù. Egli, che è in viaggio verso Gerusalemme, deve attraversare la Samaria e, durante il tragitto, si ferma al pozzo di una città chiamata Sicàr. Questa è probabilmente da identificare col piccolo abitato di Sichem, che sorgeva a duecento metri dal pozzo di Giacobbe. Il villaggio ebbe nell'antichità un posto molto importante perché legato alle vicende dei patriarchi e perché costruito ai piedi del monte Garizìm, su cui sorgeva il tempio dei samaritani. A Sichem, dopo la distruzione di Samaria, si radunò la comunità samaritana, la quale riteneva di discendere da Giuseppe figlio del patriarca Giacobbe. A questo punto il racconto presenta tre scene avvenute attorno al pozzo. La prima (Gv 4, 7-26) è dominata dal dialogo di Gesù con la samaritana, che oltre ad essere donna appartiene ad un popolo considerato di razza inquinata e quindi pagano. Di conseguenza tra ebrei e samaritani non c'erano rapporti facili. Per tale ragione la donna rimane stupita dalla domanda fattale da un ebreo di nome Gesù: "dammi da bere". Il resto del dialogo vuole portare la samaritana ad incontrare autenticamente Gesù. La donna ha molte difficoltà ad accogliere la comunicazione di Gesù perché condizionata dalle sue esperienze ed esigenze materiali ("Signore tu non hai un mezzo per attingere ed il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest'acqua viva? ... dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua"), dalle vicende affettive (aveva avuto cinque mariti) e dalle tradizioni religiose ("i nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte..."). Gesù, con grande pazienza ed amabilità, spiega ogni cosa e prepara così il terreno perché la sua interlocutrice possa riconoscere in lui il Messia; ad ella Gesù dice: "sono io che ti parlo". La seconda scena (Gv 4, 27-38) vede interagire Gesù ed i discepoli. Anch'essi si rivolgono al maestro partendo da un problema concreto: "Rabbi, mangia"; egli risponde portando la conversazione su di un piano diverso: "ho da mangiare un cibo che voi non conoscete". I discepoli non colgono lo spessore delle parole di Gesù ed egli interviene nuovamente per chiarire il suo pensiero, sottolineando la sua preoccupazione principale che consiste nel fare la volontà del Padre: "mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera". Per spiegarsi meglio cita due detti proverbiali. Come la natura lentamente svolge il suo corso, così anche la volontà di Dio gradualmente si realizza in pienezza nella storia delle persone. Di conseguenza, coloro che sono chiamati a lavorare nell'«azienda del Signore» non devono essere preoccupati della mansione da svolgere, ma di mettersi al servizio della volontà del Padre che, da protagonista, è all'opera in tutti: "levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura". L'ultima scena (Gv 4, 39-42), già anticipata nei vv. 29-30, presenta "molti samaritani di quella città", che vanno da Gesù stimolati dalle parole della donna. Costoro credono in Gesù attraverso la testimonianza della samaritana, ma la loro fede si stabilizza dopo essere stati due giorni con lui. Infatti essi dicono: "Non è più per la tua parola che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo".
In conclusione possiamo affermare che ogni itinerario di vita cristiana deve portare ad un incontro autentico con Gesù Cristo. Egli è riconosciuto ed accolto soltanto quando, anche col suo aiuto, ci si libera da tutte le sovrastrutture che impediscono un rapporto immediato, libero e decisivo. Chi sta al suo gioco diventa, di conseguenza, testimone ed evangelizzatore, perché altri lo possano incontrare. Al riguardo è necessario vigilare attentamente, perché la salvezza non è data dai discepoli, ma da Gesù Cristo che porta gli uomini in comunione col Padre. Per questo ogni esperienza ecclesiale diventa significativa ed incisiva se porta le persone a "stare" in compagnia assidua con Gesù Cristo, ad ascoltarlo e a vedrlo.
La vita
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci:
- Quale parte del vangelo letto e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare,per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Mincio
Goito 8 marzo 2020 II domenica di Quaresima
Lettura
Dopo il tredicesimo capitolo, in cui Gesù attraverso parabole parla del regno dei cieli, seguono altri due dove l'evangelista ha raccolto episodi di conflitto e di rivelazione. I conflitti sono con gli abitanti di Nazaret o con altri connazionali, nei confronti dei quali Gesù contesta il modo di applicare la legge. Attraverso miracoli egli si manifesta sempre più alle genti, per poi arrivare a parlare direttamente e personalmente con i discepoli. Infatti, dopo aver chiesto ad essi, ed in particolare a Pietro, di professare la fede, nel famoso dialogo avvenuto a Cesarea di Filippo, Gesù fa conoscere ai discepoli che egli dovrà morire e che anch'essi nella vita porteranno la croce dietro a lui.
Mt 17, 1Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: "Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia". 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: "Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo". 6All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: "Alzatevi e non temete". 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. 9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: "Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti".
Commento
Il brano del vangelo della seconda domenica di quaresima è abitualmente chiamato "vangelo della trasfigurazione". Questa, di fatto, costituisce soltanto uno degli aspetti in cui si articola il racconto di Matteo. Il primo versetto funge da introduzione. Qui l'evangelista colloca geograficamente la scena - "in disparte, su un alto monte" - e presenta i personaggi. Gesù è il protagonista. Egli, prendendo l'iniziativa, porta "con sé Pietro, Giacomo e Giovanni", tre dei suoi discepoli. La vicenda sul monte si snoda in tre sequenze. Nella prima troviamo presentata la trasfigurazione di Gesù, attraverso la quale egli cambia radicalmente il suo volto ed anche le vesti, e l'apparizione di Mosé ed Elia, che si intrattengono amabilmente con lui. Alla scena assistono direttamente i discepoli, perché tutto avviene "davanti a loro". La seconda si apre con le parole di Pietro rivolte a Gesù. Egli, che desidera prolungare quell'esperienza, perché era per loro bello stare sul monte, propone la costruzione di tre capanne per i personaggi celesti, affinché la loro presenza potesse perdurare. Segue poi una nuova apparizione: "una nube luminosa li coprì con la sua ombra". La nube, nella tradizione biblica, è il segno concreto della presenza di Dio. È Dio Padre, quindi, che in quel momento si fa presente sul monte e la voce udita ne è la conferma. Le parole pronunciate da Dio riguardano Gesù, il quale non è come Mosé ed Elia, anche se si colloca in quella scia luminosa. Gesùè proclamato "Figlio amato", voluto e scelto dal Padre per rivelare e realizzare la salvezza definitiva degli uomini. Per questo occorre ascoltarlo. La sequenza si chiude riportando l'attenzione sui discepoli che, "presi da grande timore cadono con la faccia a terra", in quanto non riescono a reggere davanti al mistero di Dio che si rivela. Nell'ultima sequenza Gesù prende nuovamente l'iniziativa e, coerentemente con la missione ricevuta dal Padre, si avvicina ai discepoli, li tocca, risollevandoli dalla prostrazione in cui erano caduti, e con le sue parole li invita a non aver paura. I discepoli, infatti, d'ora in poi vedranno solo Gesù e solo lui potrà far giungere fino a loro la salvezza, dono del Padre. La conclusione del brano presenta il gruppetto che scende dal monte e le consegne date da Gesù ai suoi: "non parlate a nessuno di questa visione ...". Infatti, soltanto dopo la resurrezione di Gesù essi avranno piena consapevolezza del dono ricevuto e dell'esperienza fatta; allora saranno anche in grado di parlare in modo significativo, cioè essere testimoni.
Concludendo si può dire che ai discepoli, chiamati a seguire il maestro da vicino condividendo anche la croce, affinché non si perdano d'animo, Gesù concede ad alcuni di viver la forte esperienza sul monte. In quel luogo egli non solo è presentato continuazione e compimento della storia della salvezza, ma, attraverso la parole del Padre, è indicato come l'unico che possa risollevare i suoi, dar loro coraggio, interpretare le parole del Padre e rendere partecipe della salvezza. Questa sarà sperimentata pienamente soltanto con la resurrezione di Gesù e dei discepoli, di cui la vicenda sul monte è un anticipo. Nel frattempo Gesù continua a camminare amorevolmente con i suoi per i sentieri del mondo e del tempo.
La vita
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- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare,per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
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